Tre mesi di elezioni e di propaganda elettorale hanno condotto a una redistribuzione delle forze politiche nel Parlamento tunisino e a un nuovo Presidente della Repubblica.
La carriera politica di Beji Caid Essebsi – 88 anni – costituisce un ponte tra la Tunisia post-rivoluzione e la Tunisia post-indipendenza francese, scavalcando il periodo di Ben Ali, ormai condannato dalla storia.
Le tornate elettorali (prima le elezioni legislative, poi due turni di elezioni presidenziali) sono state caratterizzate da una bassissima affluenza alle urne; il tasso di estensione reale ha raggiunto il 60 per cento, un dato sul quale incide l’astensione giovanile, cioè di coloro che quattro anni fa riempirono le strade di incontenibile protesta fino a costringere al collasso il regime politico di Ben Ali.
Sarà forse sorpreso chi pensa al 14 Gennaio[1] come all’azzeramento del vecchio ordine politico tunisino e a un assoluto nuovo inizio; meno sorpreso sarà chi guarda alla rivoluzione come a un evento fondante di un processo di riformulazione – politica e sociale – del sistema-paese Tunisia, fatto di rotture e continuità con lo status quo ante.
È di questo processo che la procedura elettorale è fotografia e condizionamento, fornendoci due principali elementi di riflessione: essa ci aggiorna sugli equilibri tra le forze politiche in campo istituzionale, formalizzando le azioni e le reazioni ai risultati delle elezioni per la costituente del 2011[2] e al governo della Troika;[3] inoltre, ci dice qualcosa sui rapporti di forza tra le istituzioni dello stato: Presidenza, Governo, Parlamento.
Elezioni Legislative e presidenziali
Le legislative dello scorso 23 Ottobre hanno consacrato Nidaa Tounes, che per la prima volta partecipava alle elezioni, come la prima forza politica tunisina, con 85 seggi su 217. Al-Nahda, partito islamista democratico, si è posizionato al secondo posto con 67 seggi, registrando un calo di venti punti percentuali.[4]
Fondato nel 2012, Nidaa Tounes nasce in reazione alla centralità acquisita da al-Nahda – partito democratico islamista – in seguito alle elezioni per la costituente. Aggrappandosi alla storia sulle corde di un aggiornato bourguibismo, Nidaa Tounes si auto-definisce modernista e anti-islamista. Secondo le parole di Essebsi – fondatore e attuale Presidente della Repubblica – «Nidaa è formata da quattro sensibilità patriottiche; i dousturiani – ossia i bourguibisti, nda – gli indipendenti, i sindacalisti e i politici della sinistra non radicale»[5]. Dietro il cartello del patriottismo anti-islamista, si nascondono (malcelate) figure politiche già attive nel regime di Ben Ali: un dato che legittima a considerare il partito un canale di ingresso – riciclaggio – per esponenti dell’Ancien Regime.
Due sono i fattori che hanno aperto la strada al successo di Nidaa Tounes: il primo è la mancanza, al centro, di un partito moderato non islamista (da non intendersi laico) in grado di porsi come punto di riferimento per la classe imprenditoriale delle coste del nord-est del paese, per la burocrazia e per gli intellettuali; in altri termini, per quello scorcio di società tunisina che si nutre di un immaginario di riuscita sociale e fonda la propria scelta politica sugli stessi interessi economici sui quali faceva leva il regime di Ben Ali: gruppi sociali centrali nell’allora struttura economica e che non ne soffrivano il carattere liberticida. Il secondo fattore riguarda il fallimento di due anni di governo di coalizione della Troika, che non ha apportato miglioramenti, né in campo economico né in ambito securitario[6].
Pur mantenendo una solida base di elettorato, al-Nahda ha perso la centralità politica di cui godeva tre anni fa; orfano dei vecchi alleati e con una retorica anti-islamista che nasconde il rapporto competitivo tra l’islam moderato e i gruppi islamisti radicali, al-Nahda deve far fronte a un forte isolamento in politica interna. Il partito si mostra isolato anche nello scenario regionale, dove prima il colpo di stato egiziano e poi l’affermazione dell’ISIS hanno lasciato al suo leader Gannouchi la Turchia di Erdogan come unico referente estero. Sprovvisti di un candidato per le presidenziali, all’indomani delle elezioni legislative i vertici del partito hanno mantenuto un profilo basso, non esprimendo pubblicamente alcuna linea politica. Un approccio attendista che non è stato abbandonato neanche quando Marzouki, vecchio alleato e naturale preferenza per la base elettorale di al-Nahda, è giunto al ballottaggio presidenziale con Essebsi.
Beji Caid Essebsi e Moncef Marzouki sono i due volti, i due nomi, le due icone che hanno monopolizzato il discorso politico e propagandistico della scena tunisina da novembre a dicembre. I due candidati rappresentano due posizionamenti politici e personali diversi – spesso opposti – nella storia politica della Tunisia. Essebsi, politico fin dai tempi dell’indipendenza e della costruzione dello Stato Tunisino Indipendente; Marzouki, attivista nel campo dei diritti umani in attrito con quello stesso Stato e la sua élite politica.
Essebsi ha ricoperto diversi ruoli istituzionali ai tempi di Habib Bourguiba.[7] Il suo messaggio politico plasma e adatta al contemporaneo la teoria e la pratica del bourguibismo – l’idea di uno stato forte, che ha trovato spazio nella retorica anti-islamista di questi ultimi tre mesi, rinvigorita ed esasperata dall’avanzata dell’ISIS nel contesto regionale. La sua principale urgenza politica appare quella di restituire allo Stato il prestigio perso in due anni di transizione a una leadership islamista.
Marzouki, dall’altra parte, è nato in una famiglia per la quale il bourguibismo non rappresentava un’idea di Stato, bensì una forma di oppressione. Il padre fu un Qadi:[8] sostenitore di una fazione politica che si opponeva a Bourguiba, fu costretto a rifugiarsi in Marocco.
Laureatosi in medicina alla Sorbonne, Marzouki tornò in Tunisia nel 1979. Molto attivo in ambito universitario e promotore di progetti di medicina comunitaria, entrerà nella Lega Tunisina dei Diritti
dell’ uomo nel 1980, divenendone presidente dal 1989 al 1994, in «scontro frontale con il potere (Ben Ali, nda)».[9] Arrestato più volte nel corso degli anni Novanta, accusato di collaborare con gruppi islamisti fuori legge, nel 2001 fondò il CPR (Congresso per la Repubblica), Partito messo subito al bando e coordinato dalla Francia, dove Marzouki tornerà, rimanendovi – in esilio – fino al 2011.
Con una retorica provocatoria, Marzouki ha basato la propria campagna elettorale sulla necessità e l’urgenza di contrastare il ritorno della vecchia classe politica: «votare Nidaa Tounes significa votare contro la Rivoluzione». La sua vicinanza a un mondo clericale e religioso – in particolare i salafiti – alla cui base giace un’idea di inclusione politica e sociale, lo ha esposto a diversi attacchi mediatici.
Dopo una estenuante campagna elettorale, il 21 dicembre scorso il 40% degli aventi diritto al voto ha eletto Essebsi Presidente della Repubblica tunisina post-rivoluzione, con il 52,8% delle preferenze e uno scarto di cinque punti percentuali sul suo rivale.
Essebsi è fondatore e leader del partito di maggioranza parlamentare che esprimerà la figura del Primo Ministro. Quanto alla linea politica, questa non sarà certo definita in Parlamento, bensì a Cartagine, dove risiede il Presidente, i cui trascorsi politici sono in piena continuità con una parte dell’élite politica formatasi all’indomani dell’indipendenza.
La tornata elettorale si è svolta nel pieno rispetto della procedura democratica, controllata a fuochi
incrociati da vari organismi, apprezzata e legittimata dalla comunità internazionale. Ciò nonostante, l’elevato tasso di astensionismo ci costringe a ridimensionare l’ importanza che è in genere attribuita alle dinamiche di politica istituizionale. Il 60% degli aventi diritto non ha partecipato alla procedura democratica. E gli astenuti sono per lo più i giovani, gli stessi che quattro anni fa diedero uno scossone agli assetti politici del paese, reclamando maggiori libertà, in reazione alla degradante situazione socio-economica. Oggi come ieri, su di loro si scaricano i cortocircuiti di sistema sotto forma di disoccupazione; oggi come ieri, a questa generazione è negato ogni margine di azione, in un contesto che vede l’Europa sempre più come una fortezza, la Libia teatro di guerriglia e l’ Algeria preclusa per Costituzione.
Ma nello spazio pubblico libero della nuova Tunisia si muovono i «nuovi arabi»,[10] movimento generazionale di giovani attivisti che agiscono con consapevolezza politica e sociale, sebbene bloccati dalla dilagante disoccupazione e da un sostanziale isolamento. Sono anche questi attori politici a informarci sul livello di democraticità reale raggiunto dal paese.
Note
[1] Il 14 Gennaio 2011 Ben Alì lasciò la Tunisia in seguito alle proteste in tutto il paese.
[2] Alle elezioni per la Costituente del 23 Ottobre 2011 al-Nahda ottenne 85 seggi sui 217 disponibili. Il secondo partito, il CPR di Marzouki, ne ottenne 12.
[3] Coalizione di Governo formatasi dopo le elezioni per la Costituente e a cui presero parte al-Nahda, il CPR ed Ettakakol.
[4] Seguono l’ UPL di Slim Riahi, con 16 seggi; il Fronte Popolare di Hamma Hammami, con 15 seggi; Afek Tounes, con 8 seggi; il CPR di Marzouki, con 4 seggi. Ettakakol, partito della Troika, non ha ottenuto alcun seggio.
[5] Intervista rilasciata a France24.
[6] I tre partiti della Troika hanno registrato un calo delle preferenze di 20 punti percentuali.
[7] Ambasciatore in Francia, Ministro degli Interni, Ministro degli esteri). Durante l’ era di Ben Ali è stato ambasciatore in Germania e poi Presidente della Camera dei Deputati fino al 1991, per poi eclissarsi politicamente fino al 2011, quando divenne – cooptato- Primo Ministro ad interim subito dopo la fuga di Ben Ali.
[8] Magistrato musulmano di nomina politica.
[9] Moncef Marzouki, L’invention d’une dèmocratie, 2011.
[10] Azmi Bishara, Chi sono i nuovi arabi?, al-Arabi al-Jadeed, 4 Novembre 2014.