Una visione inedita di Emily Dickinson

Un’immagine nuova di Dickinson che ha a che vedere con il ruolo sociale, di genere e affettivo.

Immaginiamo di avere un fratello che si chiama Austin Dickinson. E di essere una donna che scrive poesia, nata nel 1830 ad Amherst, Massachusetts. Immaginiamo che nostro fratello venga regolarmente in casa nostra, che si trova dirimpetto alla sua, per fare sesso, sotto il nostro tetto, con una donna sposata di nome Mabel Loomis Todd – che tra l’altro vorrebbe mettere le mani su quello che noi scriviamo. Immaginiamo che questo fratello dia per scontata la nostra complicità, conducendo queste visite clandestine senza interpellarci. A complicare ancora di più il quadro, immaginiamo che Austin stia tradendo, in casa nostra, la fiducia di sua moglie Susan, la cognata che chiamiamo “sorella”, cui siamo legatissime perché è stato il nostro primo e forse unico vero amore.

Se non potessimo andarcene, dato che Austin paga i conti di casa nostra con i soldi di famiglia gestiti da lui in quanto erede maschio. Se, per questo motivo, niente fosse nostro e tutto fosse suo, anche la stanza in cui spesso scriviamo, al punto che Austin la usasse liberamente e perciò noi fossimo costrette a nascondere i nostri manoscritti nella cassapanca in camera della domestica. Forse anche noi, come Emily Dickinson, ci chiuderemmo in camera nostra. O, dato che Emily lo aveva già fatto anni prima che tutto questo accadesse, per motivi che a tutt’oggi sfuggono anche ai più brillanti studiosi, la disinvoltura di nostro fratello Austin potrebbe essere stato l’ultimo evento che ci ha convinte a non aprire più la porta quasi a nessuno.

Come è noto, l’immagine pubblica tramandata a partire dalla morte della poetessa fu inizialmente falsata dalla faida che vede protagoniste alcune persone più o meno vicine alla famiglia Dickinson. La ricostruzione particolareggiata delle molte dispute che seguirono la morte di Emily Dickinson è riportata nel libro Come un fucile carico. La vita di Emily Dickinson di Lyndall Gordon, Fazi Editore 2017, che ha il merito di fare chiarezza su alcuni aspetti della sua biografia, inquadrati in una prospettiva concentrata sui fatti che sono seguiti alla morte della poetessa.

Martha Dickinson Bianchi, detta in famiglia Mattie, la figlia di Austin e Susan Dickinson, vista da questa prospettiva sembra la principale artefice della diffusione dell’immagine leggendaria della zia come di una donna che in giovane età, delusa dall’amore, abbraccia la poesia preferendola alla mondanità. Pare che la nipote di Emily avrebbe voluto tutta per sé la curatela dell’opera della zia. Infatti la ottenne temporaneamente, nonostante Mabel Todd avesse curato con successo le prime pubblicazioni di una parte dell’opera. Quella parte che Mabel trascrisse e pubblicò a partire dai manoscritti affidati a lei, subito dopo la morte della poetessa, dall’altra sorella di Emily e Austin: Lavinia Dickinson.

Un’altra protagonista della disputa legale per l’attribuzione dei diritti sull’opera della poetessa è Millicent Todd Bingham, la figlia di Mabel e di David Todd. La bambina inquieta che si aggirava in casa di Emily e Lavinia mentre la madre e Austin passavano insieme molte ore, dietro una porta che costituiva un limite invalicabile per tutti. Anche Millicent scrisse dei libri e curò una parte dell’opera di Emily riprendendola dai materiali della madre. Anche Millicent falsò per motivi personali l’immagine di Emily Dickinson da consegnare ai posteri: ad esempio non fece parola della relazione di sua madre con il fratello di Emily e avvalorò la scelta di Mabel in merito alla cancellazione di un personaggio chiave di questa vicenda: Susan Gilbert Dickinson, la moglie tradita. Eppure Susan ha un ruolo imprescindibile per la comprensione della vita e dell’opera della poetessa. Quando Emily Dickinson incontrò Susan, colei che qualche anno dopo sarà la moglie di Austin e la madre di Mattie, aveva circa diciotto anni e si innamorò di lei, che sarà la destinataria di 276 poesie scritte nell’intero arco di una vita.

La poesia di Emily Dickinson nasce da un modo di essere e di pensare non sistematico. A partire da questa non sistematicità, la poetessa spesso si concentra espressivamente, sia nelle lettere che nelle poesie, sull’intercambiabilità dei ruoli che attribuisce per convenzione narrativa a se stessa e agli altri. O meglio, più che sui ruoli, Emily si concentra sulle prerogative più note di questi allo scopo di ridiscutere, almeno nell’ambientazione della propria scrittura, le eventuali egemonie cui l’assunzione consapevole di un ruolo può dar seguito.

Pur essendo socialmente molto conscia dello status che le assicurava l’appartenenza alla famiglia Dickinson, i ruoli che Emily assumerà nella vita e che poi modulerà attraverso le poesie e le lettere illustrano una grande varietà di incarnazioni: la sacerdotessa della parola, legata a un’idea di mistica quanto meno singolare. La sposa senza segno, come definisce se stessa in una delle poesie più note. La donna di mezz’età innamorata eroticamente di un uomo anziano come il giudice Otis Phillips Lord, con il quale ebbe una relazione sembra niente affatto platonica. E, anni prima, la ragazzina innamorata di un’altra ragazzina, intenta a dedicarle lettere e poesie d’amore. Ma anche la figlia devota di un padre troppo autoritario e di una madre da sempre ammalata, la sorella affettuosa di un fratello che non legge le sue poesie. Un essere di puro spirito consapevolmente votato all’eternità e perciò dimentico del proprio corpo, forse gravemente malato. E anche la sprovveduta signorina di provincia che si rivolge umilmente al pezzo grosso per essere pubblicata.

Dickinson, quando scrive poesia, non si antepone al qui e ora per definirlo a priori, così come non veste ruoli con l’intenzione che quel ruolo possa definire la sua persona aprioristicamente. Non è il ruolo ma la relazione ciò che interessa di più all’isolata Emily. Infatti quello che trapela negli scritti amorosi e amicali che si rivolgono dichiaratamente a qualcuno, non importa che sia noto o ignoto, è una felicissima disparità tra se stessa l’enormità che quel protagonista costituisce nell’immaginario della poetessa. E quando questo accadeva poeticamente, Susan era lì nella vita di Emily. Susan, anche se avvinta, come tutte le altre donne di questa storia, dalla lite familiare che infuocò la questione della curatela postuma dell’opera di Emily Dickinson, non dimostrò molto interesse nell’essere riconosciuta pubblicamente come l’ispiratrice di molte poesie e molte lettere, tra le più belle. Susan si mosse con poca energia in questo senso, forse perché conosceva il modo in cui la poetessa poteva giocare con l’enigma dell’intercambiabilità dell’oggetto d’amore posto al centro delle sue scritture.

In una poesia che parla di amore e potere, Emily sembra asserire che l’anima vive in una società altra da quella condivisa materialmente dai corpi. Nella società dei corpi l’anima è messa a confronto con un imperatore che vuole esercitare un potere anche su quel tipo ameno di società che riguarda l’anima. Ma per Emily all’anima non competono relazioni di natura temporale. Perciò l’imperatore è costretto ad andarsene costatando la propria impotenza di fronte all’attenzione che la poetessa tributa alla sola cosa che conti, cioè quella costituita dall’anima dell’altro, adorata ed eletta:

The Soul selects her own Society –
Then – shuts the Door –
To her divine Majority –
Present no more –

Unmoved – she notes the Chariots – pausing –
At her low Gate –
Unmoved – an Emperor be kneeling
Upon her Mat –

I’ve known her – from an ample nation –
Choose One –
Then – close the Valves of her attention –
Like Stone –

Mabel Todd non era annoverata tra gli eletti. Pare infatti che Emily, nonostante l’insistente presenza in casa sua, si sia rifiutata sempre di incontrarla faccia a faccia. Alla morte della poetessa, Mabel fece un buon lavoro di curatela, secondo Gordon, perché Emily Dickinson fu per Mabel Todd una scrittrice la cui evidente statura letteraria, fin dall’inizio, le suscitò un irrefrenabile desiderio di rapina. Ma con il lavoro di Mabel prima e con quello della figlia Millicent poi, che puntò sempre all’eliminazione di Susan da ogni tipo di riconoscimento, fu per un certo tempo amputata arbitrariamente la lettura di una parte fondamentale dell’opera di Emily Dickinson.

Recentemente è stata pubblicata in Italia con il titolo Buste di poesia, Archinto 2017, una parte di quelle scritture che Dickinson aveva affidato a pezzi di carta usati, cercati tra le buste della corrispondenza altrui da gettare o trovati per caso. Questo tipo di produzione ci appare ancora più interessante perché molte altre scritture precedenti furono composte, rilegate e ordinate con elegante cura in piccoli libri cuciti a mano sembra della stessa Emily. Quale fu il motivo di questo passaggio dalla conservazione alla provvisorietà? Dalla determinazione all’accidentalità? Quali sono i motivi di un cambiamento così decisivo per una persona che scrive poesia, come quello della sostituzione del supporto, quale medium utilizzato, per l’espressione di se stessa?

Secondo Jen Bervin,1 le buste da corrispondenza che Dickinson sceglie di usare sono state aperte ben oltre il punto necessario per estrarre semplicemente una lettera: sono state strappate, tagliate, completamente appiattite, fatte rinascere in una nuova forma. Questo può far comprendere quanto Dickinson fosse consapevole dell’esistenza di un tipo peculiare di forza di cui si sentiva depositaria: la forza di plasmare ex novo, e a diversi livelli, ciò che viene considerato perlopiù compiuto.

La velocità della scrittura a mano su un supporto predisposto come la pagina canonica, o diversamente, su un artefatto adattato, cambia nella sostanza i percorsi acustici e spaziali della poesia di Emily Dickinson. Questa scelta di un supporto più adeguato a nuove esigenze, ricalca un probabile e profondo cambiamento di cui non sappiamo ma può aver anche avuto il compito di scorciare in modo ancora più significativo la distanza tra l’opera e la vita che Dickinson voleva da sempre colmare.

Susan Howe2 scrive che il precoce esilio – autoimposto – entro la propria costellazione infantile è ciò che può aver emancipato Emily Dickinson da tutte le categorie che inevitabilmente si legano alle gerarchie di una società nettamente suddivisa in ruoli che si esprimono secondo calcoli di ortodossia o convenienza. In altri termini, questa riluttanza a fuoriuscire nel mondo può aver consentito a Emily di eludere a monte tutte le valutazioni che suggeriscono altrettante priorità rispetto ai ruoli da rivestire in proprio o a quelli che si concede all’altro di esercitare.

Per Emily Dickinson è scrivendo poesia che si diventa nessuno:

I’m Nobody! Who are you?
Are you – Nobody – too?
Then there’s a pair of us!

come se diventare nessuno, attraverso la transitorietà dei molti ruoli che si possono assumere, fosse una forma di approdo alla provvisorietà dell’esistenza umana. Per convincersene basta guardare uno dei trattini che Emily tracciava, la cui lunghezza a volte è diversa da quella degli altri che si possano incontrare nei suoi manoscritti. Solo questo basterebbe a imporre l’irriproducibilità tipografica di ogni segno tracciato da Emily Dickinson.

Fortunatamente resta intatto l’enigma di come qualcuno abbia potuto vivere entro le proprie percezioni tutta la sfrenatezza del mondo, fingendo di incarnare molti ruoli contraddittori e neanche falsi. Con ciò opponendo un’integrità inamovibile che somiglia a una specie di amore assoluto, come quello che esiste solo nei bambini molto piccoli verso la loro madre. Tutto questo semplicemente standosene lì più o meno buona, e reclusa.

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Note

  1. E. Dickinson, The Gorgeous Nothing, Christine Borgin and New Directions Publishing Corporation, New York, USA, 2013, pp. 8-12.
  2. S. Howe, My Emily Dickinson, New Directions Publishing Corporation, New York, USA, 2007, pp. 12-13.
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