Il “moro” di Piombino o la rivoluzione mancata

La storia di un giacobino nero, esule della rivoluzione di Haiti, che finì i suoi giorni lavorando come muratore in Toscana

 

 

[Pubblichiamo un articolo dello storico Tiziano Arrigoni su Louis Desruisseaux, un giacobino nero, protagonista della rivoluzione di Haiti, esule all’Isola d’Elba, addetto alla costruzione della Fonderia di Follonica]

La descrizione era di quelle che colpiscono l’immaginazione. Il 22 agosto 1819 si presentò davanti al tribunale di Piombino un personaggio non certo usuale per la piccola città tirrenica. La questione per cui questa persona si trovava in tribunale era modestissima, un problema di un lavoro in muratura contestato nel quartiere di Marina, roba di poco conto. La descrizione del verbale è invece fin troppo vivace:

“Uomo d’alta statura, complesso, dell’età di circa 40 anni, di capelli bianchi, viso tutto moro, barba grigia, con campanelle d’oro alle orecchie, occhi grossi, e bianchi, viso lungo, naso grosso e bocca larga, vestito con giacchetta di panno turchino, sottoveste di cambrì[1] bianca fiorita di rosso, pezzuola al collo di cambrì celeste con fiori gialli, con cappello in testa di feltro nero tondo”.

Al giudice che gli chiedeva di declinare le sue generalità rispondeva:

Io sono, e mi chiamo Luigi di Luigi Deruisseau, mi trovo in età di anni 49, ho moglie, senza figli, faccio il muratore, sono nativo di Santo Domingo, anzi dell’isola di Santo Domingo, e da 15 anni a questa parte sono domiciliato in questa città di Piombino, ove mi sono accasato”. [2]

Un nero di Santo Domingo a Piombino nell’estate del  1819 era una rarità, con il suo vestito di cotone coloratissimo e leggero per resistere al caldo estivo piombinese, a maggior ragione muratore, inserito nel tessuto sociale della città (“mi sono accasato”) da quindici anni, quindi dal 1804 ossia dal periodo napoleonico con i suoi flussi di persone dal grande macrocosmo francese che avevano modificato il microcosmo di Piombino sotto il dominio di Elisa Bonaparte. La sua presenza era quindi plausibile.

Inoltre il suo “inserimento” gli aveva permesso di muoversi sul territorio, grazie al suo mestiere di muratore, ed infatti lo avevo incontrato a Follonica, alla costruzione del forno fusorio del ferro di San Ferdinando. Non a caso, quando, essendo responsabile della progettazione scientifica del Museo delle Arti in Ghisa della Maremma (MAGMA) che si trova proprio all’interno del forno di San Ferdinando, avevo pensato di inserire alcuni video di ricostruzione delle biografie di alcuni lavoranti significativi per il forno follonichese, questo personaggio era saltato subito agli occhi. Il MAGMA di Follonica è un museo multimediale che narra, anche attraverso preziosi reperti di lavorazione della ghisa, la millenaria storia della siderurgia nella Toscana costiera o come recita il sito del museo, “ospitato nei restaurati spazi del Forno San Ferdinando, l’edificio più antico della città, il MAGMA è una scatola magica che racconta una storia di ingegno, arte e passione:quella dell’industria siderurgica italiana”. Oggi un breve video all’interno del percorso museale racconta la storia del giacobino nero. [3]

La storia sarebbe terminata così se non mi fosse capitato di leggere un articolo comparso su un periodico elbano, “Lo Scoglio”, scritto da una ricercatrice isolana, Isabella Zolfino,[4] che mi fece ritrovare il “moro” di Piombino e aprì un mondo che portava lontano.  Nell’articolo compariva anche il nome, Pierre – Louis Desruisseaux, “46 ans, emploi terrasement , secours 40/F mois”, ma soprattutto “chef escadron gendarmerie de Port au Prince”, Santo Domingo. Ecco che il nostro muratore nero assumeva tutto un altro ruolo e soprattutto veniva collegato alla rivoluzione del generale nero Toussaint Louverture, alla voglia di libertà degli ultimi, degli schiavi che speravano nella rivoluzione francese, e spiegava come fosse arrivato in Toscana.

Non è questo il luogo per riprendere la lotta per la  libertà degli schiavi neri, il ruolo, talvolta contraddittorio, di Toussaint, l’incontro di tre culture (africana, americana, europea) in questo ex schiavo nero, probabilmente di provenienza senegalese, che lo portarono a divenire capo della rivolta degli schiavi dopo il 1791, in seguito agli echi universali della grande rivoluzione di Francia , fino all’abolizione della schiavitù nel 1794 da parte dell’Assemblea Nazionale. [5]   

Busto di Toussaint Louverture (1743-1803), dell’artista Dominique Dennery (2017). Parc Toussaint-Louverture, Montréal. Fotografia di Indrid__Cold, da Flickr

Mi è venuto invece in mente un romanzo breve della scrittrice tedesca antinazista Anne Seghers (1900 – 1983), che rifugiatasi dapprima in Francia, ne è costretta a fuggire nel 1941. Partendo dal porto di Marsiglia, lascia dietro di se un’Europa in fiamme in preda all’occupazione tedesca e di fronte a sé la libertà, il Messico, dove ritroverà compagni di lotta come Tina Modotti, Frida Kalho, Pablo Neruda. È in questo contesto che si interessò alla rivoluzione haitiana, un germe di libertà che era sembrato crescere in un contesto americano dove lei stessa stava cercando la libertà. Ne uscirà fuori nel primo dopoguerra Die Hochzeit von Haiti (1947)[6]

“La liberazione degli schiavi neri era stata sì stabilita già da tempo nell’Assemblea Nazionale, però non era stata ancora promulgata come legge .(…) I proprietari terrieri di Haiti si rifiutavano fermamente di scambiare il Giglio per il Tricolore. Il loro caffè, il loro zucchero, il loro indaco, questa era la loro eredità, il loro patrimonio, ed era anche l’orgoglio della Francia”. A questo punto a prendere in mano il tricolore e a difendere gli ideali rivoluzionari contro gli attacchi dell’Inghilterra furono proprio gli ex schiavi guidati da Toussaint: i neri, “che avevano imparato a comprendere quanto valeva la libertà”, si trasformarono in soldati e “Haiti rimaneva sotto il Tricolore. Qui il rosso ardeva ancor più rosso; il suo blu ancor più blu; il suo bianco ancor più bianco”, senza le truppe di Toussaint l’isola sarebbe caduta nelle mani dei nemici della Francia. Era la libertà tanto sognata, i signori bianchi “non avevano più ombre mute dietro le cassette delle carrozze e dietro gli schienali delle sedie, non avevano più diritto di legare e frustare a sangue una ragazza nera”.

La svolta avvenne con Napoleone console, quando Toussaint nel 1801 si proclamò governatore dell’isola. “Già da tempo (Bonaparte) aveva incidentalmente dichiarato che non intendeva tollerare spalline sulle spalle dei neri. E questo nero, lontano nell’ovest, cominciava a diventare un piccolo capo di Stato”.

Fu per questo che il primo console decise di inviare ad Haiti un contingente militare al comando del generale Leclerc (marito della sorella Paolina). Un tradimento degli ideali della rivoluzione in nome di una svolta conservatrice. I francesi non si trovarono, tuttavia, di fronte una massa di uomini disorganizzata, ma dei veri soldati e una prima classe dirigente nera, nutrita di ideali illuministi. Il soldato nero con il fucile è un uomo libero, un soldato civile, come doveva essere il nostro Desruisseaux , ufficiale della gendarmerie. [7] Come lo era un suo più famoso compagno di avventura, più noto di lui, Jean – Louis Annecy, che merita qualche accenno in più. Schiavo affrancato nel 1783, si arruolò e prese il grado di capitano nel primo reggimento delle armate francesi “du Cap” e riuscì anche ad acquistare delle terre. Nel germinale dell’anno V (aprile 1797) fu eletto dall’assemblea elettorale del Cap, nel Consiglio degli Anziani di Parigi, insieme ad un altro ex schiavo, Etienne Mentor.  Annecy raggiunse addirittura la posizione di segretario del direttorio del Consiglio.  Un passo veramente rivoluzionario per un individuo che fino a quattordici anni prima era una “non persona” di proprietà di un ricco bianco. Un sogno durato poco perché dopo il brumaio napoleonico, Annecy fu escluso dal corpo legislativo insieme alla deputazione di Santo Domingo e costretto a ritornare in patria.[8]

Fra il 1801 e il 1802 si decise la tragedia della rivoluzione tradita: le truppe di Toussaint sconfitte dalla superiorità numerica e di armamenti dell’armata francese furono massacrate, inutile la resistenza. Fu la disfatta e la Francia volle decapitare la classe dirigente nera, compresi i militari. Tutti quelli che non erano morti, furono deportati in Europa, ad iniziare da Toussaint che venne spedito in Francia nella prigione di Joux nel Jura dove morirà di freddo e di stenti nel 1803. Rivalsa inutile quella dei francesi perché dopo pochi mesi dovettero abbandonare l’isola decimati dalla febbre gialla (morì lo stesso Leclerc) e nel 1804 si arrivò alla proclamazione della Repubblica di Haiti, la prima repubblica nera della storia.

I deportati non riuscirono a vedere questo risultato finale: Annecy e gli altri, fra i quali il nostro Desruisseaux vennero deportati in Francia anche loro, ma il loro destino doveva essere diverso. Il 20 settembre 1802 quarantanove di loro furono imbarcati a Brest sulla “Nayade”, incatenati per la colpa di avere voluto la libertà universale, e spediti ad Ajaccio, via Toulon. Vi arrivarono dopo quaranta giorni di navigazione, in condizioni pietose, in quello che doveva essere un “camp de negres” e impiegati in lavori di fatica in Corsica, in un periodo in cui il governo francese investiva nell’isola, annessa alla Francia da poco più di trenta anni. I deportati furono fatti lavorare soprattutto alla costruzione della strada Ajaccio – Bastia attraverso il colle di Vizzavona e al taglio e al trasporto del legno di pino laricio per gli arsenali della Marina Militare. Qualcuno venne utilizzato per la coltivazione di colture caraibiche che Napoleone voleva introdurre in Europa per rendere l’Impero autosufficiente, progetto in gran parte fallito per le diversità climatiche, ma che portò a tentativi di coltivazione del caffè, dell’indaco, della canna da zucchero e soprattutto del cotone (quest’ultimo anche nel territorio di Piombino).

In seguito sedici di questi deportati, fra i meno giovani o i più malconci, vennero portati all’isola d’Elba, a Portoferraio, erano quasi tutti ex ufficiali della guardia nazionale e si trattava più che di un campo, di una residenza sorvegliata, quindi con maggiore libertà di movimento, anche se il ministro della guerra Dejean , in un documento del 26 dicembre del 1807, parlava della presenza di un “dépot de negres” all’Elba. Fra questi sedici c’erano anche Annecy e Desruisseaux (quest’ultimo nel 1819 dichiarava di essere residente a Piombino addirittura dal 1804).  [9]

Ecco che la situazione si complica: i “neri”  di Santo Domingo non si limitano ad essere presenti, portano anche idee nuove, rivoluzionarie, ex giacobini e bonapartisti si rimescolano in una nuova loggia massonica fondata proprio da Annecy nel 1803 , la loggia “Les Amis de l’Honneur Français”, di cui fanno parte il commissario governativo Pierre – Joseph Briot, il colonnello Léopold Sigisbert Hugo (che in questo periodo ha con sé a Portoferraio il suo bambino piccolo, Victor, il futuro scrittore) e che proprio sull’isola iniziò una relazione con una giovane amante, la ventenne Catherine Thomas, causa della separazione dalla moglie;  Jean- Joseph Galeazzini e François Morenas di Avignone, giacobino e già massone a Livorno. Personaggi, per dirla con un biografo di Briot che talvolta partendo da un’esperienza radicale giacobina si erano avvicinati da “sinistra” a Napoleone e che “sciamarono per l’Europa portando, insieme al manuale amministrativo , l’ingombrante bagaglio del loro passato, comunque convinti di una missione civilizzatrice ; demolire il vecchio regime”.[10] Ma l’influenza di Annecy doveva superare l’isola (e qui potrebbe essere entrato in scena anche Desruisseaux) perché, anche se non documentata, si diceva che “a Piombino esistesse una società segreta fondata da certo Annecy, moro, venuto dall’America” ossia una nuova loggia massonica, sulla scia di quella elbana. [11] Questo avvenne quando Louis si trovava già a Piombino e sicuramente era in contatto con il vecchio compagno di avventura e di sventura Annecy. 

Proprio a Piombino avvenne l’ultima svolta di Louis: si dette al mestiere di muratore (probabilmente doveva avere già fatto pratica a Santo Domingo) e si sposò (non sappiamo se fu matrimonio o convivenza) con Carolina, piombinese che cuciva “biancheria da tavola” e “tende da cortinaggio”. Un’unione interrazziale sicuramente insolita nella Piombino primo Ottocento.

E quando Louis si trasferì nella vicina Follonica, Caterina lo seguì continuando a fare lo stesso mestiere.  Il centro siderurgico di Follonica era in quel periodo in espansione, la Regia Mista che gestiva lo stabilimento aveva iniziato a far costruire il nuovo forno di fusione, detto San Ferdinando, che adottava nuove strutture per la fusione, il forno a sezione rotonda detta “carinziana” e una macchina soffiante per garantire la temperatura di fusione all’interno del forno stesso. Louis partecipò alla costruzione del forno, con “muramenti e restauri”, e dei carbonili e camerotti (alloggi per gli operai) annessi al forno. Furono anni di intenso lavoro: nel 1820 partecipò alla costruzione della ferriera annessa al forno e dell’arsenale, per una paga giornaliera di lire 2, soldi 13 e denari 4. In questi anni risulta nei registri delle tasse di famiglia di Piombino, inserito come muratore nella categoria quarta per un importo di una lira annua. [12]

Fu impiegato anche in lavori esterni come il restauro della chiesa e della sacrestia del vicino castello di Valli e la riparazione della steccaia sul fiume Pecora (lo sbarramento da cui si diramava la gora che alimentava lo stabilimento follonichese). L’ultima traccia di Louis è quella del Registro delle imposte del 1827, poi scompare, quasi sicuramente deceduto.

Una storia, quella di Louis, che mette insieme livelli diversissimi, luoghi lontani, ma che dimostra, nel suo piccolo, come il periodo rivoluzionario e napoleonico avesse messo in moto la storia in modo tale che ci fosse un continuo scambio di persone e quindi di destini.

[1]Il cambrì era una seta di cotone fino, usata soprattutto per biancheria (da Cambrai), detta in Italia “batista”.

[2]F.BUCCI, L. VELLA, S.VERDINI, Un uomo d’alta statura, complesso, capelli bianchi, viso tutto moro, con le campanelle d’oro alle orecchie, Follonica, La Ginestra 1997 (anche gli autori di questo studio su Follonica ad inizio Ottocento , in mezzo a tante biografie presenti all’interno del libro, non potevano non evidenziare quella insolita del “moro” di Piombino).  

[3]http://www.magmafollonica.it/

[4]I.ZOLFINO, Jean Louis Annecy. Chi era costui?, in “Lo Scoglio”, XXIX, 2, 2011, pp. 41 – 47.

[5]Sull’abolizione della schiavitù, C.WANQUET, La France et la première abolition de l’esclavage, 1794 – 1802, Paris, Karthala 1998.

[6]A.SEGHERS, Nozze a Haiti, Napoli, Filema 2007.

[7]B.GAINOT, Les officiers de couleur dans les armées de la République et de l’Empire (1792 – 1815), Paris , Karthala 2007 (a p.17, in partucolare Jean – Louis Annecy). 

[8]Su Annecy, B.GAINOT, Jean – Louis Annecy (vers 1758 – vers 1807) : du Cap Français aux Tuileries , des Tuileries au bagne, un parcours emblematique, in Figures d’esclaves: présence, paroles, représentation, editeur E.Saunier, Université de Rouen et du Havre 2012, pp. 71 – 86. Si veda anche il cenno in T.REISS, The Black Count. Glory, revolution, betrayal of the Real Count of Monte Cristo, London, Secker 2012, p.185.

[9]F.ARZALIER, Les déportés guadeloupéens et haitiens en Corse, in “Annales Historiques de la Révolution française”, 293, 1, 1993, pp.469 – 490.

[10]F.MASTROBERTI, Mimetismo o conversione. Pierre – Joseph Briot da giacobino a funzionario napoleonica, www.uniba.it  

[11]I.ZOLFINO, Jean Louis Annecy, cit.

[12]ARCHIVIO STORICO CITTA’ DI PIOMBINO, Reparti di tasse 269.  

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