Rive e derive del cinema italiano

Pubblichiamo un estratto del nuovo libro di Christian Uva L’ultima spiaggia. Rive e derive del cinema italiano (Marsilio 2021) che esce oggi in libreria. Il libro affronta i modi e le forme attraverso cui il cinema italiano ha rappresentato la spiaggia, dal fascismo e attraverso tutto il Novecento, facendone un luogo unico ed esemplare, la cui immagine e importanza è radicalmente diversa rispetto a quella reperibile in altre cinematografie. Allo stesso tempo, il libro ne evidenzia l’importanza nell’immaginario nazionale, ben oltre i confini dei film e del periodo preso in esame: la spiaggia è infatti un ambiente che ha segnato la storia culturale italiana, dal caso Montesi alla morte di Pasolini, dalla rivoluzione dei costumi nei primi anni sessanta alla recente configurazione come tribuna politica, sino al suo ruolo di frontiera visiva per i movimenti migratori che riguardano il Mediterraneo. Alla funzione della spiaggia come confine, anche metaforico, è dedicata proprio l’introduzione che qui pubblichiamo.
Un lungo confine di sabbia tra arretratezza e modernità
La spiaggia non è solo un territorio fisico e geografico, ma soprattutto un vero e proprio topos culturale nel quale si possono rispecchiare in forme più o meno evidenti le caratteristiche sociali, antropologiche e identitarie di un popolo1.
Spazio a metà strada fra l’entroterra (connotato e scandito dalle norme della vita sociale) e il mare (“eterno indistinto” per antonomasia e quindi canonica metafora di libertà), la spiaggia è l’orizzonte in cui si attua una particolare condizione carnevalesca. Quella in cui non è la maschera, ma al contrario la sua assenza – cioè la (semi)nudità dei corpi di uomini e donne – ad amplificare ciò che Michail Bachtin definiva, proprio con riferimento al carnevale, «il trionfo di una sorta di liberazione temporanea dalla verità dominante e dal regime esistente, l’abolizione provvisoria di tutti i rapporti gerarchici, dei privilegi, delle regole e dei tabù»2. I costumi (da bagno), in sostituzione di quelli che marcano le differenze sociali nella vita quotidiana, determinano infatti, nel contesto particolare della spiaggia, uno pseudo-livellamento sociale capace di infondere, in quel peculiare e limitato spazio-tempo, l’illusione di essere tutti uguali (proprio come, appunto, nel carnevale). È quindi possibile considerare l’arenile come una sorta di bolla nella quale è incoraggiata la sperimentazione e negoziazione di «identità, comportamenti e relazioni normalmente impossibili»3 che, in funzione della natura di tale elemento paesaggistico, si calano in una condizione di particolare fluidità. Per statuto la spiaggia è infatti un campo di rappresentazione particolarmente mutevole «in ragione sia della sua intrinseca mobilità (i suoi parametri cambiano con ogni onda che vi si infrange) sia del suo essere uno spazio complesso nell’ambito della vita “nazionale”»4.

Con i suoi circa 7500 chilometri di coste, nella sua qualità di paese “balneare” per definizione, l’Italia rappresenta in tal senso un caso del tutto paradigmatico. Qui l’arenile costituisce quanto mai il luogo in cui viene letteralmente messo a nudo, con tutte le sue storiche e insanabili contraddizioni, il “carattere nazionale”5 ed è insieme lo straordinario laboratorio nel quale si realizzano «quelle forme della socievolezza che costituiscono l’unico possibile terreno comune di un Paese carente di comuni processi di associazione»6. Non stupisce quindi che la spiaggia occupi nell’immaginario italiano un posto di primo piano e che per questo abbia rappresentato nella nostra tradizione cinematografica il set di una moltitudine di film capaci di mettere in scena e interpretare, con una peculiare nitidezza, i mutamenti storici, sociali e antropologici vissuti dal nostro paese in più di mezzo secolo.
Seguendo un percorso cronologico e insieme tematico, a essere prese in esame in questo volume saranno le opere nelle quali la spiaggia costituisce la principale ambientazione, ma – senza alcuna pretesa di esaustività – anche quelle in cui essa compare in singole scene o frammenti caricandosi di una funzione espressiva particolarmente degna di attenzione.
Fatalmente variegata, di conseguenza, sarà la filmografia di riferimento che non risulterà tuttavia limitata al filone balneare nel quale, tra la fine degli anni cinquanta e la metà dei sessanta, in un trionfo spensierato di colori, suoni e canzonette, si è celebrata la nuova dimensione nazionale della vacanza di massa. Pur riservando a tale ambito filmografico la dovuta attenzione, il tentativo di questa ricerca sarà piuttosto quello di allargare lo sguardo all’eterogeneo quanto intrigante ventaglio di forme filmiche messo in campo dal cinema italiano per ritrarre, attraverso l’impiego dello scenario della spiaggia, le contraddizioni e le zone in ombra dei processi di cambiamento che hanno interessato l’Italia dagli anni trenta all’inizio del decennio degli ottanta7. La cruciale parabola storica cominciata nel pieno del regime fascista, proseguita con la ricostruzione e culminata con il boom economico, prima di declinare negli anni di piombo e quindi nella stagione del “riflusso”, coincide infatti con il periodo in cui le diverse fasi di modernizzazione del paese, e la conseguente nascita e istituzionalizzazione del tempo libero, hanno portato alla scoperta della spiaggia quale nuovo luogo comune nazionale.

L’ipotesi da cui muove questo lavoro è dunque che, proprio in questo lasso di tempo nel quale assurge a vero e proprio topos culturale, la riva abbia costituito l’ideale set in cui è stato messo reiteratamente in scena, in forme e declinazioni di volta di volta differenti, quello «sguardo all’avvenire incompiuto»8 in cui risiede un tratto fondamentale dell’italianità. Nella sua natura ambivalente di luogo di separazione e insieme di unione, in tale lunga e articolata stagione la spiaggia si sarebbe cioè resa terreno d’elezione dove coltivare quell’archetipo nazionale che, secondo Giulio Bollati, fa capo a un paese tendenzialmente proteso verso l’avvenire e la modernità, ma nel contempo storicamente incapace di «rinunciare ai doni mitici dell’arretratezza»9.
* in copertina una scena del film Il seme dell’uomo di Marco Ferreri (1969)
Note
- Cfr. A. Savelli, Sociologia del turismo balneare, Milano, FrancoAngeli, 2009, p. 11.
- M. Bachtin, Tvorcˇestvo Fransua Rable i narodnaja kul’tura srednevekov’ja i Renessansa, Izdatel’stvo «Chudocˇ estvennaja literatura», 1965; trad. it. L’opera di Rebelais e la cultura popolare. Riso, carnevale e festa nella tradizione medievale e rinascimentale, Torino, Einaudi, 1979, p. 13.
- R. Eugeni, Vacanza, in R. De Gaetano (a cura di), Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita, iii, Milano, Mimesis, 2016, p. 359.
- F. Handyside, Cinema at the Shore: The Beach in French Film, Bern, Peter Lang, 2014, p. 4 (trad. mia).
- Su tale aspetto cfr. S. Patriarca, Italianità. La costruzione del carattere nazionale, Roma-Bari, Laterza, 2011.
- Eugeni, Vacanza, cit., p. 362.
- A una sintetica riflessione sul rapporto tra cinema e spiaggia negli ultimi decenni è dedicata la conclusione. Va inoltre specificato che, tranne pochissime eccezioni, in questo libro non si fa riferimento a tipologie di spiaggia che non siano quelle marine. Alle rive dei laghi o dei fiumi è infatti associato, nel nostro cinema come altrove, un diverso immaginario (a cui andrebbe dedicato uno studio a parte) in ragione sia della loro specifica conformazione fisica sia del minor peso da esse assunto nella storia del turismo nazionale (perlomeno quello di massa).
- Bachtin, L’opera di Rebelais e la cultura popolare, cit., p. 13.
- G. Bollati, L’italiano. Il carattere nazionale come storia e come invenzione, Torino, Einaudi, 2011, p. 118.