400 ISO – HOTEL CITY (questo albergo è una casa)

Il progetto “HOTEL CITY (questo albergo è una casa)” di Lorenza Franzoni e Alessandra Calò rientra nella collettiva “La mia foto è la tua foto”, promossa da Ghirba-Biosteria e Associazione La Gabella e inserita nel Circuito OFF di Fotografia Europea 2014, che ha visto via Roma, la  via più interculturale della città, diventare teatro di una serie di esposizioni cui hanno partecipato abitanti e commercianti.

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Il padre faceva il rappresentante di cioccolatini, poi è arrivato l’albergo. Adesso ci lavorano i figli, Corrado e Luca. La crisi si è trascinata via i clienti e il personale, ma ha portato dentro famiglie sfrattate. Solo donne e bambini, però: gli uomini si arrangiano altrove.

Quando non ci sono fiere o altri eventi, i clienti sono sempre gli stessi: profughi che restano solo un pomeriggio e poi se ne vanno via, via dall’Italia il più velocemente possibile; immigrati che tornano ogni volta che non trovano ospitalità presso amici; e poi persone sole, uomini e donne, che abitano in albergo per conto loro o, più spesso, portate dai servizi sociali.

Antonio abita lì da anni, nella stanza dove stanno le valigie di qualcuno che se n’è andato senza pagare, dorme seduto su una sedia per non farsi soffocare dall’asma. È nato nel quartiere Tamburi di Taranto ma ancora l’Ilva non c’era: si è ammalato lavorando a Reggio Emilia.

Salvatore, detto “lo Zio”, risparmia su tutto ma non rinuncia alle donne. Sono loro che si occupano dell’albergo quando Corrado e Luca non ci sono.

Le loro stanze, il frigorifero in comune, il soggiorno in cui tutti gravitano e fumano sono state fotografate da Alessandra Calò, mentre Lorenza Franzoni del Teatro dei Quartieri si è annotata la vita di tutti. L’idea era quella di gettare alla rinfusa le foto sul letto della stanza 5, quella in fondo al corridoio, perché ognuno potesse sedersi e metterle in fila come voleva, ma sono arrivati all’improvviso nuovi profughi, spediti a Reggio Emilia dopo essere sbarcati a Lampedusa, che hanno occupato tutte le stanze. Così le foto sono state appese alle pareti del corridoio e lo Zio le ha raccontate a tutti quelli che sono passati. Antonio, invece, è timido.

Vedere una foto nel luogo in cui è stata scattata può essere interessante, ma lo è ancora di più se si incontra chi abita in quegli spazi e ci si può chiacchierare. Non basta: anche la stanza 5, quella occupata dai profughi, è diventata parte del progetto. Qualcuno ha bussato alla porta ed è rimasto a lungo a parlare con loro, c’è chi ha pianto. Fotografie e realtà raramente convivono in modo simultaneo, al City invece ancora vivono insieme, perché gli abitanti dell’hotel hanno prorogato l’esposizione all’infinito.

 

 

 

 

 

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