Pubblichiamo un estratto del libro di Lia Viola, “Al di là del genere. Modellare i corpi nel Sud Africa urbano”, edito da Mimesis (2013) con la prefazione di Francesco Remotti.
La ricerca di Lia Viola è stata finanziata da una borsa di studio messa a disposizione nel 2011 dal Maurice GLBTQ di Torino.
Concetti che sfuggono ai tentativi di immobilizzarli, fissarli in un attimo e definirli. Racchiuderli nella limpida scatola di una categoria. Assegnare etichette, semplificare, classificare. La sessualità sud africana, i suoi molti nomi e le sue diverse storie, sfuggono a tutto questo, sfuggono al nostro comprendere, al nostro chiarire, spiegare e codificare.
La prima cosa che dovetti imparare tra le strade di Jo’burg[1] è che nessuna delle comode categorie che mi trascinavo dall’Occidente[2] avrebbe compreso quella realtà plastica, permeabile, molle e modificabile. Il mio bagaglio concettuale era dei più moderni, libertari, queer e aperti alla diversità. Mi destreggiavo come un acrobata tra termini come transessuale, transgender, eterosessuale, lesbica, gay, eppure niente di tutto questo mi aiutava a capire ciò che vedevo.
Fu Anthony Manion, direttore di GALA (Gay memory in action) l’unico archivio di documentazione L.G.B.T.I.Q. (Lesbian, Gay, Bisexual, Transgender, Intersex, Queer) di tutta l’Africa, a insinuare per primo con parole il dubbio nella mia mente. Durante il nostro primo incontro, mentre io mi arrampicavo su specchi di categorie, mi mise in allarme sull’infinita varietà umana del Sud Africa attuale. Gay, Lesbica, Transessuale sono termini nuovi, mi disse, termini di recente importazione dall’Occidente. Termini che non si adeguano alla varietà locale. Termini che portano con sé un carico ideologico non indifferente. Termini che non sempre vengono accettati.
Non si può parlare del Sud Africa senza considerare l’infinita varietà di culture, popolazioni, storie che lo hanno creato, costruito, odiato e amato. Non si può studiare il Sud Africa senza considerare gli effetti devastanti dell’apartheid e senza approfondire le speranze antirazziste del presente. Mandela è l’eroe acclamato, venerato come padre di questa terra, come salvatore di tutti. Si dice che solo lui poté salvare questi luoghi, poté evitare che diventassero rossi di sangue e ancora sangue. Anche se di sangue ne fu versato tanto e ancora troppe volte bagna questa terra. Ma quello del Sud Africa è un popolo che sa asciugare le sue lacrime e guardare avanti e che sa acquisire dignità dalla propria memoria.
In questo crocevia di culture, in questo mondo che cambia, che si studia e si rinnova, la sessualità assume un volto complicato, ambiguo, sfuggente e difficile da decifrare. Il genere, i ruoli riproduttivi e familiari, la sessualità e l’intimità sono immagini collegate a filo doppio con la società, la cultura, il potere. Così ogni individualità avrà il suo percorso, i suoi chiari e i suoi scuri, le sue domande irrisolte e le sue abbozzate risposte. Nessuno è libero dal porsi domande in un mondo che continua a cambiare.
La chiamata degli antenati arrivò molto presto per Nkunzi Zandile Nkabinde[3]. Le ripetute malattie che segnarono la sua infanzia non erano altro che l’evidenza del destino. Il futuro le riservava i poteri medici, e con essi i pesi di una vita da sangoma[4]. La vita di un guaritore tradizionale è segnata dal destino di una scelta, la scelta degli antenati. Sono loro a determinare quale corpo li ospiterà, chi si farà carico di concludere le loro vite incompiute, appagare i loro desideri. In cambio doneranno il potere della guarigione, l’accesso a ciò che è mistico e intoccabile ai più, alle conoscenze oscure. Ma è una vita continuamente segnata dalla possessione, dal cadere in balia di energie ancestrali, dall’esaudire desideri di forze altre, che vivono in quel corpo terreno. Nkuzi Zandile Nkabinde si definisce una sangoma lesbica, e il suo corpo è posseduto da due forze: una maschile Nkunzi, più forte e potente, e una femminile Jabulisile. Come in un’altalena il corpo della Sangoma oscilla tra i due generi. È lei stessa a raccontarci questo contrasto:
Jabulisile mi dona il lato femminile e quando lei è con me io mi sento gentile verso le persone. Lei mi fa venire voglia di danzare vestita da donna e sto bene in quell’attimo in questa parte di me. Mi fa amare la mia femminilità. Ma Nkunzi è molto più forte e quando è vicino ho voglia di indossare i pantaloni ed essere un uomo. Nkunzi si sente nudo con un vestito femminile. (Nkunzi Zandile Nkabinde 2008: 73)
Il genere è qui rappresentato in tutta la sua fragilità, temporaneità e negoziazione. Il ruolo sociale diviene situazionale, permeabile a influenze esterne, modificabile. D’un colpo la solida roccia identitaria diviene una modellabile collina d’argilla. Un flusso tra due poli. Un’immagine continuamente negoziata.
Ogni sistema ha i suoi scarti, i suoi individui ai margini, le sue potenzialità altre, sfuggite in parte o completamente al modellamento antropo-poietico. I guaritori sono spesso persone che si collocano lungo i confini, a cavallo tra ciò che è noto e ciò che non lo è, tra cultura e spiritualità. L’ignoto, il mistico, l’inconoscibile, altro non è che quella forza inesauribile che risiede nelle potenzialità altre, eliminate, scartate lungo il processo di formazione individuale. Solo individui ai margini, che corrono lungo i confini culturali possono guardare oltre, nel vuoto delle potenzialità inespresse. Guaritori, sciamani, stregoni, sacerdoti, uomini che della loro marginalità hanno fatto un percorso di conoscenza.
Stanno lì a insegnarci la limitatezza della nostra cultura, la fragilità, la convenzionalità del sistema. Il suo essere solo uno tra le mille altre possibilità. I loro corpi, le loro voci, sono lì a ricordarci che ciò che abbiamo imparato a dare per scontato va invece messo in discussione, che ciò che consideriamo naturale non è altro che una costruzione culturale. Così il corpo di Nkuzi Zandile Nkabinde, nel suo oscillare tra femminilità e mascolinità, ci ricorda la flessibilità di queste categorie. Con una soffusa ironia gioca tra gli opposti: un corpo che può assumere diversi ruoli, pronto ad alleggerire i nostri paradigmi.
Note
[1] “Jo’burg” è il diminutivo di “Johannesburg”. La metropoli sud africana viene quasi sempre chiamata così. Altro diminutivo/vezzeggiativo che viene usato è “Jozi”.
[2] Con il termine “Occidente” intendo lo spazio geografico-economico costituito da Unione Europea ed Unites States of America. Nessuna valutazione ideologica e/o politica è qui sottintesa. Utilizzo detto termine poiché mi risulta utile al fine di indicare l’aerea geografica a cui mi riferisco. Esso inoltre si presta bene a richiamare nella mente del lettore una serie di immagini culturali che accomunano i paesi dello spazio geografico suddetto.
[3] La storia di Nkunzi Zandile Nkabinde è da lei raccontata nel suo libro autobiografico: Black Bull, Ancestor and me. My life as a lesbian sangoma (2008).
[4] Guaritore tradizionale del Sud Africa i cui poteri sono donati dagli antenati. Essi, tramite la possessione, entrano nel corpo prescelto indirizzandone la vita e donando i poteri guaritori.