Panorama o L’umanità fatta paesaggio

Ottavio Tondi, il protagonista di Panorama di Tommaso Pincio (NN editore) è un lettore. Di quelli fortissimi. Tanto da essere, più di ogni altra cosa, un abitante dei libri – delle parole scritte, e non importa come, o da chi: legge ogni cosa.

Il modo migliore di leggere, per Ottavio Tondi, è starsene in silenzio, seduto sul suo divano, sfogliando le pagine lentamente. Ed essendo questa la sua attività preferita, quella a cui dedica più tempo, lui e il suo divano, da un certo punto in poi, diventano tutt’uno: appare così un uomo-divano, che non è tanto una mera fusione quanto un’entità nuova: silenziosa, introflessa, indolente, estraniata e straniante, pingue, molle, rilassante, ma anche attraente, perché no, enigmatica, e quindi metafisica, una figura quasi catartica e taumaturgica – a tratti una specie di divinità.

Da qui si dipana la storia, suo malgrado rocambolesca, del povero Ottavio Tondi, che altro non ha mai cercato se non di vivere per mezzo dei libri, in pace, all’interno del suo perimetro di sicurezza, o zona di conforto che dir si voglia, ma, colpa della vita, della prassi e dei suoi accidenti, senza mai riuscirci.

“Panorama”, da cui il titolo del romanzo, è un social network. Consente di spiare, via webcam, la vita degli altri utenti all’interno delle loro abitazioni.

Panorama ricorda fin troppo – è lo stesso Tondi a parlarne – il celebre Panopticon di Jeremy Bentham, carcere dalla struttura circolare in cui il sorvegliante, stando nel mezzo, era in grado di tener d’occhio ogni singola cella, muovendosi lungo tutti i trecentosessanta gradi a disposizione.

Anche Ottavio Tondi, in un futuro di poco prossimo al nostro, è su Panorama. Ma la sua webcam fissa ininterrottamente la mensola della sua libreria.

Pur non essendo il centro effettivo del racconto, il social Panorama è il punto di raccordo dei temi messi in ballo nella narrazione: la letteratura, il rapporto tra individualismo e società attuale, e un qualcosa che potrebbe definirsi, forse, ma molto probabilmente no, amore.

Il tema della letteratura passa attraverso Panorama manifestandosi inizialmente nella corrispondenza virtuale che il protagonista intrattiene con Ligeia Tissot, una giovane donna anche lei lettrice accanita, quasi insaziabile.

«Perché li giudichi tanto male?» domanda lui dopo che Ligeia si mostra contraria all’idea che qualcuno possa vendere a un editore le carte di un parente o di un conoscente venuto a mancare. Continua Tondi: «Ti dirò di più, mia cara, trovo perfino giusto o quantomeno naturale che i vivi facciano scempio dell’intimità degli antenati. Che c’è di strano o di disdicevole nel cibarsi dei loro segreti? Un tempo gli uomini mangiavano il cervello del morto per assimilarne lo spirito, oggi ci accontentiamo di divorarne il privato, l’incoffessato. Il principio resta il medesimo».

La prima pulsione dell’essere umano, in un’ottica letteraria ma ante litteram, è descritta come fame atavica e violenta di segreti altrui; non si sa bene se per curiosità fine a se stessa oppure per un più nobile fine, ovvero un’ancestrale volontà di conoscenza, il voler arrivare al centro del mistero della vita facendo razzia di ogni cosa si abbia davanti, guardando al prossimo e alle cose che un tempo gli sono appartenute come oggetti che devono tornare nel tutto, in un sostrato comune: nutrimento spirituale e materiale per chi ancora è su questa terra.

Partendo da qui, da questa giustificazione massima e indiscriminata e totale, la dimensione letteraria  contamina materialmente la narrazione, sia a livello diegetico che metanarrativo, azionando il dispositivo del romanzo postmoderno: ci si interroga sui perché della letteratura facendo letteratura, si assemblano pezzi di libri altrui (classici e contemporanei) costruendo allo stesso tempo il proprio libro – e in questo caso è emblematica la situazione in cui Tondi, intervistato da un Antonio Gnoli prestato alla fiction, risponde alle domande poste citando esclusivamente brani di altri scrittori.

E proprio il discorso di Ottavio Tondi sulla letteratura come banchetto delle altrui cervella è la descrizione di ciò che il lettore materiale di Panorama – stavolta inteso come romanzo – ha davanti a sé: il resoconto, più o meno dettagliato a seconda dei periodi, della vita del protagonista ricostruita attraverso dicerie, aneddoti, appunti e corrispondenze olografi, messa in atto proprio dalla voce narrante, che arriva a tutto questo materiale in un secondo momento, per vie non molto chiare e con il diretto interessato ormai uscito di scena; difatti, il narratore, dalla voce tanto pacata quanto elegante e neutrale – tanto da sembrare l’emanazione stessa del carattere di Tondi – non fa che assimilarne lo spirito, divorarne il privato e l’inconfessato.

Anche Ottavio Tondi, in quanto lettore e utente, si ciba senza sosta dello “spirito” di autori letterari e semplici utenti social, così come chi ricostruisce e racconta la sua vita si ciba dei suoi carteggi, reali e virtuali, e così come a sua volta fa il lettore in carne e ossa, in una sorta di catena alimentare raffigurabile dal pesce più piccolo che viene inghiottito da quello più grande, ad libitum.

Cosa rimane poi del nutrimento letterario, è un mistero. Un fatto individuale. Che però viene continuamente esplorato nel romanzo, a mo’ di indagine.

Il racconto è talmente vicino a Ottavio Tondi, ed egli stesso talmente introflesso e lontano da un qualsiasi centro, che la vicenda richiama fantasmi su fantasmi, e alcuni di questi sembrano appartenere, paragonati proprio alla figura di Tondi, a un certo individualismo da eroe romantico – la clausura autoindotta, la tensione perlopiù metafisica nei confronti della vita, la costante ricerca di un sapere superiore – seppur immersi nel contesto attuale, quindi alle prese con l’apatia e il nichilismo dei nostri tempi; esemplare, in questo senso, il rifiuto categorico che Tondi applica alla scrittura («Immagino che tu scriva, però», «In che senso?», «Libri tuoi, romanzi», «No, perché dovrei?», «Non so, tutti scrivono qualcosa prima o poi», «Non io. Mi interessa leggere», è il dialogo di presentazione fra lui e il direttore della casa editrice per cui lavorerà come lettore), che oltre a rimandare alle figura di Bartleby e all’echeggiare del suo “I would prefer not to”, e di riflesso al diario di scrittore-non-scrittore del Vila-Matas di Bartleby e compagnia, sanciscono la siderale lontananza tra il pensiero e l’azione, tra il fragile quanto narcisistico individualismo e la violenza del sociale, degli accadimenti della vita.

Distanza che però non attiene alla prassi: per quanto Ottavio Tondi non faccia altro che fuggire da ogni pericolo, cercando di esorcizzare la vita stessa mettendosi al centro di una sorta di cerchio magico, al riparo da sorprese, umiliazioni, o anche soltanto da una minima variazione all’abituale, la realtà, la dura e violenta realtà urbana – una sorta di discendente della natura matrigna leopardiana – non fa che assalirlo, tendergli agguati, colpirlo fino a renderlo letteralmente un essere in fin di vita (la prima volta per una durissima e apparentemente immotivata aggressione, la seconda per un incidente stradale).

L’evocazione compulsiva del cerchio – già a partire dal nome parlante, “Ottavio Tondi” –, nel tentativo di trovare una ciclicità che valga sia come senso esistenziale e, contemporaneamente, come spazio sicuro entro il quale condurre la sua vita contemplativa, prende una forma concreta nel momento in cui il protagonista decide di acquistare una macchina e girare intorno a Roma, senza soluzione di continuità, su quel cerchio tanto astratto quanto reale che è il Grande Raccordo Anulare: decide di farlo in un momento caotico, spaventoso e insensato della sua esistenza, e per quanto sembri inizialmente funzionare, arriva il punto in cui la realtà torna a intromettersi con la solita violenza: Tondi si ribalta con tutta l’automobile, e il cerchio si spezza. La vita vera di Ottavio Tondi è simile a un nascondino dove puntualmente, quando un equilibrio sembra raggiunto, viene sempre stanato e costretto a pagare pegno.

L’unico motore “esterno” alla materia puramente astratta in cui sembra galleggiare Tondi è un qualcosa di simile all’amore. L’amore verso le figure femminili di Maddalena (una giovane escort presentatagli dal direttore editoriale) e Ligeia Tissot (la ragazza conosciuta tramite Panorama) è l’unico sentimento positivo che riesca a generare una tensione genuina verso il mondo esterno. Ovviamente, né Maddalena né Ligeia riescono a restituirgli l’amore sperato: la prima perché, vista la situazione, ha con Tondi un rapporto poco più intimo di quello che generalmente si può concedere a un cliente; la seconda rappresenta la classica situazione troppo bella per esser vera, e infatti – pur lasciando aperte diverse interpretazioni e soluzioni – Ligeia Tissot si rivela un’allucinazione, un vero e proprio fantasma, creato per vendetta, secondo le teorie di Tondi, dal poeta Mario Esquilino – la cui raccolta venne scartata da Tondi nel periodo in cui svolgeva il suo amato lavoro di lettore.

La parabola di Ottavio Tondi si sviluppa e si compie entro i canoni della tragedia: per sancire la sua alienata individualità, egli esce di scena nel momento in cui apprende che la distanza fra sé e gli altri è insanabile. Ma rimane un dubbio: se a tradirlo sia stata più la vita o la letteratura.

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