Aspirazione al fascismo oggi

Una riflessione sull’aspirazione al fascismo come tendenza serpeggiante nella politica italiana contemporanea, fra la strage di Macerata e gli scontri di Bologna.

– Hi.

– …

– Neighborhood watch. If you don’t move, I’m gonna have to call the cops.

– Well, friend, there’s no need for that.

– This is a nice neighborhood, children play in the streets, my children, we have block parties, fruit punch, we don’t need a man in a dark car doing things.

– You mean like sitting? Don’t be a nudnik.

– This is a community, people watch each other’s backs, someone gets sick, someone dies, you bring a casserole, help.

-….

– Maybe I’m here to help.

– No, you have black eyes.

(Ari Ziskin e Lorne Malvo in Fargo. La serie, Stagione 1, Episodio 5, “The six Ungraspables”)

Una domanda sul fascismo oggi

Marco Minniti ha recentemente rivelato che il fascismo è «morto per sempre». Poco prima, Enrico Mentana, che pure è fra i pochi nella comunicazione mainstream che prova a inserire nel dibattito pubblico elementi di tematizzazione reali, lo aveva anticipato. Si era espresso infatti pubblicamente con un post su facebook il giorno dopo avere intervistato uno dei massimi storici viventi del fascismo, Emilio Gentile, sulle cui riflessioni, ben più complesse, torneremo tra poco.

Certamente si può dire che è terminata l’esperienza governativa di Mussolini e dei suoi uomini nel Paese, il progetto totalitario del fascismo storico, la dittatura, quella che ha preso il potere nell’ottobre del 1922 dopo due anni di attentati terroristici da parte delle sue squadre paramilitari, tante decine di morti tra i civili, centinaia di feriti e sezioni socialiste distrutte o date alle fiamme. Quel fascismo che, inizialmente con percentuali e diffusione risibili, è diventato movimento di massa in molte regioni del centro nord in meno di un anno e mezzo. Quel movimento, poi partito e poi anche Stato[1], che è rimasto al potere fino al 1943 col sostegno della monarchia e che dopo il 25 luglio, con un interessato flashback a San Sepolcro, si è riscoperto improvvisamente repubblicano, che ha promulgato leggi razziali prima nelle colonie africane e poi anche in Italia contro i suoi cittadini di origine ebraica, quello che ha cancellato la libertà di associazione e di stampa, ha incarcerato decine di persone per reati d’opinione creando un tribunale speciale apposito, ha fatto sì che morisse Antonio Gramsci, ha soppresso tutti i partiti politici tranne uno – il suo – e ha cancellato le elezioni. Quella dittatura fascista sì, è un’esperienza finita, grazie alla guerra di Liberazione e alla sollevazione partigiana che, in Italia, ha contribuito alla vittoria degli Alleati contro l’Asse nazi-fascista. Che sia finito il nostro rapporto storico, i conti col fascismo, con quell’esperienza, questo forse è meno scontato.

Mentana – che alcuni mesi fa insieme ad altri illustri giornalisti ha deciso di accettare l’invito nella sede di un movimento i cui membri si auto definiscono “fascisti del terzo millennio” – inizia così il post di cui si fa menzione sopra: «Basta, però. Il fascismo è morto il 25 luglio del 1943 ed è stato seppellito il 25 aprile del 1945» e prosegue dicendo che agitare un pericolo del suo ritorno è inutile quanto sperare nel suo ritorno. Emilio Gentile, suo ospite il giorno prima, pone molta attenzione a non inquinare e annacquare la definizione storica di fascismo e, pur fornendo argomenti alla conclusione di Mentana, ci offre delle riflessioni che hanno implicazioni molto più profonde[2]. All’inizio della sua intervista ricorda che c’è stato un momento nella storia dell’Italia repubblicana in cui, quando era presente il Movimento sociale italiano, un’organizzazione ispirata direttamente al fascismo repubblichino, quell’ideologia, quell’immaginario e quel modo di leggere la storia avevano anche molti rappresentanti in parlamento, mentre oggi è sostenuta da forze politicamente più deboli.

Lo studioso non è certo suscettibile di simpatie per il ventennio: ha sostenuto anche in altre occasioni, a partire dai suoi studi, i pericoli che si riverberano da quell’esperienza storica auspicando di guardare ai problemi dei rapporti tra Stato e società contemporanea e delineando la nozione di democrazia recitativa. Usare impropriamente il termine fascismo dimenticandone le peculiarità storiche, ci dice, può dunque portare a confusione, a spostare in astratto problemi che sono interni alla democrazia stessa, creare confusione e non aiutare ad affrontare nodi (economici, sociali, culturali) molto importanti e, soprattutto, specifici della nostra età contemporanea. Oltre a un contesto storico radicalmente mutato, i partiti e i movimenti che si richiamano apertamente al fascismo oggi non superano una percentuale complessiva del 1-2%. Infine, usare la categoria di fascismo in modo disinvolto, seguita Gentile, ad esempio come equivalente di razzismo, può portare a un mascheramento del fatto che anche chi si professa democratico o non fascista può scoprire di essere razzista. «Il razzista può essere in ciascuno di noi» ammonisce lo storico molisano, e usare il termine fascista in certi casi può coprire, nascondere e costituire un alibi per non affrontare un problema culturale che esula dalla cultura fascista.

Noi accogliamo il richiamo al rigore metodologico, il contrasto a una visione poco complessa a cui ci invita Emilio Gentile il quale, sin dagli studi sull’età giolittiana, ha dedicato il suo percorso di ricerca all’analisi dei documenti d’archivio e storiografici di inizio secolo e ai problemi posti dalla società di massa in Italia, consolidando poi – o meglio inaugurando – con fondamento scientifico l’idea del fascismo come via italiana al totalitarismo[3]. Ma ci chiediamo, tornando anche a chi oggi parla con molta meno consapevolezza, se la fine di un’esperienza statuale e di governo di tipo totalitario, o la mancanza di rappresentanza parlamentare di forze che a esso si ispirano, possa determinare automaticamente (e “per sempre”) la fine delle idee e della capacità di persuasione che stavano dietro a quell’esperienza. Ce lo chiediamo anche alla luce del fatto che nel fascismo storico stesso vi erano delle contraddizioni interne, specie nella parte iniziale della sua parabola, e delle spinte in direzioni diverse.

Siamo consapevoli che non solo le idee hanno reso possibile la concretezza del regime, ma anche e soprattutto le condizioni storiche specifiche legate all’economia, alla cultura, alla società, alla fine di una guerra mondiale che aveva cambiato radicalmente la vita delle persone, al loro ritorno dalle trincee o nelle nuove fabbriche in una società di massa, all’aspirazione di ascesa sociale di classi o frazioni di classi che si stavano costruendo, preludio e incarnazione stessa della modernità e della sua crisi (cfr. Modernità totalitaria, a cura di E. Gentile, Laterza, Roma-Bari, 2001). Non siamo alla fine di un conflitto mondiale, all’orizzonte non pare aprirsi un biennio rosso, le forze economiche egemoni (ma gli equilibri politici possono mutare) dimostrano di rivolgersi altrove rispetto a una sentinella nero vestita.

Eppure non abbiamo sempre detto, con Primo Levi, che occorre meditare perché “questo è stato”, perché non accada ancora? Dal momento che il fascismo è stato soprattutto una storia italiana, poi esportata con “successo”, non conviene prestare particolare attenzione ai contenuti politici contemporanei piegati a quello spazio simbolico, sia pure oggi minoritario, ma in crescita, che ha una presa particolarmente forte a causa della semplificazione del messaggio di chiusura, esclusione, identitarismo? La destra, quella peggiore, è già diventata egemonica sul tema migranti, spostando dalla sua parte tutto l’arco costituzionale, con effetti devastanti, di cui le condizioni documentate delle carceri e dei centri di detenzione libici non sono che una delle conseguenze visibili . Non pare di essere allarmisti di fronte a un’avanzata identitaria così prepolitica e dunque con alta capacità d’infiltrazione, concreta.

Dobbiamo però provare ad andare più a fondo. Nel corso della citata intervista di Mentana a Gentile, commentando una serie di servizi che mostravano temporanei avvicinamenti fra forze di estrema destra d’ispirazione esplicitamente fascista ad altre più note forze parlamentari, lo storico si chiedeva come si potesse immaginare, da un punto di vista fascista – che presuppone il primato dello Stato, il primato dell’unità d’Italia e che monopolizza il concetto di patria – un movimento leghista storicamente anti-unitario, anti-romano, federalista.  E come si può concepire da un punto di vista fascista o neofascista un Movimento 5 stelle che in alcune regioni ha fatto votare una giornata delle vittime dell’unità nazionale. Sono osservazioni utili, che ci servono per chiarire concetti e fare ecologia di parole. Allo stesso tempo si deve notare che ormai da tanto la Lega sta gradualmente abbandonando la propria collocazione tradizionale e che questo cammino l’ha portata a cancellare dal simbolo la parola “nord”. Una parola che era anche un programma politico estremamente importante e mutato proprio con la segreteria di Salvini, che ha completato l’operazione sostituito lo slogan “prima gli italiani” – che oggi condivide con altre forze di estrema destra più o meno parlamentari – a quello precedente: “prima il nord”.

Così il neoborbonismo se dal punto di vista storico-filologico si pone in contraddizione con l’idea di nazione e di unità nazionale, riprende al contempo quella di piccola patria, una sorta di ipernazionalismo che esaspera ancora di più la ricerca di mitologie fondative e identitarie, riavvicinandosi a qualcosa che ci fa evocare il fascismo, o alcuni dei suoi tratti elementari, da un altro versante. Un versante più profondo che non è solo un problema del 5 stelle [4] o della Lega, che con Salvini ha intensificato il suo flirt a destra (nonostante qualche distinguo di componenti attualmente in minoranza) ma è un fiume carsico che inquina e sta inquinando l’intera cultura politica italiana, diventando senso comune, idea di normalità.

Il paese dei mostri selvaggi

Ciò che forse possiamo chiamare aspirazione al fascismo – dopo la sua sconfitta militare e politica nel 1945 – pare, infatti, essere sempre rimasta nella società italiana e non solo nel movimento sociale, lungo gli anni dello stragismo o nei suoi epigoni recenti. La voglia di ronda, di ordine nel senso più conservativo e reazionario, la strategia di esclusione totale di pezzi interi di società dalla vita pubblica, il razzismo, appaiono e riappaiono in modi e forme storicamente diverse.

Mutevole è l’ aspirazione al fascismo di oggi, mutevoli erano il fascismo storico e le sue premesse, i suoi punti di convergenza e condensazione con altre forze e idee che poi, sin dai primi anni e lungo il corso del regime, provocarono collisioni o si consolidarono in un compromesso, in una rete complessa, mai pura, fatta di tattica e azione per l’azione. Dall’interventismo di sinistra di Alceste de Ambris a Fiume occupata, dalla Carta del Carnaro alla distanza dalle sirene fasciste, dai sindacalisti rivoluzionari ispirati da Sorel, allo stato organico di Rocco, alla programmazione di Beneduce, al metodo Mori in Sicilia, da Farinacci a Bottai, da Federzoni a Starace, fino alle torture degli ispettorati fascisti triestini. Facce, stili e storie diverse che al momento giusto non fecero una piega per restare all’apice della dittatura, in posti più o meno centrali, senza troppi rimorsi di chi nel frattempo era in arresto, senza una parola nei confronti del proposito di rendere “legale l’illegalismo”. 

Non s’intende sovrapporre periodi diversi in modo acritico; ma – richiamando una genealogia storica per esplorare ciò che è stato e quanto ne rimane nella cultura, nell’immaginario e pure, a dirla tutta, nel testo unico di pubblica sicurezza – pensiamo che parlare di fascismo e di neo fascismo oggi abbia senso.

In tempi meno interessanti Umberto Eco aveva coniato il termine di Ur-fascismo, non per agitare il ritorno del regime in camicia nera, ma come atto di ecologia intellettuale: il fascismo storico è stato un fenomeno complesso ed eterogeneo, «filosoficamente scardinato, ma dal punto di vista emotivo era fermamente incernierato in alcuni archetipi» (U. Eco, Fascismo eterno, La nave di Teseo, Milano 2018, p. 31). Una nebulosa, il fascismo secondo Eco, che si coagula ogni qualvolta una o più di queste caratteristiche si manifestino nell’esperienza politica del presente: il culto della tradizione, magistralmente sottoposto a indagine critica da Furio Jesi, il rifiuto del modernismo, il culto dell’azione per l’azione, l’identificazione del disaccordo di opinioni con il tradimento, la conseguente paura della differenza, l’appello alle classi medie frustrate, l’ossessione del complotto, la xenofobia, e in un crescendo catastrofico la retorica populista e antiparlamentarista, il culto della morte e il bellicismo. Molte di queste caratteristiche archetipiche inquinano, secondo diverse gradazioni e intensità, il dibattito pubblico attuale. A ciò si aggiunga l’indebolimento sistematico, generazionale, tendenzioso del nesso profondo tra la Resistenza e la democrazia italiana. Un clima preoccupante soprattutto se si riflette sugli episodi di violenza che da molti anni segnano le imprese di militanti delle organizzazioni neofasciste, spesso ai danni di soggetti deboli che non attirano l’informazione e dunque su cui è più difficile fare denunce, sensibilizzare.

Quando le vittime di violenza poi sono stranieri tutto rimane massimamente in ombra e poco o nulla discusso, e quando questa guerriglia squadrista ai poveri viene evocata non manca mai chi parla di “buonismo”. Eppure, negli archivi dei giornali si trovano articoli sugli orrendi bangla tour da più di cinque anni e le violenze razziste aumentano così come la tensione alla loro giustificazione, come denunciato anche da giornalisti che non possono essere collocati all’estrema sinistra.

Nella piena consapevolezza che occorra restituire al fascismo storico la sua collocazione temporale e la sua dimensione storiografica, evitando paralleli anacronistici e privi di pregnanza epistemologica, è utile d’altra parte monitorare gli elementi che caratterizzano l’aspirazione al fascismo a prescindere dalle attuali percentuali elettorali di partiti o movimenti che si dichiarano apertamente fascisti. Questi elementi proviamo a elencarli anche in dialogo con le caratteristiche archetipiche individuate da Eco: un’idea gerarchica e concorrenziale fra popolazioni diverse, il razzismo, più o meno implicito, biologico e culturale, l’idea stessa di pensare al concetto di razza come a qualcosa di reale, una mitologia in cui identità e storia nazionale si fondano su emblemi del passato caricati di valore assoluto, la creazione di un nemico interno, un richiamo all’idea di stato etico, di giustizia inflessibile, il contrasto a ogni tentativo di dar valore al garantismo, una pressante componente anti-parlamentare, una ricerca continua del rapporto diretto col popolo, un coinvolgimento continuo, ma unilaterale, volto alla mobilitazione e alla politicizzazione della società, una capacità di raccogliere e sentire la modernità, sintonizzandosi sui caratteri più istintivi, ma anche più pop e rassicuranti, fornendo un canale di riconoscimento, un capo, un risolutore.

Non bastano certamente questi elementi per definire univocamente il fascismo oggi, ma non possiamo, proprio per la sua complessità e le diverse linee culturali e politiche che hanno contribuito alla sua affermazione storica, delimitare questa parola esclusivamente alla parabola del progetto totalitario mussoliniano. Abbiamo una parola che proviene dalla nostra storia recente. Dalla contrapposizione a quel che ha significato è nata la Repubblica in cui tutt’ora viviamo e non possiamo sottovalutare le linee sotterranee, non possiamo aspettare che certe aspirazioni si trasformino in idee egemoniche e di governo, correndo il rischio di non riconoscerle. Il paese dei mostri selvaggi non è un luogo remoto e lontano dove ci si può smarrire solo nel buio della notte. Il paese dei mostri selvaggi è sempre stato qui.

Note

[1] Sull’interrogazione di quanto il pnf abbia condizionato (fascistizzato) o si sia arreso allo Stato e alla burocrazia, e sul ruolo di Mussolini in questa dinamica complessa di scambio, compenetrazione, subordinazione si muove da sempre una buona parte della storiografia sul fascismo.

[2] Notazione di rigore per nulla accademica e due volte importante poiché laddove tutto è fascismo allora nulla e fascismo.

[3] E non manca chi ancora oggi dissente nonostante  di stato totalitario e regime totalitario parli lo stesso De Felice in uno dei suoi volumi, e, successivamente, fra gli altri, anche Salvatore Lupo.

[4] Roberta Lombardi rispondendo a un’intervista recente in cui le si chiede se lei storicamente sia una donna di destra o di sinistra, risponde, prevedibilmente, che lei è “per il buon senso”. Poi a domanda sull’orientamento dei genitori, rivela che Almirante nella sua famiglia è stata una figura di riferimento e infine ripete uno dei classici mantra per cui, sul fascismo, “bisogna dire che l’istituto nazionale di previdenza sociale è stata una conquista di civiltà, mentre le leggi razziali sono state il momento più buio della nostra storia”. L’intervistatore, pur mancando di ricordare a Lombardi che la previdenza sociale nasce 24 anni prima del fascismo con la Cassa Nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai e, come altre, è una conquista di lotte lunghe decenni, chiede alla candidata: “e quindi ce n’è stato uno buono e uno cattivo [di fascismo]?”. Lombardi non replica.

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