Percorsi di ricerca e perimetri critici nel post-terremoto dell’Appennino centrale.
A pochi giorni dal quinto anniversario della quarta forte serie di scosse di terremoto che colpì il Centro Italia fra l’agosto 2016 e il gennaio 2017, pubblichiamo un estratto riadattato del volume collettivo “Sulle Tracce dell’Appennino che cambia. Voci dalla ricerca sul post-terremoto del 2016-17”, recentemente curato da Emidio di Treviri. Il libro raccoglie i contributi di giovani laureandi e ricercatori che hanno risposto alla prima call pubblica del Premio Massimo dell’Orso, di cui proprio in questi giorni è stata annunciata la seconda edizione.
Nel dicembre 2016, da una call for research nasce il progetto di inchiesta sul post-sisma dell’Appennino Centrale ad opera del gruppo di ricerca Emidio di Treviri (da ora EdT). Decine di dottorandi, militanti, accademici e professionisti aderiscono all’appello dando vita a una esperienza di ricerca collettiva e autogestita che, pur trasformandosi, da quasi cinque anni studia, approfondisce – e restituisce – i vari aspetti critici del post-sisma. Sin dal suo esordio, la volontà del gruppo è stata orientata a costruire un percorso di analisi strettamente legato alla militanza, basato su un continuo confronto con gli attori coinvolti nei processi del post-disastro. L’idea che la ricerca scientifica necessitasse di un confronto continuo con il territorio ha portato infatti il collettivo a impegnarsi sin dall’inizio in una costante diffusione dei risultati ottenuti attraverso eventi, incontri pubblici, seminari, percorsi di lotta, summer school, mostre, pubblicazioni, assemblee etc.
Un terremoto che impatta violentemente un’area molto estesa, come quello che ha coinvolto l’Appennino Centrale, implica il dispiegamento di una serie di questioni che vanno affrontate con urgenza. Per il ricercatore è necessario ampliare e intersecare le dimensioni (spaziali, temporali, soggettive e collettive) e le prospettive (anzitutto teoriche e disciplinari) dell’analisi, ma anche distinguerne i diversi livelli; essere presente sul campo “fianco a fianco”, ma anche agire con la “buona distanza” in grado di dare un punto di vista critico e radicale; mirare a produrre conoscenze utili ad affrontare le asimmetrie di potere aperte nello spazio del post-disastro e della ricostruzione, ma anche incoraggiare e supportare – laddove ce ne sia l’utilità – le diverse forme di capitale sociale che si danno tra le reti, gli individui e i collettivi.
Il lavoro del gruppo di ricerca, già a partire dalle sue prime fasi, è stato mosso dalla volontà di adottare la conoscenza come un’istanza di partecipazione ai processi in atto, nel tentativo di intrattenere una conversazione continua con le voci, diverse per contesto e per condizioni, dei soggetti coinvolti; una dimensione, quindi, in cui la produzione di conoscenza scientifica si combinasse con l’impegno per la trasformazione, con la pretesa di costruire progressivamente uno strumento di lotta. Il fine è stato quello di ripartire dalle molte periferie che lo sviluppo genera inclusi i territori “marginali” colpiti dal sisma, per esplorare – e disarticolare – la relazione tra produzione del discorso e spazio dominante. Il distacco degli abitanti dal territorio, inizialmente “forzato” dai dispositivi di displacement dell’emergenza e consolidato dai ritardi della ricostruzione, si rivelava funzionale alla creazione di un vuoto artificiale, simile alla tabula rasa. Questa lasciava ampi margini di dispiegamento per azioni speculative favorite sia dall’assenza del “presidio” territoriale sia dalla richiesta di segnali di speranza (“purché qualcosa si muova”) nella diffusa percezione di un destino già segnato. Si andava cioè delineando una crisi dell’abitare ben più profonda del semplice tema della presenza fisica degli abitanti sul territorio, che interrogava direttamente la composizione sociale del territorio e le differenti capacità di partecipazione ai processi in atto per quello che riguarda gli attori (abitanti, amministratori, imprenditori, residenti intermittenti, ritornanti, …) e le loro diverse prospettive sul futuro che non veniva.
È in questa fase che la traiettoria di EdT si è concentrata sulle problematiche legate al lento processo di ricostruzione e di ridefinizione dei territori “alti” nell’ambito del post-disastro. Un processo non semplice di allargamento dello sguardo, che intende la crisi del terremoto dentro all’ultimo miglio del declivio della civiltà rurale e include le condizioni invisibili che rendono marginali quei luoghi e chi ci vive: la sudditanza nei confronti dei vari poteri, soprattutto quelli in grado di determinare la capacità di aspirare spiegando i dettagli, urbani, di cosa volere e come. Fare i conti infine con la verità, con la fine dell’utopia del “soggetto terremotato”, riconosciuto invece come mondo composito di pratiche e interessi talvolta discordanti, talvolta nemici nei confronti della stessa classe, del processo collettivo e financo del contesto ecologico. Una consapevolezza latente che è cresciuta sommandosi alle altre variabili che nel frattempo affaticavano il prosieguo sic et simpliciter di Emidio di Treviri.
Anche per questo abbiamo teso verso la dissipazione del progetto di ricerca in una serie di sotto-progettualità che avessero un puntuale orientamento alla prassi, consolidando alcune linee di ricerca-azione. Sono stati individuati differenti filoni di azione, generati in continuità con il lavoro di analisi svolto durante l’emergenza, da perseguire con obiettivi e percorsi strategici decisi in autonomia. In un certo senso è stato progressivamente perseguito un percorso di smembramento in una serie di soggettività minori, con l’intenzione di assumere una «postura destituente». Il tentativo contro-egemonico, in questo senso post-gramsciano, nasceva in un panorama che sul piano dell’attivismo e dell’intervento politico manifestava tratti non minori di complessità epistemica, che facevano acquistare all’ipotesi destituente ancora più concretezza. Era sempre più difficile infatti continuare a sostenere il piano vertenziale dei comitati dei terremotati, ormai spersi nell’esodo dello sfollamento, quando non sussunti dalla rinnovata efficienza della macchina commissariale negli aspetti più tecnici dei proprietari di seconde-case e residenti-intermittenti. Sempre meno praticabile il livello dell’attivismo organizzato, con gruppi minoritari stretti dentro a processi calanti e fortemente autoreferenziali. Sempre più anguste le vie per un confronto con le istituzioni accademiche e/o del potere locale, che ormai agganciate alla spirale della Grande Progettazione del rilancio delle – cosiddette – aree interne non lasciavano il minimo margine all’interazione col basso, se non dentro recinti recitati. Sempre più sordo il dibattito degli addetti ai lavori sulle tematiche sulla montagna che non fossero le immagini del ritorno dei neo-popolatori e le best-practices a favor di SNAI.
Nonostante la limitatezza dei mezzi propri e le condizioni ambientali (percepite come oggettive difficoltà per l’intervento) il progetto ha deciso di rimanere attivo tentando di portare a compimento i percorsi intrapresi dai sottogruppi di ricerca-azione. Se alcuni percorsi su tematiche specifiche non si sviluppavano in ipotesi applicative, quello sull’autocostruzione tentava campagne vertenziali e cantieri, ottenendo un’apertura normativa e l’avvio a fine giugno 2022 del primo cantiere pubblico di autocostruzione in Italia). Nel frattempo quello sulle Comunanze si diramava in diverse linee di azione, dalla produzione del documentario “Le terre di tutti” fino all’attivazione di tirocini e borse di ricerca per ridare centralità e attualità ai commons rurali. Se le critiche al dispositivo del CAS1, all’articolo 14 o altri meriti della governance dell’emergenza si risolvevano in manifesti di critica e controproposta specifici, il gruppo che ragionava sui modelli di sviluppo si spendeva in processi più articolati che muovevano dall’analisi verso azioni di attivismo e resistenza (contro grandi opere e il management commissariale dei fondi per lo sviluppo – PNRR).
Lo scostamento dall’attività puramente analitica, verso una prospettiva applicata, che restituisse strumenti per le (tentate) trasformazioni “micro”, era sicuramente una ritirata rispetto all’ipotesi di costruire le basi conoscitive per una generale trasformazione. A fronte dello sfumare del tentativo di sovvertire l’intero processo non restavano che le tante quotidianità dove provare a intervenire. A non perdere tinta restava la questione del posizionamento, sempre inteso come immersivo, coinvolto politicamente e funzionale alla trasformazione. Rivolto ad individuare frizioni e contraddizioni che caratterizzano la vita delle comunità “in transizione”, il posizionamento critico sfida i limiti impliciti ed espliciti del discorso pubblico con la finalità di generare istanze conflittuali nelle pratiche collettive e nei processi territoriali.
Per questo motivo ci sembrava necessario garantire uno spazio per l’elaborazione degli accadimenti in chiave critica. Per questo abbiamo salvaguardato la continuità della Scuola di Fornara come spazio per la costruzione di un ragionamento critico sui territori marginali che nel 2022 giungerà alla 6° edizione, come momento di condivisione e formazione che nasce “dal campo”, e la costruzione di un archivio, esito di un percorso di raccolta della produzione scientifica indipendente sul post-terremoto. Proprio perché nonostante le potenzialità inesplorate, i limiti e le difficoltà, non è venuta meno la necessità di rilanciare il posizionamento critico che nasce all’interno delle dinamiche applicate, militanti, autogestite e tese alla trasformazione sociale. Ovvero dai luoghi dove la scienza sociale ecologista e critica ha la possibilità di giocare ancora un ruolo rilevante nella produzione, accumulazione e condivisione di conoscenza, nonché nei processi di cambiamento sociale. In definitiva: coltivare il seme della critica, nell’auspicio di tornare a navigare i monti in tempesta.
[1] il Contributo di Autonoma Sistemazione è una forma di sostegno economico diretto che a distanza di cinque anni continua a essere distribuito ai residenti in case danneggiate dal sisma. La formula è stata giudicata iniqua perfino dalla Segreteria di Stato, in quanto misura lineare che non tiene conto delle condizioni socio-economiche dei beneficiari. Oltre alle critiche sono state avanzate proposte da più parti, incluso dal Coordinamento dei Terremotati, puntualmente rigettate dalla struttura emergenziale.
Note
- il Contributo di Autonoma Sistemazione è una forma di sostegno economico diretto che a distanza di cinque anni continua a essere distribuito ai residenti in case danneggiate dal sisma. La formula è stata giudicata iniqua perfino dalla Segreteria di Stato, in quanto misura lineare che non tiene conto delle condizioni socio-economiche dei beneficiari. Oltre alle critiche sono state avanzate proposte da più parti, incluso dal Coordinamento dei Terremotati, puntualmente rigettate dalla struttura emergenziale