Allargare i confini del possibile

Riflessioni sulla condanna di Dana Lauriola

Fonte: notav.info

Il 15 settembre il Tribunale di Torino ha condannato Dana Lauriola, attivista No Tav, a scontare due anni di carcere, per un’azione dimostrativa pacifica realizzata nel 2012 sull’autostrada Torino-Bardonecchia. C’è un filo che lega noi, ricercatrici e ricercatori universitari, alla vicenda di Dana Lauriola, al di là della relazione di scambio e stima reciproca che abbiamo sviluppato in anni di collaborazione: è il credere nella “cosa pubblica” e difenderla. Ota de Leonardis in In un diverso welfare: sogni e incubi (1998), un libro che a distanza di anni continua a interrogarci, denunciava il rischio che vedeva nel passaggio al welfare mix e nelle riforme neoliberali di inizio millennio che a suo parere rischiavano di indebolire, se non di svuotare definitivamente, lo “statuto pubblico” dei problemi e dei beni dello Stato sociale. Coglieva in quegli anni il diffondersi di una cultura del privatismo, che andava a rinchiudere questioni pubbliche in aree specialistiche e a inaridire il “discorso sui bisogni”, ovvero il dibattito pubblico continuo sui problemi, le aspirazioni e gli strumenti della società che, secondo la filosofa Nancy Fraser, è la linfa di una collettività democratica.

Il filo che ci lega a Dana consiste proprio nei tentativi che condividiamo di rafforzare lo statuto pubblico dei temi con cui ci confrontiamo, nonché delle istituzioni e delle organizzazioni di cui facciamo parte. Di temi come la povertà, la grave emarginazione adulta, le questioni ambientali, il policymaking. Di realtà come l’università, i servizi della città di Torino, le cooperative sociali, le comunità a cui apparteniamo come cittadine e cittadini. Insieme a Dana abbiamo lavorato affinché la categoria di “cittadini/e” si allargasse fino a comprendere persone che per il fatto di trovarsi sprovviste di dimora spesso non possono godere appieno dei diritti di cittadinanza. Non è facile: molte sono le contraddizioni e le difficoltà, ma quella è stata la direzione in cui abbiamo guardato in questi anni. Scriviamo, dunque, questo breve contributo sull’ingiustizia che sta vivendo Dana, per evidenziare la continuità tra il suo impegno sul fronte No Tav e il lavoro come operatrice sociale nell’ambito del quale abbiamo avuto la fortuna di incontrarla e lavorare insieme. E per partecipare, come istituzione pubblica, a quello che speriamo diventi un dibattito pubblico sul tema della giustizia, della partecipazione civile e del diritto al dissenso che riteniamo sia parte integrante dei diritti di cittadinanza.

L’esperienza di ricerca nell’ambito delle politiche di contrasto alla povertà estrema ci ha sollecitato più volte non solo a interrogarci sulla dimensione pubblica del nostro lavoro e del sapere prodotto, ma più in generale a riflettere sui processi di costruzione sociale delle questioni di interesse collettivo. In questi anni abbiamo lavorato insieme, in qualità di ricercatrici e ricercatori universitari, in un progetto di ricerca con modalità partecipativa commissionato dal Comune di Torino per ripensare il sistema dei servizi cittadini per persone senza dimora. Un mandato istituzionale con un obiettivo ambizioso, che ha richiesto a tutti gli attori coinvolti – funzionari pubblici e operatori sociali – un grande impegno, ma anche coraggio e immaginazione. È in questo contesto che abbiamo avuto occasione di conoscere e collaborare con Dana Lauriola, fin dall’inizio una protagonista importante di quel percorso di ricerca-azione. Si è trattato di un percorso nel quale ha preso forma l’esigenza di riconoscere e rafforzare lo statuto pubblico sia dei problemi sociali che delle scelte di policy. È su questo terreno che abbiamo sviluppato un confronto con Dana e altri operatori sociali: come allestire spazi di parola per i vari attori coinvolti nell’implementazione delle politiche, legittimando esperienze e punti di vista differenti? Soprattutto, come promuovere la capacità di “aspirare” – come direbbe l’antropologo Arjun Appadurai – dell’azione pubblica, allargando “i confini del possibile”?

Coordinatrice di un servizio di accoglienza per uomini senza dimora, Dana è una delle poche donne con un ruolo di responsabilità presente ai tavoli istituzionali di coprogettazione. Non passa inosservata durante le riunioni di lavoro perché il suo contributo è sempre appassionato e coraggioso. Dana non ha timore di sostenere posizioni scomode e al tempo stesso, non si abbandona a polemiche sterili. A volte arrivava direttamente dal servizio di accoglienza a lavori iniziati. Aveva staccato dalla notte in dormitorio, magari in sostituzione di un collega, era stanca, ma non meno convinta che il lavoro che stavamo facendo insieme potesse essere utile a cambiare i servizi, le pratiche, a modificare le procedure burocratiche e le culture professionali a favore di quei cittadini da sempre ritenuti “scarti della società”.

Il suo impegno, come quello di tutti i partecipanti, è volto al miglioramento del sistema dei servizi sociali, restituendo dignità alle persone, sia agli ospiti delle strutture di accoglienza sia agli operatori, a tutti gli effetti nuovi working poor. Eppure, anche nei momenti di maggiore sconforto di fronte alle resistenze al cambiamento, alla rigidità della burocrazia che non tiene conto dei vissuti delle persone, molti operatori e Dana per prima ci hanno rimandato l’importanza del lavoro di riflessione e di confronto collettivo che stavamo portando avanti insieme e ha accettato di prendersi anche questo impegno. Insieme abbiamo cercato di dare forma all’impegno scientifico per comprendere le cause e le dinamiche della povertà estrema, ma anche di rispondere a un impegno pubblico di promozione della giustizia sociale all’interno della società e del sistema dei servizi. Dana, e molti altri come lei, non si è tirata indietro perché è protagonista del suo tempo e attenta alle ingiustizie di diverso tipo ‒ ambientali, economiche, di genere, razziste ‒ che attraversano il nostro Paese. Le persone come lei sono preziose perché hanno scelto di stare in spazi difficili, a contatto con la grave emarginazione e di prendersi la responsabilità di provare a cambiare le cose. Durante la pandemia, ad aprile 2020, in un post pubblicato su Facebook, Dana ha scritto: “Nel mondo che si andrà costruendo ci sarà bisogno di tutta la nostra intelligenza (politica e umana), ci vorrà ancora più determinazione e coraggio, lungimiranza, capacità di cambiare”. Noi queste doti e queste capacità le abbiamo viste in lei e in molti suoi colleghi e colleghe che, all’interno dei servizi pubblici e privati in campo sociale, hanno dimostrato intelligenza umana e politica.

Fonte: notav.info

La crisi sanitaria ha indebolito i legami di fiducia tra lo Stato, le istituzioni e la cittadinanza e ha reso evidenti le debolezze del nostro sistema di welfare. Le operatrici e gli operatori sociali, come lo è Dana, sono per la società uno strumento indispensabile per ricucire la frattura che si è creata. Per questo motivo la severa decisione del tribunale di Torino ci lascia sgomenti, perché punisce duramente uno dei suoi cittadini più impegnati. Alla città verrà a mancare – anche se solo momentaneamente – una professionista capace, una giovane donna matura, intelligente e capace di fare la differenza. La decisione presa non impedirà a Dana di continuare a perseguire i princìpi della giustizia sociale ed ecologica che le stanno a cuore, ma lascerà un posto vuoto in spazi importanti, nel lavoro diretto con le persone svantaggiate, nei servizi pubblici della città, nei laboratori di pensiero in cui la stessa amministrazione pubblica cerca di ragionare e trasformarsi in chiave più equa ed egualitaria. Da parte nostra, anche se Dana mancherà fisicamente alle nostre riunioni, faremo tesoro di ciò che abbiamo condiviso fin qui, proseguiremo nella nostra lettura critica della realtà che ci circonda, auspicando che Dana riprenda quanto prima il suo posto.

Torino, 17 settembre 2020

Antonella Meo, Università degli Studi di Torino

Daniela Leonardi, Università degli Studi di Torino

Nicolò Di Prima, dottorando

Silvia Stefani, Università degli Studi di Torino

Valentina Porcellana, Università degli Studi di Torino

 

 

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