Nicaragua tra dittatura e pandemia

30 maggio 2018: Marcia delle madri – Alla fine della giornata in commemorazione degli studenti assassinati nei mesi precedenti si conteranno 18 morti e 218 feriti tra i manifestanti. Credit: Carlos Cerda.

Sommersi dalla cultura delle menzogne, troviamo sempre più difficile distinguere il reale dal falso. Nell’era della post-verità non conta ciò che sta realmente accadendo, contano le storie.  Già Kant aveva dichiarato l’impossibilità di formulare giudizi capaci di raggiungere la verità del reale, la verità dell’essere. La politica autoritaria con la sua apoteosi del volere e la gestione del potere senza etica ha fatto tesoro di questo meccanismo: non c’è più bisogno di offrire un discorso che corrisponda ai fatti, non c’è più bisogno del consenso dell’interlocutore. E, d’altronde, già  Hannah Arendt aveva identificato il suddito ideale  del regime totalitario proprio nell’individuo per il quale la distinzione fra realtà e finzione, fra vero e falso non esiste più. La responsabilità del funzionamento di questo processo non sta, quindi, solo in chi pronuncia le nuove verità, ma anche in chi le accoglie senza spirito critico, senza fact-checking. Anche Gadamer sosteneva che la mente umana è in realtà bloccata nel regno del linguaggio puro, ma è proprio dal linguaggio che dovrà scoprire la verità. Esiste la possibilità del risveglio: l’assolutismo della ragione del più forte può essere arrestato.

Un pilastro fondamentale del governo Ortega è stata la costruzione di sistemi di credenze inesistenti e realtà parallele che hanno tenuto le persone impegnate in sogni che non si sono mai avverati.

Daniel Ortega e Rosario Murillo (sua moglie e Vice Presidente illegittima del paese) sono narratori eccellenti e hanno saputo inventare un mondo in cui collocare vite e speranze della gente. Gli slogan del governo negli ultimi tredici anni sono stati molto chiari: «Nicaragua Cristiano, socialista e solidale», «Governo di pace, amore e riconciliazione». E non solo: i colori con cui è stato dipinto un intero paese (rosa, fucsia, giallo, rosso), i giganteschi (e costosissimi) alberi di latta installati su strade pubbliche, gli altari a Hugo Chávez, hanno creato un ambiente degno della fantasia di Lewis Carrol.

Aprile 2018 – Abbattimento di uno dei 140 alberi della vita installati a Managua per volontà di Rosario Murillo. Ogni albero costa tra i 20 e i 25.000 dollari nel paese con il reddito procapite più basso del Centro America. Credit: Carlos Cerda.

La terra dei poeti e dei vulcani è diventata una terra di realismo magico, distopico e pericoloso che rende difficile il confronto con altri contesti apparentemente simili.

La retorica del governo è stata in grado di appropriarsi di un linguaggio chiave, facendone puro lusus letterario. 

I discorsi ufficiali del presidente e di Rosario Murillo hanno offuscato le masse con promesse che non sono mai state rispettate: non esisteva socialismo, tutt’altro, solo una solida base di conservatorismo patriarcale a sostegno di un governo prima autoritario e oggi, sicuramente, dittatoriale. E la punta di diamante è Rosario Murillo, vicepresidente che, vantando un incarico ottenuto illegittimamente, calpesta le stesse impronte del marito/presidente.

La storia del Nicaragua è la storia della infinita colonizzazione: negli anni ’90 l’accettazione (da parte del Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale) della vittoria della UNO (Union Nacional Opositora) passò alla storia come il grande esempio di democrazia da parte di un paese che non era abituato a manifestazioni di quel tipo. Ma non è esattamente così. Sebbene negli anni seguenti le caratteristiche dei gruppi di potere siano state riconfigurate e siano cambiate le bandiere dei partiti al comando, il modus operandi delle strutture governative è rimasto immutato. Ci sono state crisi, cambiamenti, rivoluzioni, ma l’autoritarismo politico, attraverso una sua manipolazione psicopatica, è stato una costante.

Il colonialismo del passato che veniva dall’esterno e annichiliva la cultura, la memoria e la religione è stato trasformato in colonialismo interno in cui la stessa famiglia al potere usa una struttura del passato, perpetuando un modello di dominio: i cambiamenti dell’agenda politica e dei quadri giuridici dei diversi governi che si sono susseguiti dopo la rivoluzione, non ha implicato un cambio di rotta nel modo di governare, dal momento che il controllo è stato il modo di fare politica.

La famiglia Ortega-Murillo è una di quelle élite meticce che vogliono preservare i propri interessi usando le forme apprese dall’oppressore: tutto è governato da dinamiche di comando-obbedienza.

Tuttavia, Ortega ha saputo conquistare il suo popolo e la sua lealtà: l’offerta di prebende e posizioni nelle istituzioni governative ha garantito la totale devozione delle basi. Ma non solo: Ortega ha creato il suo mito, un mito a bassa intensità tipico del nostro tempo. A partire dal ventesimo secolo, regimi o leader politici e / o religiosi hanno cercato di adottare rituali di natura sacra per costruire l’adesione delle masse. Nel caso del Nicaragua, basti pensare ai libri di testo della scuola pubblica che educano i bambini al culto delle persone (ne sono un esempio le preghiere alla divinità di Hugo Chavez), o ai giovani sandinisti che sono stati carne cannone di questo governo, nutriti di sentimenti reazionari e abituati all’obbedienza. Questa è la base e la condicio sine qua non del governo autoritario e, al contempo, il terreno fertile che lo sostiene: una serra per coltivare esseri obbedienti e tremanti che perpetuano la legittimità di governi autoritari su masse infantilizzate.

Come e accanto alla religione cattolica, Ortega chiede al suo popolo di distinguere tra fedele e infedele con un atto di volontà del credente, un atto di fede. E per coloro che non si conformano, la risposta è repressione violenta, una vera e propria punizione divina. Ortega, come un Dio che non è tra noi, non è mai apparso in pubblico nei suoi anni di governo a parte per i momenti di celebrazione nazionale divenuti -de facto- culto della sua stessa persona (ha canzoni che lo idolatrano, foto e gigantografie stradali in tutto il paese).

La struttura triangolare della famiglia (padre-madre-figli) è stata trasferita al governo (presidente-vicepresidente-popolo) ed è stata legittimata dalla religione (Dio-Vergine Maria-fedeli).

Il suo mito è sostenuto dalla cultura coloniale che il Nicaragua continua ad avere, nella struttura religiosa e nella famiglia. Da qui la forte stigmatizzazione dei movimenti femministi che non si adattano a un sistema patriarcale, dei contadini che vogliono diventare indipendenti dal feudo e delle minoranze, sopravvissute dirette alla distruzione dei conquistatori.

Il bene (o il male, a seconda della prospettiva) di questi piccoli miti d’oggi è che hanno una data di scadenza, non sono eterni perché si nutrono della vita quotidiana delle persone e i gusti cambiano.

C’è stata una costante desmocratizzazione del FSLN che ha trovato ancoraggio nel caudillismo coloniale ben radicato nella cultura e che supera l’apparente rottura provocata dall’iniziale processo emancipatorio. Ne hanno risentito non solo le basi del partito ma anche la società civile che ha imparato a dare dei limiti agli eccessi di potere esercitati dall’autorità politica nello spazio pubblico. Tuttavia, risulta ancora urgente la necessità di problematizzare le relazioni familiari autoritarie e l’idea del “Dio della conquista”, per non continuare ad essere sommersi in cicli culturali di dittature e liberazioni.

In questo senso, la coscienza collettiva nazionale, vuole porre fine all’esercizio del potere pubblico autoritario della famiglia Ortega-Murillo: il dissenso si è concretizzato inizialmente attraverso proteste di massa contro le riforme al sistema pensionistico e tributario -che davano una stoccata all’economia familiare dei pensionati- e si è poi convertito in un’onda di ripudio nazionale che chiedeva il conto di una decade di abusi e corruzione dei vertici del partito e di funzionari statali.

Di fronte al rifiuto nazionale, la famiglia al potere ha deciso di mantenere il totale controllo dello Stato e insieme ad una polizia che rappresenta gli interessi di partito, sono stati formati gruppi di paramilitari per soffocare le proteste cittadine, portando all’assassinio di oltre 300 persone tra l’aprile e il maggio 2018. Erano soprattutto giovani, molti provenienti da famiglie che avevano partecipato alla rivoluzione sandinista negli anni ’80. Questa mattanza è rimasta impressa nella coscienza nazionale con il “Vamos con Todo” (una sorta di Avanti tutta, costi quel che costi) pronunciato da Rosario Murillo per eseguire il massacro: pulire le strade dai manifestanti e sostenere così la propria famiglia al potere.

La popolazione, con una sinergia collettiva, ha posto dei limiti alla cultura dell’alienazione settaria che ha anche atomizzato il pensiero e la pratica di sinistra nei gruppi che sono stati perseguitati per aver promosso il pensiero critico e aver contraddetto il potere familiare dispotico: educatori, studenti, lavoratori, teologi della liberazione, movimenti contadini, attivisti ambientali, indigeni e femministe. Tutte e tutti emarginati, incarcerati, torturati, silenziati o assassinati.

Nonostante la narrativa del governo circa la presenza di un aggressore esterno (gli USA), che in una società frammentata diventa un fantasma, c’è stato un consenso nazionale frutto della stanchezza di diversi gruppi sociali con postulati differenti ma un obiettivo comune, ed è esploso il 19 aprile del 2018. L’accumulazione di tensioni politiche per gli abusi di potere, le umiliazioni quotidiane, le molestie al tessuto sociale organizzato in forma autonoma e una repressione sistematica esercitata durante undici anni di governo, ha prodotto un movimento di masse senza leadership né conduzione politica.

Nei rapporti della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) e del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI) sono state raccolte testimonianze collettive di barrios (quartieri popolari) e comunità che puntano il dito verso i responsabili del massacro con un minuzioso livello di dettaglio, che è stato sostenuto nel tempo da ognuna delle famiglie e degli attori che hanno presenziato ai fatti. Allo stesso modo, le madri delle vittime si sono organizzate nell’Associazione Madres de Abril per fortificare la costruzione collettiva della verità e far pressione per l’accesso alla giustizia in un contesto di persecuzione e repressione da parte del governo che ingabbia e tortura qualsiasi tipo di dissenso, e che ha provocato l’esilio (ad oggi) di oltre ottantamila nicaraguensi.

L’Associazione Madres de Abril sostiene una lotta per mantenere nell’agenda nazionale e internazionale la crisi dei diritti umani nel paese, affinché non sia messa all’angolo dalla cultura nazionale dei patti politici che negoziano il sangue in cambio di potere. Le madri hanno ben chiaro che la  pace e la riconciliazione emanano da processi di giustizia, alla quale si accede per mezzo di prove e denunce individuali e collettive sui fatti. La pace attuale, dipende dall’avanzamento genuino di questo processo. Barrios e comunità continuano a denunciare omicidi nonostante il governo stia usando le armi per silenziare la popolazione.

La società non accetta più che gli Ortega Murillo, i loro figli, suoceri, consuoceri, generi e nuore occupino cariche ministeriali e di Stato con poteri ereditari e che si convertano in divinità le cui verità non possono essere messe in discussione. La politica vissuta come setta religiosa non regge più. La consanguineità come modus per conservare il potere in mano alla famiglia è monarchico e confonde gli affari familiari con quelli statali. Questo modello feudale del Fronte sandinista di Liberazione Nazionale sta affrontando una  crisi agonizzante.

La pandemia del Covid-19 si inserisce nelle peculiarità di ogni contesto nazionale svelandone e potenziando le proprie condizioni di povertà e crisi dei diritti umani. Il Nicaragua fa fronte alla pandemia con le stesse “autorità” utilizzate dall’apparato statale per negare attenzione medica negli ospedali ai feriti dell’opposizione nelle proteste del 2019, ossia paramilitari e polizia. Gli stessi che hanno utilizzato il sistema giuridico come arma politica per criminalizzare il dissenso e incarcerare gli oppositori. Autorità che hanno ostruito la giustizia modificando i certificati di morte delle vittime e eliminando prove e perizie per togliere forza alle testimonianze collettive che le incolpano.

I nicaraguensi affrontano la pandemia guidati da un gruppo di fanatici che occupa l’apparato statale, che nega l’aggressività del virus e che dall’alto dell’oscurantismo scientifico che ha sempre promosso, adduce che il Coronavirus “non è più forte che un comune raffreddore”. Una della voci di propaganda del partito, in un impeto fondamentalista, ha affermato che “Il Covid-19 è l’ebola dei bianchi e dei ricchi” dando ad intendere che la popolazione nicaraguense sia esente dal contagio.

Manifesto divulgato dal governo per l’evento del 14 marzo 2020 che intendeva combattere il coronavirus con “fede, vita e speranza”.

Allo stesso modo, medici di ospedali pubblici hanno denunciato anonimamente che gli è stato proibito l’uso di mascherine e guanti per non causare allarme nella popolazione, lasciati senza protezione ad affrontare il virus. Il governo ha promosso eventi in spiagge, parchi, competizioni sportive, per imporre una normalità a scapito della salute  degli strati più poveri della popolazione, gli stessi maggiormente colpiti dal massacro del 2018 da parte delle forze statali.

Organizzazioni come l’OMS, la CIDH e l’OSA, si sono pronunciati con preoccupazione rispetto alla gestione erronea della pandemia da parte della dittatura familiare Ortega-Murillo, che può accrescere ulteriormente la lista dei carichi penali (crimini di lesa umanità) di cui sono oggetto, se ci si trovasse di fronte ad una calamità sanitaria.

Come nell’Aprile 2018, quando la popolazione si protesse dalla mattanza statale, oggi si è autoconvocata per la cura collettiva di fronte alla pandemia, informandosi, usando misure igieniche e di distanziamento fisico, contraddicendo gli ordini della dittatura. Come nel 2018, la popolazione si protegge da un governo oppressore che la chiama al contagio per sostenere il proprio potere autoritario familiare. Come per le barricate d’aprile, in cui la popolazione si difese da paramilitari e polizia, oggi la gente si chiude in casa proteggendosi dalla negligenza del governo. Come in aprile la popolazione denunciava gli omicidi nei barrios, oggi si denunciano i casi di mala sanità  che convertono gli ospedali in carceri e i pazienti in detenuti, in un contesto di segretezza sulla vera dimensione nazionale della pandemia. Zittire i pazienti equivale a silenziare la verità, occultare gli errori.

Il Covid-19 svela in Nicaragua il fondamentalismo crescente del gruppo al potere che impone nuovamente il proprio modello settario di governo e la propria verità a discapito di vite umane. Svela la rottura del contratto sociale e l’inesistenza di uno Stato di diritto che lascia senza protezione la società e soprattutto quei settori vulnerabili che, di fronte al vuoto di potere, hanno dovuto autoconvocarsi nuovamente, stavolta per la cura mutua di fronte alla pandemia. Oggi stesso, il “Piano Estivo 2020” di Rosario Murillo, che invita al contatto di massa, ha sofferto una strepitosa sconfitta al non essere preso in considerazione dalla popolazione che è rimasta in casa.

Le misure sociali preventive di fronte al virus, possono più di un governo che dalla propria superbia autoritaria, chiama le basi al contagio e alla possibilità della morte per difendere la propria visione dello Stato. Il virus mantiene le basi orteghiste in distanziamento sociale dentro le proprie case, e con una crescente coscienza silenziosa, si cominciano a distanziare anche dal governo familiare che è disposto a sacrificare le loro vite per mantenere il potere. Il Covid-19 ha ridimensionato il fondamentalismo della famiglia governante ed è cresciuta la frattura con la piccola base che lo difende.

La dittatura si sosterrà solo per mezzo delle armi e senza idee, di fronte ad una popolazione che con interezza ha scelto il cammino civico per ristabilire lo Stato nazionale e il compimento pieno dei diritti umani e civili. Rimane la sfida per la società nicaraguense di non espiare le proprie responsabilità nella dittatura di turno e identificare dove si coltivano i valori autoritari che non accetta nella struttura statale, per masticarli, elaborarli e poter costruire il desiderato Stato nazionale moderno e inclusivo a partire dagli spazi più prossimi e personali. Rimane la sfida di prendersi cura di sé e sopravvivere in modo politico di fronte alla pandemia e agli atti criminali del non-governo.

Alla sinistra rimane la sfida di spiegare la propria esperienza al potere e di come, dopo decenni di lotte per costruire la sovranità popolare in maniera dialettica, sia finita a difendere un esercizio del potere conservatore e metafisico.

 

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