La cima della montagna ha fatto un fumo molto caliginoso

Analisi dei disastrosi incendi dell’estate 2017 sul Vesuvio (seconda parte)

Pubblichiamo la seconda parte dell’articolo di Giovanni Gugg sugli incendi che hanno interessato l’area vesuviana nella scorsa estate. La prima parte è disponibile qui.

Gli effetti sociali degli incendi

I disastri non sono eventi naturali, ma sono invece processi che si manifestano nel punto di connessione tra società, tecnologia ed ambiente, all’intersezione della pratica umana e della materialità ambientale. Tale consapevolezza non è esclusiva degli studiosi, ma – almeno in merito al caso degli incendi – è diffusa e, paradossalmente, esposta ad usi disparati, anche propagandistici. Il ricorso retorico all’«attacco criminale», ad esempio, è ricorrente tra le letture proposte dalle autorità in seguito ad un vasto incendio. Nel 2007 il rogo del Gargano fu immediatamente riportato dall’allora capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, ad un «disegno criminoso» e, allo stesso modo, nel 2017 le istituzioni campane hanno prontamente indicato ancora nella criminalità la mano devastatrice, addirittura con finalità eversive. Secondo il Presidente del Parco Nazionale del Vesuvio, Casillo:

«siamo di fronte ad un fenomeno criminale che necessita di una forte azione di contrasto e repressione […]. Oggi serve un grande progetto, un vero e proprio “piano Marshall” per far sì che si superino tutte le criticità che da decenni non hanno permesso al Parco di diventare quel motore di sviluppo sostenibile capace di cambiare il corso della storia dell’area vesuviana» (dichiarazioni del 10 luglio e del 6 agosto). 

Dal canto suo, il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ritiene che:

«si tratta di un disegno eversivo con 29 punti di innesco di roghi. Chi ha vissuto per anni sull’economia dell’emergenza mira a ricreare le condizioni per guadagnare perpetrando i disastri, ma noi continueremo la nostra azione contro ogni interesse criminale» (dichiarazione del 17 luglio). 

Questo approccio è stato ulteriormente rimarcato il 16 ottobre in occasione di un convegno ad inviti organizzato dai Carabinieri, Tutelare i boschi dagli incendi: proposte e azioni per la salvaguardia ed il recupero del territorio. Caso studio: il Vesuvio in cui erano previsti due ministri (Galletti per lAmbiente e Martina per lAgricoltura), il prefetto di Napoli, il sindaco della città, il governatore regionale, il presidente del Parco vesuviano, il comandante generale dei Carabinieri (Del Sette) e altri vertici militari, il cardinale Sepe, i rappresentanti nazionali di alcune associazioni ambientaliste (Legambiente, WWF, Lipu) e qualche accademico italiano. Talvolta esplicito, più spesso implicito, il riferimento all«attacco criminale» ha funto da sotto traccia di gran parte degli interventi, come ad esempio nelle conclusioni del generale Del Sette:

«Dalle indagini che finora abbiamo svolto non ci sono riscontri su interessamenti della criminalità organizzata classica, però certamente ci sono degli interessi anche quando gli incendi sono dolosi e muovono da attività illegittime».  

Tra le rare critiche istituzionali, la più ripresa è stata quella di un ritardo nell’intervento di spegnimento dovuto al passaggio del Corpo Forestale dello Stato nei CarabinieriAl di là del rischio propagandistico dell’insistere solo su tale dimensione, analizzando il linguaggio di questi amministratori, Chiara De Caprio ha evidenziato che,

«anche facendo finta che quello del Vesuvio sia un marginale episodio di cronaca locale, c’è un aspetto emotivo, culturale e identitario trascurato da chi [ne] cura la comunicazione politica».

Infatti, sebbene attenta all’individuazione dei responsabili, la cittadinanza si è domandata anche se la Regione e il Parco avessero fatto quanto necessario, nei mesi precedenti, per scongiurare ciò poi è effettivamente accaduto: che i roghi siano riconducibili alla camorra (ipotesi scartata dagli inquirenti sebbene resti il rischio per la fase di bonifica e rimboschimento) o a distrazioni, negligenze e patologie, quel che non cambia è che l’intera area è vittima, dice Antonio di Gennaro, di una «amnesia territoriale» in cui la prevenzione è una chimera.

Lo sdegno per una distruzione insensata e nichilista, la violenta emozione per un evento percepito da tutti come disastroso sono stati una potente motivazione civica e politica: dibattiti, discussioni, manifestazioni, appelli, riunioni si sono tenute per tutta l’estate e continuano ad essere organizzate nell’intero comprensorio vesuviano anche a mesi di distanza. Le preoccupazioni si sono acuite, non sopite: c’è apprensione per la ricca e fragile biodiversità vesuviana, quasi azzerata, che se non correttamente ripristinata rischia di sparire sopraffatta da piante infestanti e più resistenti (lo spiega lo scienziato forestale Silvano Somma durante un sopralluogo nelle zone bruciate; c’è inquietudine per il rischio idrogeologico che si presenterà con le piogge autunnali, come avvertito dai ricercatori del CNR  e come già sperimentato l’11 settembre, con una “lava” di acqua, tronchi e detriti venuta giù con un primo acquazzone  c’è agitazione intorno ai progetti di bonifica e di ingegneria naturalistica da intraprendere quanto prima e che, osserva il progettista delle opere vesuviane distrutte, Gino Menegazzi, richiedono non una manutenzione in sé, ma una cura costante della rete sentieristica; c’è stupore, infine, dinnanzi ai primi eventi post-incendio intrapresi dall’ente Parco, ossia concerti sul cratere e sagre di prodotti tipici, che pongono seri dubbi sulla “visione” di area protetta che può ispirare il «processo di Rinascita» (della comunità e dell’istituzione), come lo definisce Cittadini per il Parco.

Gli incendi boschivi provocano ogni anno danni ingenti, difficilmente quantificabili, ferite spesso faticosamente sanabili per i preziosi ecosistemi della penisola italiana. Il costo del fuoco, però, aumenta se oltre al patrimonio naturale vengono danneggiati anche centri abitati, insediamenti industriali e strutture turistiche, in un effetto domino erosivo e deteriorante che può mettere a repentaglio la vita umana stessa. Un ulteriore grande limite, inoltre, è l’agire solo in stato di emergenza, dunque in perenne ritardo. Come ripetono gli esperti di settore,«quando intervengono elicotteri e aerei la battaglia contro l’incendio è già perduta. Perché questa è una battaglia che si vince solo prevenendone le cause» (Leone 2017: 38). Eppure, specifica Legambiente:

«la gestione degli incendi non si limita alla prevenzione ed estinzione, ma riguarda anche e soprattutto la previsione del pericolo prima che si verifichi un incendio, [ad esempio attraverso] la pratica del cosiddetto “fuoco prescritto”, tecnica selvicolturale di prevenzione che consente di condurre il fuoco in sicurezza», riducendo l’infiammabilità del territorio (Legambiente 2017: 3).

Ciò che sappiamo bene è che le aree percorse dal fuoco hanno tempi di recupero molto lenti, in relazione alla frequenza, all’estensione e alla complessità dell’ecosistema colpito: per ripristinare un bosco d’alto fusto occorre circa un secolo, mentre nei boschi cedui occorrono fino a dieci anni per ricreare la copertura vegetale. Quel che conosciamo meno, invece, è la tenuta sociale e culturale dopo un incendio vasto quanto quello del Vesuvio: se l’identità collettiva è connessa al paesaggio, il mutare di questo a causa di un evento dirompente, come appunto anche un rogo esteso, può avere ripercussioni sulla vita quotidiana. Andrew Butler e i suoi colleghi se ne sono occupati in merito ad un incendio nel centro della Svezia che nel 2014 ha percorso 14.000 ettari, distrutto 20 case e costretto alla fuga 1200 persone (Butler et al. 2017). Al di là del danno fisico al paesaggio, gli autori si concentrano anche su perdite meno tangibili, quelle esistenziali. Dopo un incendio boschivo viene creata una nuova geografia, il paesaggio cambia drasticamente e scompaiono molti elementi significanti intorno a cui si forma l’identità collettiva. Le lacerazioni del paesaggio diventano dunque molto più ardue da quantificare rispetto alle perdite economiche e materiali, dacché la maggiore difficoltà nell’individuarne le problematiche e nel discuterne le conseguenze. Nel caso vesuviano si sono ascoltati e letti commenti profondamente addolorati, come quelli della studentessa Laura Noviello già pubblicati in occasione dei roghi del 2015:

«[…] Arde il Vesuvio, arde tutto… arde l’anima di chi può solo chiedere aiuto, impotente. Nel devastante silenzio dell’indifferenza di chi può e non agisce e nel fallimento di chi avrebbe potuto, tutto arde, e poco possiamo noi. Fiamme che diventano lacrime, lacrime di fuoco… osservate e non comprese da chi sopravvive all’esistenza […]». 

Tuttavia, se da un lato il disastro causa sconcerto e sofferenza, è anche vero che dall’altro esso può attivare degli elementi di intraprendenza e di ingegno che fungono da alternativa al trauma sociale e psicologico estremo. Da questo punto di vista, l’incendio del 2017 è stato un catalizzatore per tante associazioni locali, ne ha fatte emergere di vecchie e nuove, ne ha favorito l’avvicinamento reciproco e, sebbene brutalmente, ha ricordato che il rischio è un concetto complesso strettamente connesso all’equilibrio che una determinata società è in grado di trovare col proprio ecosistema. Il fuoco che ha avvolto il vulcano napoletano ha dunque certamente ridefinito il panorama dell’attivismo vesuviano, ma per quanto tempo e con quali effetti sociali e politici concreti, è tuttavia ancora presto per dirlo.

Bibliografia

Roberto E. Barrios, 2017: “Governing Affect. Neoliberalism and Disaster Reconstruction”, Nebrasca University Press, Lincoln.

A. Butler, I. Sarlöv-Herlin, I. Knez, E. Ångman, Å. Ode Sang, A. Åkerskog, 2017: “Landscape identity, before and after a forest fire”, in “Landscape Research”, vol. 42, issue 6, disponibile online in pdf.

Ignazio E. Buttitta, 2002: “Il fuoco. Simbolismo e pratiche rituali”, Sellerio, Palermo.

E. Canetti, 2002: “Massa e potere”, Adelphi, Milano.

R. Casapullo, 2014: “Note sull’italiano della vulcanologia fra Seicento e Settecento”, in R. Casapullo – L. Gianfrancesco (a cura di), “Napoli e il Gigante. Il Vesuvio tra immagine, scrittura e memoria”, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli (Catanzaro).

Legambiente, 2017: “Dossier incendi 2017. Aggiornamento al 27 luglio 2017”, disponibile online in pdf.

U. Leone, 2017: “È tutto un incendio. Prevenzione, l’arma vincente”, in “Rocca”, n. 18, 15 settembre.

V. November, 2003: “L’incendie créateur de quartier ou comment le risque dynamise le territoire”, in “Cahiers de géographie du Québec”, vol. 47, n. 132, dicembre, disponibile online in pdf.

WWF, 2008: “Gli incendi boschivi. Le cause, le leggi, gli strumenti di tutela. Le proposte del WWF Italia”, giugno, disponibile online in pdf.

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