VHS: Ai tempi dello schermo a tubo catodico

(Ovvero: quando la televisione sapeva raccontare il contemporaneo)

Silvia Jop

Oggi la televisione, svanito l’intento originario che l’aveva partorita con il corpo e lo spirito di mezzo/strumento di formazione, informazione, approfondimento, analisi e comunicazione, si è trasformata in una sorta di sostanza stupefacente utile a riempire di vuoto gli angoli delle nostre teste e spesso strumentale per un’azione di rimozione forzata (indolore per via della potenza ipnotica dell’oggetto in questione) del carico quotidiano che ognuo di noi si trova a dover gestire nell’economia delle proprie giornate.

All’accensione della televisione corrisponde, nella maggior parte dei casi, lo spegnimento di quella parte delle strutture cognitive utili all’esercizio dei processi elaborativi che ci consentono di trasformare in esperienza le cose che osserviamo e che viviamo.

Come se, paradossalmente, all’evoluzione delle tecnologie che hanno portato l’oggetto “TV” – nato ingombrante e profondo come uno scatolone per i traslochi (quelli importanti, quelli di una vita), e diventato magro come una sottiletta (quasi senza corpo, come rinunciando allo spazio necessario a contenere la prospettiva di corpi fisici e concettuali) – fosse corrisposta un’involuzione delle sue prospettive e di conseguenza dei suoi contenuti. La televisione, per quanto riguarda la gran parte dei materiali che vi circolano “all’interno”, ha smesso di cercare di leggere lo spessore della contemporaneità che abita per ripiegare sulla mono-dimensionalità di una narrazione/specchio del presente dove estetiche d’accatto e parole tendenzialmente vuote dettano legge, diventando rappresentazione squalificante di ciò che vi accade attorno e al contempo esercitando un’azione plagiante sul mondo che ne raccoglie gli sbarluccichii.

Ma, per l’appunto, non è sempre stato così.

“C’è stato un tempo in cui”, dentro a quello scatolone che ha conquistato la tecnologia per restituire colori ai corpi e alle storie che raccontava, sono passate trame complesse di sguardi tridimensionali impegnati a discutere, masticare, raccontare, analizzare, raccogliere la contemporaneità e le sue forme più alte e quelle più basse.

Abbiamo deciso di cominciare, come Pollicino con i sassolini bianchi e le briciole di pane poi, a ripercorrere per morsi la strada che ci riporta a “casa”. Al tempo in cui la Televisione ha provato a diventare ed essere uno strumento di approfondimento della realtà anzichè un diversivo per evitarla.

Abbiamo raccolto una prima parte di contributi preziosi che danno avvio a questo percorso che speriamo sempre più partecipato. Per restituire al presente che ci spetta ogni possibile forma di narrazione.

A partire da questa prima ricognizione, uno dei dati più lampanti che sgretola – restituendole lo statuto di realtà, imperfetta – questa visione eccessivamente idilliaca del passato di questo strumento, è la sproporzione disarmante (seppur attesa e ahimè ovvia) dei contributi maschili su quelli femminili.

La macro narrazione, come abbiamo avuto modo di rilevare in alcune riflessioni interamente dedicate alle questioni di genere, è sempre stata monca. Anche in un periodo storico in cui si è tentato di restituire alla ricostruzione della realtà uno sguardo complesso, la donna ha dovuto fare i conti con un dispositivo di rimozione forzata che oggi è stato bypassato, ancora una volta, con la sovraesposizione del suo corpo.

Anche per questo pensiamo sia importante dedicarsi a questo lavoro condiviso e partecipato di raccolta di materiali. Per poi restituirne una lettura critica e necessaria.

Cominciamo oggi con: Monicelli, Moretti, Chomsky, Foucault, Sapienza, Basaglia, Pasolini, Bene, Kerouac, Pivano, Placido, Cassola, Cavarero, Betti, Eco, Poli, De Filippo, Totò, Calvino, Levi.

Source: pinterest.com via lavoro on Pinterest

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