Una selezione musicale ispirata al libro di Francesco Targhetta.
È da poco tornato in libreria, per Mondadori, Perciò veniamo bene nelle fotografie, romanzo in versi di Francesco Targhetta, con la reintroduzione di alcune parti assenti nella prima edizione (uscita per Isbn) e una postfazione di Andrea Cortellessa. Nel romanzo di Targhetta, i versi non sono solo quelli poetici, ma anche quelli delle tante canzoni citate. Queste.
l’unica volta
che gli hai chiesto una corda
sei tornato a mani vuote, suonando
la sera di noise indistinto, vangate
sul manico al paese arretrato,
che persino i pedali più classici
te li rifila con diffidenza
(e di certo senza conoscere
gli A Place to Bury Strangers).
e tu che pensi al video
di una murder ballad di Nick Cave
ambientato tra l’atrio e l’aula N
per celebrare la tua dipartita
dalla patavina universitas,
e loro luminosi, l’allieva e il boss.
e allora cerchi conforto nei pensieri di Marco Aurelio
e nei dischi dei New Order più solari,
ma non ne esci: com’è possibile,
ti dici, per quell’articolo soltanto, o sono forse quei capelli bianchi
che ti sei trovato in mano
Il pezzo sui cani ci viene da dio,
con Teo che si ostina sui tom
per dare spessore tribale,
un po’ Stephen Morris, un po’ stile Can,
allora chiamiamola Can,
la canzone, eccezionalmente senza
dio davanti, sebbene…
Il pezzo alla fine ci viene dark,
qualcosa tra il chiasso di un tosaerba
e i Sound di I Can’t Escape Myself
e quando parte Close to Me,
dal salotto, è delirio, questo martirio
universitario, questo visibilio
inizieranno a darci un senso, forse,
quando saremo in fase senescente,
incattiviti dal tempo speso in sala
d’attesa ad ascoltare i Fugazi
e il punkcore più secco,
rovistando nei cestini dei treni
e nelle vetrine avare di Adecco
a intagliare versi di Morrissey, che al mattino
riesce benissimo, décadence pura,
coi primi bus contro i quali schiantarsi,
rosi dal proprio nerissimo tarlo.
e poi vuoi mettere, lì, la cultura
musicale, dEUS, Soulwax, Mertens,
Zita Swoon, la scena di Anversa
e i club di Bruxelles, altro che le sagre
e quando
prima dei colloqui compri un disco
degli Wire e lo metti in borsa zitto,
entrando a scuola con saluti ai colleghi,
ti senti anche tu parte,
parte integrante
del sistema locale.
Prendi una crema ad alta protezione,
cara, e il telo mare con il porta-
cellulare, e voleremo come
Super Tele verso le spiagge più
vicine, ascoltando Giuni Russo
sotto i ponti delle autostrade
e ora ecco il mantello di ruggini,
il bel retaggio dei Mazzy Star,
mentre Arturo sta a tessere elogi
del metodo brigatista
mentre Los alterca con amiche di Anna
sul perché dei cantanti alle feste
si balli sempre il pezzo più idiota,
tipo Gianna di Rino Gaetano,
il pezzo più sciocchino, finché
con Song 2 la pista si svuota
e tutti se ne vanno all’open bar
una ventenne che ami il nuovo Vasco
e metta l’iPod quando legge Pennac
che ti sembra di essere, così,
dal commercialista, ma è uguale
il senso, il bordone: fare fare fare,
come cantava Luca Carboni
col sentore
che il peggio deve ancora venire,
autumn winter
perché la lotta non può essere vinta,
e il migliore risultato lo ottieni quando
riesci a evitare, alzando muri di cinta,
a evitare te stesso.