Note di lettura a L’idiota in Politica, Antropologia della Lega Nord
Michele Bianchi
Il testo di Lynda Dematteo L’idiota in Politica. Antropologia della Lega Nord, uscito nel 2011 per la casa editrice Feltrinelli, catapulta il lettore direttamente all’interno del fenomeno Lega Nord che, tra scandali, investimenti in Tanzania e pulizie di Pasqua in salsa padana, oggi più che mai costituisce un oggetto di riflessione estremamente attuale.
L’antropologo, in genere, si occupa di alterità, di flussi migratori, delle nuove forme del vivere la socialità in un contesto dove la differenza è pane quotidiano. L’antropologo analizza le condizioni socio-politico-culturali di coloro che Pasolini chiamava gli ultimi, e prima Antonio Gramsci e poi Alberto Mario Cirese hanno descritto ed analizzato in quantoclassi subalterne. Difficilmente però questi scritti vengono letti dalle masse o quantomeno conosciuti da un pubblico che vada oltre lo specialismo accademico. Il piatto in gioco non è in questo caso la ricerca di sbocchi lavorativi che legittimino “l’essere antropologo” ma nello specifico la mancanza di un riconoscimento condiviso della propria figura di analista sociale. La grande distribuzione della macchina editoriale Feltrinelli e la presentazione del libro in diretta TV all’interno del programma di Gad Lerner (oltre ad essere suo sponsor, ha firmato anche la prefazione all’edizione italiana), hanno creato un trampolino mediatico che ha fatto conoscere L’idiota in Politica al grande pubblico.
Merito di questo successo antropologico è sicuramente dato dall’oggetto della ricerca: oltre ad essere tema tremendamente corrente dopo anni dalla prima stesura [1], lo stesso partito del Carroccio ha contribuito ad alimentarne il successo. Infastiditi da un titolo facilmente (in)fraintendibile, le camicie verdi nella più lineare delle commedie, hanno performato il modello politico che li contraddistingue e che è ben descritto nelle pagine del libro che il sindaco di Sesto Calende ha deciso di non far leggere ai suoi concittadini, eliminandolo “tecnicamente” dalla biblioteca comunale. Egli non ha impedito l’arrivo del volume, oppure, in maniera più plateale, una censura ufficiale del testo: queste sarebbero state etichettate come pratiche da ventennio fascista. La messa al “bando tecnica” attuata da quel furbone del sindaco del Varesotto è consistita in una macchinazione degna dei migliori film di Totò: secondo quanto riportato dai media, il primo cittadino avrebbe infatti escogitato una turnazione continua per il prestito del libro tra i membri del partito, così da farlo sparire dagli scaffali della biblioteca fino a data da destinarsi.
La felice rivendicazione di questo atto all’interno della comunità locale prima, e nazionale poi, ha confermato la piena adesione dell’amministratore al modus operandi “made in Lega”: facendosi vanto della trovata con i propri concittadini, il Sindaco conferma il proprio status di personaggio sulla scena, bisognoso di un pubblico che lo segua, lo ammiri o “ingiustamente” lo condanni non capendo lo spirito dell’iniziativa. L’accaduto rientra completamente nella pratica leghista che ha caratterizzato gli ultimi venti anni del panorama politico italiano. L’approccio della studiosa francese, attento alla dinamica performativa [2], riesce a sciogliere i nodi del fenomeno leghista a partire dalle pratiche quotidiane che legittimano politicamente l’idiota nel contesto socio-culturale contemporaneo. Il primo cittadino, necessariamente “figlio” e copia sul territorio del leader Umberto Bossi, performa il suo personaggio politico attraverso i canoni della commedia dell’arte. L’arlecchino politico del nord si può permettere di agire e di farel’idiota, senza poter essere attaccato, in quanto gode socialmente dell’immunità che il proprio status di personaggio gli concede. L’ostentazione dei caratteri “genuini” e ridicolizzanti propri dello zimbello bergamasco sono veicoli performativi di una proposta politica populista che ha fatto perno negli anni sulla necessità di una risposta che tutelasse la comunità locale – lavoratrice e composta da persone “semplici”, come l’auto-rappresentazione della comunità bergamasca ci insegna – nei confronti di una globalizzazione imperante, che avrebbe spazzato via tutte le certezze in nome di un multiculturalismo “pericoloso ed monopolizzato dall’Islam o dalla cultura terrona”. Tutto questo ha trovato nella disillusione e nel riflusso post Craxi lo spazio simbolico di azione, creando un modello politico che negli anni è diventato egemonico. La forza politica della Lega si è sviluppata creando e portando avanti una modalità di fare politica consapevolmente al di là del socialmente dicibile e fattibile, facendosi strada in un panorama politico che con Mani Pulite aveva perso qualsiasi credibilità.
Le dichiarazioni di secessione o la proposta dello “sceriffo” Gentilini di «vestire gli extracomunitari da leprotti per allenare i cacciatori nei periodi fuori stagione», si pongono così al di fuori dell’orizzonte di senso democratico che etichettarle (giustamente) di estremismo e xenofobia risulta controproducente. La retorica leghista rovescia le accuse e taccia chi le pone di essere il “vero fascista antidemocratico”, attraverso la formula “forse quell’esternazione è stata troppo estrema… sicuramente è stato frainteso, rimane il fatto che il problema [di turno] sussiste e noi ne paghiamo le conseguenze”. Il razzismo, ci dice Dematteo, «avanza ormai sotto la maschera dell’elogio della differenza» (p.88). Qualsiasi accusa viene così presa e riadattata in quanto attacco ad una popolazione che non farebbe altro, in nome della differenza culturale, che tutelare la propria identità messa in pericolo: poco importa se «i nuovi primitivi vivono in case molto confortevoli mentre i loro “colonizzatori” modesti appartamenti» (p.89). Obiettivo di questa tattica non è la conferma di una narrazione politica coerente, bensì la creazione di un disorientamento socio-simbolico che tuteli un’identità collettiva (quella Padana in questo caso) e che faccia cadere qualsiasi tipo di accusa delegittimante. Le retorica leghista permette così ai propri militanti di esternare posizioni chiaramente xenofobe, senza però sentirsi razzisti, ma solamente portatori di valori che vengono messi in pericolo dal “multiculturalismo selvaggio”, dal “fondamentalismo islamico” o dal “fannullone del sud buono solo a vagabondare”. Attraverso questa etnografia, Lynda Dematteo ci spiega come la Lega Nord negli anni sia stata capace di mediare l’individualismo economico e culturale di matrice cattolica presente nel Bergamasco verso la creazione di una piattaforma politica capitalista anti-globalizzazione dalle tinte xenofobe, estendibile oltre i confini della pianura Padana.
L’escalation elettorale che nell’ultimo decennio il partito di Bossi ha avuto in regioni come Emilia Romagna, Toscana ed Umbria, smarcandosi così dal binomio Lega/nord Italia, testimonia inoltre il vuoto politico e culturale del nostro fare politica in quanto studiosi, militanti o semplici cittadini. Negli anni non abbiamo trovato (e forse neanche cercato) risposte politiche capaci di delegittimarne la base teorica ed abbiamo preferito prenderle per ciò che la performance leghista ci presentava: esternazioni “folli”, fatte da personaggi che sfiorano il ridicolo, le quali trovano sponda solamente all’interno di territorio circoscritto. Il gioco del mascheramento retorico e pratico ha permesso così alla Lega di essere nelle prime pagine dei quotidiani quando il movimento non arrivava ancora al migliaio di iscritti, sventolando la bandiera padana in nome di una “secessione” alla quale i migliaia di fucili verdi avrebbero contribuito, trasformandosi poi in un federalismo politicamente accettabile nel momento in cui l’istrione padano è diventato il Senatùr, compagno di avventure politiche del Caimano nazionale. L’ampliamento della base elettorale del partito al di là del Po è avvenuta cavalcando paure, facendo proposte irreali e populiste, in un contesto sociale dove la strumentalizzazione della differenza culturale costituisce la norma e dove la risposta all’impoverimento politico corrente latita tra questioni di partito.
Attraverso un’etnografia attenta alla decostruzione del fenomeno, con una chiara e profonda analisi delle pratiche quotidiane dell’essere leghista (è molto più del performare leghista), Lynda Dematteo ripercorre la genesi del movimento, mostra quali sono le contraddizioni intrinseche ad esso e come queste svaniscano agli occhi del militante, troppo impegnato a vivere in un’idea di comunità ancestrale di vicinato falsamente “immune” e lontana dall’alterità. Il testo oggi ci offre inoltre un ottima chiave di lettura per i fatti di cronaca padana.
La manifestazione di Bergamo dello scorso dieci aprile si è infatti modulata in piena conformità alla modalità politica del carroccio. A partire dal titolo, Orgoglio Padano, si può ben vedere come il frame della manifestazione non abbia minimamente intaccato la costruzione identitaria del “popolo del Nord”. Tra scope di saggina e striscioni che indicavano le teste di coloro che hanno infangato il nome del movimento, l’incontro del bergamasco, nel nome dell’unità e della pulizia, ha assunto i toni di una “riunione di famiglia”, dove chi, come Umberto Bossi, ha avuto la possibilità, legittimata dal proprio valore simbolico conquistato negli anni sul “campo di battaglia”, ha espiato da vero leader le proprie colpe tra ammissioni e pianti. Il processo di riconferma del movimento a cui assistiamo in questi giorni sta seguendo completamente le strategie discorsive leghiste: è così che le dimissioni del vice presidente del senato fanno perno sulle origini territoriali della “badante” Rosy Mauro, «per avere», parole di Maroni, «finalmente un sindacato padano vero, guidato da un padano vero!»; per lo stesso motivo le accuse di traffici illeciti e rapporti con la mafia si dissolvono tra complotti architettati dal centralismo romano per minare il raggiungimento dell’obbiettivo primario, l’indipendenza padana, ed azioni di tesorieri indicati da persone oramai decedute e che come ha detto il Senatur,«proprio lombardo non sembra».
Durante la lettura del testo e la visione dei filmati offerti recentemente dalla rete, mi sono trovato molte volte a sorridere dallo stupore davanti a manifestazioni di virilità o grottesche esternazioni, ultima tra le tante quella del parlamentare europeo Mario Borghezio: «a chi dice che siamo come Roma ladrona ditegli di andarsela a prendere nel culo!». Tra volgarità, battute sessiste, urla e violenza psicologica è difficile non finire nel miopia politica costruita dal gioco delle maschere. Fortunatamente L’idiota in Politica ci ricorda quanto la Lega, pur ponendosi in un orizzonte di azione simbolico fittizio e difficilmente condivisibile, sia un fenomeno fin troppo reale.
[L’idiota in politica fa parte della nostra Piccola Biblioteca delle scienze umane: seguiteci su Anobii]
Note
[1] Il testo è il riadattamento della tesi di dottorato di Lynda Dematteo. La ricerca etnografica ha avuto inizio nel 1998. In Italia il testo esce quattro anni dopo la versione francese.
[2] Per comprendere a fondo il concetto di performance utilizzato nella disciplina antropologica rimandiamo in questa sede ai lavori fatti da Richard Schechner, tra tuttiPerformance Studies. An Introduction, Routledge, Londra 2002 e Victor Turner,Antropologia della Performance, il Mulino, Bologna 1993.