Lundini, Fanelli e la post-ironia.
Devo confessare che la prima volta che ho visto un’intervista di Lundini – l’intervista sul bullismo con la psicologa Luisa Giordani – ci ho messo un paio di minuti prima di capire che non si trattava di un’intervista con una vera psicologa. A giudicare dai commenti su Youtube, sembra che molti utenti non lo abbiano mai capito. A prima vista, senza sapere niente sullo show di Lundini, si potrebbe infatti pensare che si tratti semplicemente di un’intervista fatta male, a tratti grottesca, condotta da un intervistatore ottuso e con un’ospite svampita e con nessun contatto con la realtà attuale. Insomma, un’intervista a cui non sarebbe insolito assistere guardando qualche programma televisivo mattutino o domenicale girato per un pubblico generalista. Ciò che inganna i neofiti è il tono almeno in apparenza serio delle interviste in stile mockumentary: nessuno si scompone, ironia e sarcarsmo non sono usati palesemente, domande e risposte vengono formulate con convinzione. Sono i contenuti che rivelano che c’è qualcos’altro sotto.
Se alcune interviste di Lundini, prese fuori contesto, lasciano nel dubbio, molte altre varcano subito la soglia della plausibilità. Penso ad esempio a quando Caterina Guzzanti rivela al pubblico di essersi ritirata dalla scene per curare un’insolita malattia che la faceva trasformare in un cantante neomelodico napoletano se sorpresa da un rumore inaspettato. Anche qui tuttavia lo stile di conduzione non abbandona mai i binari di un’ironicità esasperata in cui il serio è inscindibile dal non serio e che non cede il fianco a opportunità di rilassamento umoristico. Nel caso di Guzzanti, nel corso della puntata vengono più volte evitati incidenti e capitomboli che fanno presagire una climax comica culminante in un infelice episodio di recidività e in una trasformazione in Gigi d’Alessio. Questo invece non avverrà mai, lasciando la situazione potenzialmente comica definitivamete in sospeso.
In generale l’atmosfera in studio è molto stranianate e si pone in esplicita contrapposizione con quei programmi che cercano di ricreare un ambiente caldo e accogliente, quasi di casa, dove il conduttore o la conduttrice assieme al pubblico si comportano come se fossero in famiglia. Questa contrapposizione viene evocata senza sottigliezze quando nella puntata del 6 ottobre la signora Anna, una delle quattro persone che compongono il pubblico, sogna a occhi aperti e si immagina uno show condotto da Flavio Insinna – sogno interrotto dal modo di fare freddo e sgarbato di Valerio Lundini.
Non tutti i punti del programma mettono alla prova il pubblico a casa. I momenti più spaesanti e dall’ironia più tagliente vengono alternati, forse per motivi di digeribilità, con degli spezzoni decisamente più accessibili che provocano una risata facile: si pensi ai pezzi di bravura di Emanuela Fanelli nelle anteprime parodistiche di “A piedi scarzi” o agli sketch di repertorio di Lundini in stile più demenziale, come quello in cui Martufello interpreta la sua ragazza Eleonora al primo incontro con i genitori.
Tornando alle parti più stranianti, si può dire che ci sono almeno due caratteristiche che le contraddistingue e accomuna: l’indecidibilità, che a sua volta evoca la categoria del “post-ironico”, e l’essere in codice, ossia una difficile decifrabilità associata spesso con la connotazione gergale “dank”.
Partiamo dalla prima. Come già accennato, nel corso della trasmissione ci sono dei momenti dove è impossibile tracciare una categorizzazione netta tra “serio” e “faceto”. L’atteggiamento di Lundini, Fanelli e degli ospiti in studio è per lo più serio. Lundini in particolare non ride mai. Oltre a ciò Una pezza di Lundini, come dichiara in un’intervista sul Foglio lo stesso produttore Giovanni Benincasa, non è un programma di satira televisiva. Sebbene l’ironia, l’implausibilità e talvolta l’assurdità dei contenuti portino a pensare a un intento scherzoso o umoristico, la cornice rinvia invece a un contesto assolutamente serio. Altre volte accade l’inverso: alcuni contenuti che sembrano offrire una critica seria a problemi sociali reali vengono smussati tramite espedienti comici. Si prenda “Voci di donne” di Emanuela Fanelli. Durante questi monologhi Fanelli offre una performarce teatrale di alto livello presentando elementi di critica femminista della società e attaccando la subordinazione e l’oggettificazione della donna documentabile nella cultura occidentale già ai tempi dell’epica omerica. La performance tuttavia è zavorrata dal modo di fare impacciato e dalle osservazioni ingenue della sua spalla, la signora Anna (anche se pure quest’ultima dovrebbe essere presa sul serio in quanto donna chiamata a testimoniare contro il patriarcato), e definitivamente ridicolizzata dalle gaffe e dalle entrate sbagliate di Valerio Lundini. Finito il monologo, nel pubblico sorge la domanda spontanea: “Che cosa ho appena visto? Faceva sul serio o era uno scherzo?” La risposta è: entrambe.
L’idea di “indecidibile” è stata tematizzata ampiamente da Jacques Derrida per descrivere quei contenuti letterari che sfuggono alla categorizzazione all’interno di opposizioni concettuali binarie, tra le altre anche quella tra “serio” e “non-serio” o “filosofico” e “letterario” (cfr. Derrida, Positions, Minuit, Paris, 1972). Così facendo, questi contenuti operano una vera e propria decostruzione del concetto di serietà e mettono in luce la possibilità che anche il fizionale scritto per fini di intrattenimento, il frivolo, il ridicolo e così via possano avere effetti seri e critici pur non avendo la forma stilistica e argomentativa del trattato o del testo critico. Voci di donne, come molti altri contenuti di Una pezza di Lundini, si presenta a tutti gli effetti come indecidibile. Decidersi per una delle due connotazioni, una performance “seria” o uno sketch umoristico, comporterebbe una grande perdita di significato implicando la rinuncia ad alcuni dei suoi intenti comunicativi.
Proprio questa indecidibilità ha portato alcuni fan e commentatori sul web a definire lo show post-ironico. Nella critica letteraria questo concetto è usato per indicare una modalità espressiva nella quale il serio e l’ironico non sono scindibili, come avviene per esempio nella saggistica di David Foster Wallace (cfr. Lukas Hoffmann, Postirony: The Nonfictional Literature of David Foster Wallace and Dave Eggers, Transcript, Bielefeld, 2016). Nel mondo dei memers su Reddit e sui social si parla inoltre di post-ironia in riferimento ai cosiddetti “layer” ironici dei meme: mentre l’ironia o il sarcasmo vengono considerati come evidenti e facilmente smascherabili, la post-ironia viene vista come l’aggiunta di uno strato (layer) espressivo in più che toglie la facciata umoristica al meme e lo rende serio in apparenza, pur continuando ad avere intenti ironici più difficili da individuare.
Queste ultime considerazioni sui layer ci portano al tema dell’indecifrabilità e dell’umorismo “dank”. È stato giustamente osservato da Giovanni Vimercati che Una pezza di Lundini ha come punto di (auto)riferimento la generazione dei millennial, ossia quelle persone nate dall’inizio degli anni ’80 fino alla fine degli anni ’90. Si tratta di persone più o meno coetanee di Lundini e Fanelli, accomunate almeno in Italia dal fatto di aver assistito in giovane età all’avvento della rivoluzione digitale – sono i primi digital native – e di aver sperimentato gli effetti della crisi economica del 2008 e della sovrapproduzione di titoli di studio di alto livello nella forma di un difficile ingresso nel mercato del lavoro – ingresso per molti mai ancora avvenuto, come ironizza Lundini nello sketch sugli amici disoccupati che guardano le serie.
Visto il continuo riferimento a fenomeni del Web conosciuti sopratutto dai digital native, come i meme sui social, gli influencer su Instagram e gli youtubers, molti contenuti della trasmissione non sono comprensibili per chi non possiede il bagaglio di cultura digitale di un millennial medio. Per le generazioni precedenti che non si sono tenute al passo coi tempi, il programma è per lo più incomprensibile e sicuramente non è così divertente. L’autoreferenzialità rispetto alla generazione dei millennial e la volontà di sottolineare l’impreparazione dei baby boomer – la generazione dei genitori dei millennial che ha approfittato di tutti i vantaggi del boom economico – è palese fin dall’allestimento dello studio. Lundini presenta lo show mentre quattro baby boomer stanno seduti a guardarlo e intervengono sporadicamente con interventi che mostrano la goffaggine di molti over 60 quando cercano di interfacciarsi con le nuove tendenze sui social media.
Uno dei momenti più esilaranti dello show è la presentazione dei meme creati da uno di questi quattro boomer: il Tenente Silvestri, che viene introdotto come un vero e proprio “memista”. Nonostate Silvestri sia del mestiere, i suoi meme appaiono sbagliati sotto tanti punti di vista. Anzitutto è sbagliato il supporto: nessun millennial si sognerebbe di far vedere dei meme agli amici stampandoli in formato A3 e raccogliendoli in una cartella come fa Silvestri. Vi sono poi delle sviste tipografiche. Alcune scritte sono troppo in basso o troppo in alto, altre troppo piccole, e così via. Infine l’errore compositivo più grande: Silvestri nei suoi meme descrive esattamente l’immagine che viene raffigurata, annientando così il meccanismo analogico alla base della riproduzione e diffusione dei meme. Insomma, a prima vista un boomer che ha provato a fare dei meme e non ci è riuscito. Ma se invece Silvestri, in qualità di raffinato memista annoiato dai soliti meme, abbia volutamente proposto una meta-riflessione su questo mezzo espressivo? In fondo, per chi conosce bene il mondo dei meme, anche questi meta-meme così rivelatori della loro stessa grammatica sono ben apprezzabili e magari fanno anche ridere. Usando un termine gergale, i meme di Silvestri potrebbero essere considerati come dei meme dank.
Secondo lo Urban Dictionary, l’aggettivo “dank” viene usato nell’accezione gergale originaria tra consumatori abituali di Cannabis per indicarne un aroma particolarmente forte e gustoso. Partendo da questo uso originario il termine si è poi diffuso per denotare il gusto pregiato e la particolarità di altri oggetti di consumo, come ad esempio la birra, fino ad arrivare ai meme. Un meme dank è caratterizzato da un’ironia eccessiva e nonsense. Mentre i meme “per normie” sono facilmente fruibili e presentano un elemento ironico di immediata comprensione, per capire un meme dank bisogna conoscere bene le tendenze del mondo dei meme e riuscire ad afferrare subito i riferimenti ad altri elementi grafici, testuali o musicali. Vi potrà essere capitato di sentir dire: “Questo meme è troppo dank per me, non lo capisco”. Per evidenziare il fatto di essere frutto di un’elevata elaborazione, molti meme dank appaiono sgranati e con colori sfalsati, come ad indicare che il meme è passato per molte mani e che le continue modifiche e aggiunte di layer ironici hanno fatto perdere la qualità originale dell’immagine.
Le immagini dei meme del tenente Silvestri non sono di bassa qualità, ma il percorso di elaborazione che a partire dalla conoscenza delle innumerevoli varianti “normie” di un meme porta a riprodurre quel meme in chiave naif e solo apparentemente non ironica può essere visto come il processo di produzione di un meme dank. Solo chi conosce varie varianti già esistenti del meme potrà trovare la versione di Silvestri divertente, gustosa o dank. Chi invece non è iniziato al mondo dei meme, tra cui la maggior parte dei membri della generazione dei baby boomer, non disponendo di un’adeguata chiave di decifrazione rimarrà semplicemente escluso dal gioco. La stessa cosa si potrà dire, in senso lato, anche di Una pezza di Lundini. Il linguaggio della trasmissione non è inclusivo e tende a scoraggiare fin da subito i non iniziati al mondo del “millennial humor”, caratterizzato tra le altre cose da una rinascita del gusto quasi esistenzialista per lo straniante e l’assurdo, veicolato da nuovi media – meme postironici sui social inclusi –, e mosso talvolta dal un risentimento verso la generazione dei baby boomers.
Il boomer bashing è parte integrante della maggior parte delle puntate di Una pezza di Lundini e, in linea col resto del programma, non viene fatto in maniera diretta, ma ironicamente. Uno degli esempi più chiari e divertenti può essere trovato nella puntata del 21 Dicembre, quando la signora Anna propone un “Buongiornissimo Caffè” come nuovo logo di Rai 2. I “Buongiornissimi”, collage kitsch di immagini e testi volti a trasmettere energia e buonumore che circolano su Facebook e Whatsapp, possono essere visti come un approccio di alcuni digital immigrant (baby boomer inclusi) alla comunicazione sui social e sono in quanto tali oggetto di scherno da parte di molti digital native. Ciò avviene per lo più a insaputa di chi posta “Buongiornissimi” senza malizia, dal momento che queste persone raramente circolano sugli stessi canali dei memers e probabilmente non guardano Una pezza di Lundini. In questo modo il conflitto generazionale viene espresso in maniera criptica e unilaterale, a colpi di meme, senza dare la possibilità ai diretti interessati di stabilire un dialogo intergenerazionale o fornire una risposta all’attacco.
L’umorismo dank porta quindi alla creazione di un linguaggio in codice che permette di evitare lo scontro frontale con l’oggetto di scherno, sia esso la televisione generalista, il patriarcato o la generazione dei boomers, rafforzando al contempo il legame tra coloro che posseggono gli strumenti per capirlo. Questo è forse il motivo per cui, come dice il produttore Benincasa (che, sia notato en passant, appartiene alla generazione dei boomer), non è un programma di satira. L’approccio contestatore e l’attrito polemico tipici della satira infatti non sono presenti. Chi in Una pezza di Lundini vorrebbe vedere una critica della società, deve quindi tenere ben presente anche il suo carattere smussato, non critico e non serio, che ammortizza e alimenta al contempo l’operazione di decostruzione della televisione svolta dagli autori. In fondo starà al pubblico decidere se trasformare l’umorismo in critica o se limitarsi a ridere – ammesso e non concesso che chi guarda capisca lo scherzo!