Spazi chiusi e conflitto

“Il Buco” di Gaztelu-Urrutia e “Il Condominio” di Ballard.

Fotogramma tratto da Il Buco 

«Questo posto non è adatto a chi ama leggere i libri»  (Il personaggio di Imoguiri in una scena del film).

El Hoyo – tradotto in italiano con Il buco – è il primo lungometraggio del regista Galder Gaztelu-Urrutia. Il film è stato presentato al Toronto International Film Festival del 2019 (premiato con il People’s Choice Award for Midnight Madness), in seguito è stato selezionato per il Torino Film Festival (Premio Scuola Holden per la migliore sceneggiatura), per il Sitges Film Festival (Miglior film) e ha vinto il premio Goya per i migliori effetti speciali; al Toronto International Film Festival il film è stato acquistato da Netflix che lo ha distribuito sulla sua piattaforma a partire dal 20 marzo 2020. Basterebbero i dialoghi semplici – ma memorabili – e le situazioni dai tratti comico-grotteschi a giustificare i numerosi riconoscimenti ottenuti presso i festival internazionali, ma l’intera architettura del film merita di essere discussa, soprattutto in relazione alla scelta della scenografia che evoca le atmosfere tetre e monotone tipiche di molta fiction distopica.

Il buco nasce da una sceneggiatura teatrale di David Desola e Pedro Rivero ed è un horror fantascientifico ambientato in un moderno carcere verticale: cemento, forme squadrate, spazi ridotti all’essenziale, il tutto replicato in maniera identica per un numero apparentemente infinito di piani. L’intero edificio è attraversato da un foro centrale – la fossa – che permette la discesa di una piattaforma rettangolare sulla quale vengono trasportati i pasti dei prigionieri. La piattaforma viene imbandita al livello zero e da lì inizia la discesa verso i piani inferiori, i detenuti – due per ogni piano – hanno pochi minuti per consumare il cibo prima che questa prosegua verso il basso dove gli occupanti dei piani sottostanti sono costretti a cibarsi degli avanzi di chi li ha preceduti. Il controllo sui detenuti è esercitato dall’amministrazione del carcere che gestisce, senza mai palesarsi in concreto, la vita all’interno della fossa: sposta ogni mese i prigionieri da un piano all’altro in modo arbitrario e li punisce, quando tentano di sottrarre e nascondere il cibo, alzando la temperatura del piano fino a carbonizzarli o abbassandola fino a congelarli.

Come spiega un detenuto all’inizio del film, l’umanità che popola la fossa è suddivisa in tre classi di persone: «quelli di sopra, quelli di sotto, e quelli che cadono». Quelli di sopra hanno accesso illimitato al cibo, quello di sotto devono cercare di sopravvivere con il poco che resta – se qualcosa resta – sulla piattaforma, quelli che cadono sono i reclusi che non riescono più a sopportare questa situazione e si gettano nella fossa per mettere fine a una situazione opprimente. Il meccanismo del cambio di piano crea una diseguaglianza che premia, in maniera del tutto casuale, chi si trova in un livello alto, condannando di fatto all’inedia chi si trova ai piani più bassi. Il problema della scarsità di cibo sarebbe arginabile se all’interno della fossa si creasse collaborazione tra i detenuti: se ognuno consumasse solamente lo stretto necessario tutti riuscirebbero a sfamarsi, ma questo non accade perché l’egoismo e l’individualismo prevalgono sulla solidarietà.

Il protagonista del film – Goreng – inizia la permanenza nella fossa al livello quarantotto, successivamente scende di un centinaio di piani, infine riesce a trascorrere un mese in uno dei primi dieci livelli; qui tenta di comunicare con le persone dei piani vicini per convincerle a spartire il cibo in maniera razionale, ma dopo essersi reso conto che «i cambiamenti non si producono mai spontaneamente», decide di impegnarsi in un’azione concreta volta a riequilibrare questa società malata: scendere nella fossa a bordo della piattaforma per tentare – anche attraverso l’uso della violenza –  di far arrivare del cibo agli ultimi livelli.

Il buco, se si eccettuano alcune brevi immagini, è interamente girato all’interno della prigione. Le rigide strutture geometriche e l’ambientazione claustrofobica ricordano altri film di fantascienza distopica ambientati in luoghi chiusi come Cube – Il cubo (1997) di Vincenzo Natali e Snowpiercer (2013) di Bong Joon-ho. Al di là delle numerose e possibili connessioni cinematografiche, la pellicola è intessuta di richiami letterari: la questione dell’indifferenza nei confronti del prossimo ricorda Cecità (1995) di Saramago, mentre il tema della discesa dell’edificio come metafora di un peggioramento nelle condizioni di vita riporta al racconto Sette piani (1937) di Dino Buzzati. Il regista, in un’intervista rilasciata durante il Torino Film Festival, lo ha definito una favola kafkiana e ha indicato l’Inferno di Dante e il Don Chisciotte come intertesti. Il riferimento al Don Chisciotte è il più esplicito sin dall’inizio del film: l’unico oggetto che Goreng porta all’interno del carcere è proprio una copia del capolavoro di Cervantes; un brano del libro viene citato dai personaggi; inoltre, il protagonista è a tutti gli effetti un moderno Don Chisciotte che contrappone un profondo idealismo al materialismo che lo circonda.

L’opera letteraria che presenta il maggior numero di similitudini con Il buco è però High-Rise (1975) di James Ballard. Il condominio, questo il titolo italiano del romanzo, è ambientato in un modernissimo grattacielo in vetro e cemento dotato di negozi e servizi in grado di renderlo autosufficiente – praticamente una città verticale di quaranta piani. Nella sua imitazione del mondo esterno l’edificio riproduce anche la stratificazione della società: i primi dieci piani sono occupati dagli appartenenti alla classe medio-bassa; in quelli intermedi risiede la classe media; negli ultimi cinque piani vive l’upper class. Le condizioni di vita cambiano a seconda del piano di appartenenza, se nel film di Gaztelu-Urrutia è il cibo il metro su cui misurare il benessere, qui è la qualità dei servizi a fare la differenza tra chi risiede ai piani più bassi e chi sta più in alto.

Il condominio ballardiano è servito da impianti tecnologici di ultimissima generazione che però, a seguito di alcuni blackout e malfunzionamenti, iniziano a causare malumori e dispute tra i condomini. Quelle che iniziano come semplici liti degenerano fino a diventare una vera e propria lotta tra gli abitanti dei diversi piani per il controllo delle risorse e del territorio. Con il precipitare della situazione i residenti decidono di autoisolarsi all’interno dell’edificio e di lasciarsi andare a un collettivo imbarbarimento in cui le regole di convivenza vengono obliterate per lasciare spazio a una società basata sulla violenza e sull’oppressione. In questo clima di regressione generale si creano le condizioni perfette per uno spostamento tra i piani del condominio, se nel Buco il protagonista del film muove verso il basso, qui osserviamo invece un movimento verso l’alto: uno dei personaggi principali si avventura tra le barricate che bloccano i corridoi intenzionato a raggiungere i piani superiori cimentandosi in una simbolica arrampicata sociale.

Il condomino viene spesso considerato un romanzo anticipatore in cui Ballard è riuscito a descrivere, in maniera iperbolica e metaforica, quello che da lì a pochi anni si sarebbe realizzato nella società britannica: la pubblicazione del romanzo si colloca infatti negli anni che precedono l’ascesa al potere di Margaret Thatcher che, con le sue politiche, favorì la formazione di un sistema economico fondata sul neoliberismo intriso di darwinismo sociale. Questa lettura socio-politica viene ripresa e amplificata dall’adattamento cinematografico del romanzo di Ballard, High-Rise – La rivolta (2015) di Ben Wheatley, che si chiude proprio con un discorso della Thatcher sul capitalismo. Una lettura simile si può facilmente accostare anche al film Il Buco che, nella sua semplice struttura, rappresenta una critica in chiave allegorica del sistema capitalistico.

Il buco e Il condominio condividono di fatto molti tratti comuni, la suddivisione in classi su diversi piani, il problema della scarsità di risorse, la lotta per la sopravvivenza, il movimento dei protagonisti all’interno dell’edificio, ma l’aspetto più evidente, anche a una lettura superficiale, riguarda l’ambientazione: entrambe le vicende si svolgono in uno spazio verticale, isolato dal mondo esterno, in cui vigono regole differenti. La fossa e il grattacielo, non si limitano a fare da scenografia, sono elementi attivi della trama che imprigionano i personaggi entro uno spazio fisico e narrativo in grado di determinare le loro azioni: in entrambe le opere l’esistenza del singolo è infatti condizionata dalle imposizioni derivanti dall’ambiente.

Gli spazi al centro dei testi analizzati non sono due luoghi ordinari. L’antropologo Marc Augé li definirebbe dei non luoghi, ovvero degli spazi non relazionali, non identitari e non storici, che rappresentano il contrario dell’utopia. Nei non luoghi la socialità è effimera, è difficile riconoscersi e appartenere, e non si può entrare in contatto con il passato perché ne sono privi. Gli esempi di nonluoghi presentati da Augé sono quei mezzi e quegli spazi dedicati al trasporto e allo spostamento di persone e beni (autostrade, stazioni e aeroporti), ma elenca anche i grandi centri commerciali, le catene alberghiere, o i campi profughi e le bidonville. Nella produzione letteraria di James Ballard a partire dagli anni Settanta si ritrovano spesso dei paesaggi urbani non convenzionali caratterizzati da luoghi chiusi, controllati, o di difficile accesso, che sembrano scelti seguendo le indicazioni dettate da Augé: un’isola spartitraffico in una rete autostradale (L’isola di cemento), una gated community (Un gioco da bambimi), un esclusivo resort sulla costa spagnola (Cocaine Nights), un parco tecnologico nel sud della Francia (Super-Cannes), un moderno quartiere residenziale di lusso a Londra (Millennium People), un centro commerciale (Regno a venire). Questi spazi, che tendono a isolare gli abitanti ed escludere gli indesiderati in un’ottica di protezione e salvaguardia di un ecosistema esclusivo, sono frequentati da una collettività che vive sospesa in un mondo privo di eventi, cullata dalla tecnologia e dall’illusione della sicurezza. Nei romanzi, Ballard racconta la reazione dei personaggi a questo eccesso di normalità, reazione che consiste quasi sempre nell’abbandonare le norme che appartengono al mondo esterno per rifugiarsi nella psicopatologia e vivere secondo un nuovo codice sociale che si esprime attraverso il linguaggio della violenza.

Il condominio è un esempio di non luogo, ma lo stesso si può dire della prigione: sono entrambi ambienti che non ospitano una società organica, ma una popolazione eterogenea che per i motivi più diversi si trova a condividere uno spazio, rispettivamente abitativo e detentivo. Le architetture rigide dei due edifici, unite all’impossibilità di uscire, rendono gli individui liberi di esplorare il loro lato più oscuro e violento. Il mondo esterno è rimosso da entrambi i testi, non esiste azione al di fuori degli spazi chiusi che imprigionano i personaggi e non c’è l’intervento di nessuna autorità per porre limite o fermare le loro azioni degenerate. Nel condominio di Ballard gli abitanti si relazionano tra loro solamente attraverso un atteggiamento violento e distruttivo, in modo simile, i detenuti del Buco, si uniformano al comportamento diffuso che vede l’egoismo come paradigma di pensiero per la sopravvivenza: homo homini lupus secondo l’interpretazione della natura umana fornita da Thomas Hobbes.

James Ballard e Galder Gaztelu-Urrutia raccontano una società in subbuglio pronta a perdere il controllo e ad abbandonarsi a pulsioni ancestrali. Gli abitanti del condominio scivolano senza remore verso un nuovo ordine basato sulla legge del più forte. I detenuti della fossa rappresentano un’umanità in cui non esiste solidarietà, dove l’ideale di redistribuzione della ricchezza si scontra con la mancata assunzione di responsabilità dei singoli e il film cerca di interrogare la responsabilità individuale di ognuno in una società in cui mangiare o essere mangiati assume un significato letterale.

High-Rise di Ballard. Dettaglio della copertina
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