Nella giornata campale della riforma renziana della scuola vi presentiamo un sogno, una riflessione, una cattiva visione, che anticipa le riflessioni, meno oniriche e più argomentate, di Teste e colli. Cronache dell’istruzione ai tempi della Buona Scuola, in uscita nei prossimi giorni per la collana “Gli ebook de Il lavoro culturale”.
Poiché lo scopo a cui la Compagnia mira direttamente è quello di aiutare
le anime proprie e dei prossimi a conseguire il fine per il quale furono create;
e poiché a questo scopo, altre all’esempio della vita, sono necessari la dottrina e il modo di esporla;
[….] è necessario trattare della formazione degli studi e del modo di usarli.
(La Ratio Studiorum e la IV parte delle Costituzioni della Compagnia di Gesù,
a cura di Barbera M., Cedam, Padova, 1942)
Quella mattina del 2115, anno del centenario della Cattività Fiorentina della scuola pubblica, il professor Kappa si era risvegliato nel suo lettuccio cigolante, inzuppato di sudore. Faceva caldo, ormai da lustri, anche a novembre. Doveva sbrigarsi, raccogliere dal caos della sua scrivania il tablet con l’iper-manuale di coding per mano sinistra e correre verso il Polo Unico di Istruzione Provinciale, dove lo attendeva il Giudizio. Dopo anni di peregrinazioni lungo l’Appennino, era finalmente entrato a far parte della quota unica dei meritevoli, di coloro che ricevevano lo stipendio ogni mese. Si sarebbe seduto al tavolo dei Giusti. Sulla porta della stanza con la Rete-sempre-accesa lo aspettava il suo collega mentor, l’anziano Sciagura, così chiamato perché a tanti aveva negato quel privilegio che oggi, il volere comune, gli avrebbe concesso. Sciagura lo salutò con un cenno del capo, poi aprì la porta e gli disse, rauco:
«Accomodati Kappa. L’Istituto Transnazionale per la Valutazione e la Cittadinanza si collegherà con il nostro Learning Management System fra pochi minuti».
«Va bene. Quando tempo durerà professore? Sa, ho la batteria di classi scoperte, non vorrei che si consumasse uno scontro fra gang…»
«Via, via Kappa! Cosa vuole che succeda! Qualche ferito in più, qualche “studente” in meno».
«Mi scusi, ha ragione. Non è affar mio».
«Bene, adesso la devo lasciare. Ho una riunione con l’Associazione dei Fighters del ’15. La nostra gloriosa Rivoluzione della Valutazione ha sempre bisogno di essere ricordata, di farsi spazio nella memoria del Paese. Abbiamo il dovere di ricordare quello che era la scuola prima del 2015. Il caos, il buio, il Regno del Sindacato e dello spreco». Sciagura girò sui tacchi e andò via, borbottando ancora qualcosa. Lasciò Kappa da solo, nella stanza dove il tubo tridimensionale proiettava gli olo-messaggi dell’Istituto Transnazionale. Attendeva la materializzazione olografica di un Valutatore con ranking basso, una Tarantola, come si diceva nelle riunioni clandestine di insegnanti.
La Tarantola comparve, all’improvviso, lo sorprese immerso nei pensieri. Lo guardò torvo, sospettando malumore e pessimismo, deglutì e, senza proferire parola, lo condusse di fronte al Giudizio del Primo valutatore Immobile. «Eccoci infine», pensò Kappa, emozionato, commosso come quando era bambino. Sapeva che adesso poteva dare un senso a quelle parole che aveva letto sulle pagine di carta, trafugate dai ruderi della vecchia biblioteca: «Un’altra sostanza è immobile, e alcuni dicono che essa esiste separatamente. Solo essa non è soggetta al mutamento». Chiuse gli occhi, li riaprì, li strizzò un po’ e attese che sullo schermo comparisse l’ologramma del Primo Valutatore Immobile. Non resse all’emozione e svenne.
Svenne come sicuramente devo essere svenuto anch’io. Scivolato dentro una delle buche del divano in salone. E nel frattempo devo aver sognato. Di Kappa, dell’Istituto Transnazionale e del Primo Valutatore Immobile. Fisso il televisore e mi ricordo che a breve inizierà la presentazione della riforma della scuola promossa dal Governo Renzi. Accendo la TV, mano al telecomando, la diretta è già iniziata. Provo a scrollarmi di dosso il senso di inquietudine che mi ha lasciato il sogno ma tutto quello che ottengo è di perdere di vista anche quel poco di realtà che avevo afferrato.
Intanto in TV squillano le trombe. Suona la filarmonica. I ragazzi della Junior Orchestra dell’accademia di Santa Cecilia intonano l’”Inno alla Gioia” e due presentatori-bambini si avvicendano ridenti sopra il palco. Giù, in platea, il pubblico chiamato ad assistere ai festeggiamenti per il I annus domini Renzi annuisce convinto. La tetragona sicurezza di chi è stato scelto per la Salvezza del Popolo. La coscienza collettiva dei presenti è pronta ad applaudire catarticamente il profeta fiorentino chiamato ad istituire in terra il Regno della Valutazione; a guidare il carretto malconcio dell’istruzione repubblicana sulla strada delle magnifiche sorti e progressive. Ma non subito. Non immediatamente. La strada è ancora piena di buche e prima è necessario spianare la via verso Regno. Prima bisogna emendare dall’errore la scuola pubblica italiana.
Prima, c’è persino il tempo di ascoltare il discorso di un vecchio decano dell’Istruzione; Luigi Berlinguer. L’uomo che fu Ministro della Pubblica Istruzione nel I Governo Prodi adesso si straccia le vesti con un appassionato discorso contro la “impostazione logocentrica della Scuola Italiana”. Bisogna cambiare passo, scandisce enfatico. Costruire una nuova erotica del sapere. Bisogna seguire Platone e ripensare il rapporto docente-discente sul modello della ricerca filosofica esposta nel Simposio. Perché – ripete il decano – è importante che a scuola si goda della relazione educativa. È importante che gli studenti provino piacere nello stare sui banchi. E come dargli torto. La scuola non può e non deve essere un dispositivo di coercizione pubblica. Bisogna ripartire dalla bellezza, dall’insegnamento della musica. Ciò che invece non è importante, o almeno sembra non esserlo per Berlinguer, è che l’Eros platonico ha poco a che fare con quello che lui chiama piacere. Che Platone ha trattato il piacere, ciò che chiamava Hedoné, non nel Simposio, bensì nel più tardo Filebo. Ma tutto questo non conta adesso. Se non c’è spazio per i Gufi figuriamoci per le Civette. Sul palco si parla di futuro e di competenze. Per le conoscenze forse andrà meglio al prossimo giro.
Mi gratto la testa un po’ spaesato. Non credevo che Platone potesse essere piegato in questo modo. Ma ecco che in sala si fa silenzio. La rivelazione è svelata e, apertosi il Mar Rosso dopo congrua attesa, arriva Lui, il Profeta della Buona Scuola e, per accidente – sia nel senso antico della non sostanzialità dell’essere sia nel senso più comune della maledizione – anche il Presidente del Consiglio. Sguardo deciso e occhio felino. Il Novello Elia è intento a scrutare i guizzi complici degli sguardi che il suo uditorio gli lancia e che lui ricambia. Mi colpisce un ricordo: nemmeno ai tempi di Julio Iglesias al Festival si era mai arrivati a tanto. Sul palco dell’Auditorium di via Palermo Matteo Renzi inizia subito a dissodare il terreno su cui ha deciso di seminare il Decreto Legge e il Disegno di Legge Delega che dovranno dare concretezza alla sua Buona Scuola. E dal palco, ancora una volta, il pubblico presente in platea viene trasportato sull’ottovolante delle promesse. O meglio delle visioni escatologiche. Un primo sigillo per il Merito; un secondo per la Bellezza; un terzo per l’organico Funzionale e un ultimo per la Valutazione. Già, la Valutazione. Perché il Regno della Buona Scuola è finalmente alle porte. E bisogna che vi si entri ad occhi aperti.
Mi faccio più attento ma, a discapito di tutto, la Valutazione di cui vaneggia il premier fiorentino non mi sembra così semplice da intendere. Forse è per questo che ha bisogno di profeti. Elia-Renzi invoca infatti un Giudizio per la scuola pubblica che neanche nel Sinedrio. Non una valutazione degli insegnanti. Sarebbe troppo semplice. Chi ci dice infatti che il giudice valutatore sia in grado di affrontare il compito? Chi ci dice che sia retto? Che sia degno del Regno? Per questo non bisogna fermarsi al primo grado di giudizio. Per questo bisogna valutare anche i valutatori. Inizio a voltarmi inquieto. Ecco la soluzione: non solo valutare chi è valutato ma anche valutare chi valuta. E via a ritroso, salendo per la indefinita scala delle cause e degli effetti, scansando le secche epistemologiche del regresso all’Infinito. Fino ad arrivare al Primo Valutatore Immobile.
Mi accorgo che sto sudando freddo. Come il protagonista del mio sogno. E se davvero tra un po’ di anni mi toccasse la fine di Kappa? Cerco il telecomando e fisso intontito la televisione. Non riesco neanche a cambiare canale. E nel frattempo Elia-Renzi ha appena finito il suo discorso. È tempo per i Presentatori-bambini di chiudere i giochi. Dopo la Parola è tempo che il Popolo torni alle sue occupazioni domenicali. Ad osservare la Festa. Che comunque è sempre il giorno del Signore e c’è anche la quinta di campionato in pay-per-view. I Presentatori-bambini tornano per l’ultima volta ad agitare le mani. Come i Bambini-Giudici del Regno di Munster: forse fra qualche anno sarà uno di loro a vestire i cyberpanni del Primo Valutatore Immobile. Per giudicare e tornare a separare il grano dal loglio. Come nel Regno dei Santi. Come all’Istituto Transnazionale. Come alla Leopolda. Una fede, una Valutazione, una Buona Scuola.