Una lettura di “Pensiero terrestre e spazio di gioco. L’orizzonte ecologico dell’esperienza a partire da Merleau-Ponty” (Mimesis, 2019) di Prisca Amoroso.
Pensiero terrestre e spazio di gioco è il frutto di una ricerca che da anni l’autrice porta avanti intorno alle prospettive ecologiche che apre il pensiero filosofico di Maurice Merleau-Ponty. Il libro include una Prefazione del prof. Manlio Iofrida, testimone in prima persona della genesi di quest’opera che è la tesi di dottorato dell’autrice. Due aspetti ne vanno valorizzati: la sua presentazione non dossografica del pensiero merleau-pontiano è il progetto di quella che Amoroso chiama, con lo stesso spirito di rinnovamento, “epistemologia cinematografica”. In questa lettura del volume si dispongono alcuni spunti in queste due direzioni, che idealmente persuaderanno i lettori a tentare anche essi la «terza via», ovvero, quella dell’ambiguità costitutiva dell’atto percettivo come chiave di volta nell’istituirsi di una «soggettività ecologica» (p. 26).
Sono quasi centoquarant’anni da quando Hermann Diels (e, dopo la morte, il caro allievo Walther Kranz) aprì l’orizzonte del genere dossografico alla scrittura della filosofia, mediante l’invenzione dei “Presocratici” come detentori di un sapere filosofico originale. Centoquarant’anni, dodici edizioni tra 1903 e 1966, numerosi cataloghi rielaborati a partire da esse e dedicati a singoli personaggi: è tempo abbastanza da poter istituire una tradizione, dall’aspetto quasi-sistematico benché di fatto si trattasse di una raccolta di testimonianze e frammenti di età ellenistica; veri e propri vangeli secondo Empedocle e secondo Anassagora in cui al problema della “fonte Q” si sostituisce l’anagogia che porta il moderno filosofo a pensare come i Presocratici ebbero pensato.
Se questo mainstream filosofico procede appunto per via delle categorie dossografiche inaugurate da Diels (“il principio e il divino”, “la cosmologia e la meteorologia”, “la psicologia e la fisiologia”), categorie che permetterebbero di parlare di un habitus filosofico , la trattazione di Amoroso invece vuole restituire l’opera di Merleau-Ponty a un’atmosfera di frammentarietà, in cui alla ricostruzione manualistica del pensiero sistematico si antepone l’urgenza di una ricostruzione creativa e alternativa del frammento. Il libro dunque individua quattro centri di gravità nell’intero floruit del filosofo francese: “corpo”, “Terra”, “gioco”, “Essere”. L’autrice insomma mette da parte un criterio di indagine puramente dossografico (che vorrebbe una filosofia “prima”) per valorizzare una ricezione più generale della filosofía di Merleau-Ponty, nel quadro della sua relazione con l’impostazione fenomenologica proposta da Edmund Husserl.
La ricerca svolta sulla relazione di queste due figure centrali della filosofia continentale è evidenza della decisiva attualità del libro di Amoroso, che di tale relazione offre un’immagine non dossografica ed arborescente ma rizomatica; non vi è rigore filologico nel prosaico senso dell’erudizione della monolitica funzione-autore, dei pensieri completi che dicono tutto quel c’è da dire, che elevano la biografia del filosofo a principio di non-contraddizione: vi è rigore filologico nel senso di volontà di aprire un dialogo franco fra due atteggiamenti filosoficii, quello merleau-pontiano e quello husserliano in divenire, incompleti, che significano sempre di più rispetto a quel che c’è da dire.
Infatti, l’interesse di Merleau-Ponty per Husserl viene dall’autrice criticamente affrontato, la sua figura identificata come «qualcosa in più che un convitato di pietra» (p. 121); la lezione di costui viene ri-assemblata con cura a partire dai loci di maggiore affinità con l’opera del “fenomenologo” francese (cfr. pp. 61-63; 97-99; 195-199; 208-210). Si tratta, nel rintracciare quest’affinità, di mettere a punto un adeguato criterio di valutazione relativo alle suddette soggettività ecologiche, cioè ai molteplici processi di naturalizzazione che interessano regioni di flusso percettivo e che avviano linee di soggettivazione che percorrono tutto il pianeta.
Evidentemente, il pensiero terrestre contenuto in questo libro non è un pensiero-figura del globale-sfondo (cfr. p. 55), nello stesso senso in cui la Terra non è un mappamondo; così come il mappamondo permette di coinvolgere la Terra nell’enunciazione sensata, il globale permette di ridurre il terrestre a un diagramma di forze geologiche o geopolitiche: non sono questi i termini in cui si vuole declinare il nocciolo della questione ecologica, ovvero, il topos del posto dell’Uomo nella Natura. Nella sua attualità, questo pensiero terrestre non sembra porsi diacronia alcuna, né costruisce discorsi relativi a passato o futuro, ma pone al cospetto del tempo presente le regioni invisibili e liminali della dossografia: “il corpo e la Terra” che nelle distanze non osservabili delimitano lo spazio di gioco dell’ontologia. È infatti un assioma di questa trattazione che la svolta ecologica delle soggettività si dia in prossimità di un limite (in quanto l’ecologia è un pensiero del finito, oppure ogni ecologia è un’economia, si dice praticamente la stessa cosa).
In questo senso, la proposta di pensiero terrestre di Amoroso non risponde alla configurazione “pensiero nuovo per problema nuovo” ma riflette sulla disposizione modale di tutti quanti i problemi rispetto a un limite dato: quanti Uomini stanno dentro o fuori la Natura, quante Nature stanno dentro o fuori un Uomo. «L’organismo esibisce la capacità di far valere la propria libertà rispetto a un limite: nel fatto che il problema sia nuovo […] uno spazio è restituito alla contingenza» (p. 135). Diventa subito evidente che l’ecologia in questo lavoro non è affatto una semplice partizione dossografica, ma è simultaneamente preludio e chiusura del chiasmo organico che si dà fra soggetto e oggetto.
Ci sono ripercussioni epistemologiche, naturalmente, di questa prospettiva ecologica sulla filosofia merleau-pontiana. La comparsa da protagonista della corporeità non-essenzialistica in Pensiero terrestre e spazio di gioco è possibile grazie alla risemantizzazione della Terra come suolo (trad. ted. Boden) o come superficie su cui palla e giocatori co-determinano un gioco pulito o sporco; si tratta dell’ambigua mediatezza del limite, la persistenza di un’azione a distanza fra corpi dentro e corpi fuori rispetto al limite. Che vi siano più modi di avere i piedi per terra, che sotto il suolo vi siano più pianeti: queste sono conoscenze, repellenti a empirismi o formalismi vari , risultano non da “progressi verso” o “ritorni a” ma da allargamenti verso il laterale.
Perciò, sembra doveroso cogliere, nella proposta di Amoroso, un invito ad abbandonare l’uso del narratore onnisciente nel raccontare la storia della scienza e, in generale, la storia delle discipline e delle tecniche; bisogna rendere visibile il complicarsi dell’atto percettivo, il «riordinamento sistematico» dei modi di vivere che costituiscono quelle verità a cui mira la scienza stessa in quanto ideologia gnoseologica. Nelle parole dello stesso Merleau-Ponty: «può darsi che la scienza paghi la sua esattezza con una schematizzazione, ma il rimedio è allora nel contrapporle un’esperienza integrale, e non nel contrapporle un sapere filosofico venuto da chissà dove» (Il filosofo e la sociologia, 1951).
L’esperienza integrale sarà appunto restituita da un’epistemologia cinematografica che tenga conto di ciò che è dentro e di ciò che è fuori dall’inquadratura delle nostre singole istituzioni; in fin dei conti, l’ecologia non è un tema su cui le discipline possano convergere per il semplice fatto che anche la divergenza stessa tra discipline determina un’ecologia.
Una siffatta epistemologia non scorge nei saperi scientifici una dogmatica di sfondo né un pregiudizio nell’ordine del figurale: l’idea è quella di ricostruire il vincolo fra le percezioni e le conoscenze senza che vi siano costrizioni a scegliere fra linea o circolo, fra “fondazione” o “abitudine”. Senza timore di esagerare, potremmo vedere nel pensiero terrestre proposto da Amoroso un vero e proprio tentativo cartografico, le stesse motivazioni dietro i milesi Anassimandro ed Ecateo (cfr. DK 12 A6), veri e propri soggetti ecologici più che storici; così come le loro mappe furono lo spazio di gioco dei Presocratici, oggi il pensiero terrestre corrisponde a questo rinnovato pensiero che non è né al di sopra né al di sotto della globalizzazione istituita: la ricerca di una soggettività ecologia rimane così libera da reazioni anti-moderne o che fuggono in avanti.
La terza via che apre l’opportunità epistemologica nel pensiero di Merleau-Ponty consiste dunque nel concepire la scienza come cultura immanente di ciò che si dà come natura, cultura che può prescindere di individualismi carismatici né svolte etiche quando si condivide mediante trasfusioni di sangue e memoria, per parafrasare Virginia Woolf (The three guineas, 1938).