Trilogia dell’Area X, una lettura al confine tra due mondi

Nel corso del 2014 lo scrittore Jeff VanderMeer, conosciuto come autore di Science Fiction e figura di riferimento del cosiddetto New Weird, ha pubblicato una trilogia, prontamente tradotta in italiano per Einaudi dall’ottima Cristiana Mennella.

Il primo dei tre romanzi – Annientamento – è l’unico che volendo potrebbe anche essere letto come un’opera a se stante. Il secondo e il terzo libro, invece, per quanto anch’essi strutturati da un punto di vista narrativo in modo indipendente, contengono moltissimi rimandi al primo e renderebbero quindi menomata e di difficile comprensione una loro lettura separata.

La struttura della narrazione, vista nell’economia dell’opera, rimane un elemento a latere, quasi occasionale, anche alla luce del fatto che le infinite domande che prendono corpo nel corso della lettura rimangono senza risposta nella quasi totalità dei casi. VanderMeer ti convince a rinunciare provvisoriamente alla coerenza interna del testo, regalando in cambio una partecipazione e un’adesione emotiva senza esitazioni.

Annientamento racconta la storia di quattro donne e del loro percorso all’interno di un territorio denominato Area X, dove da lungo tempo, forse da decenni, avviene qualcosa di difficile comprensione e mortale per gli uomini che ne sono colpiti. Le quattro donne, identificate sin dalle prime righe non da un nome proprio, ma da un’occupazione (“la biologa”, “la psicologa”, “la glottologa” etc.), sono membri di una spedizione – la dodicesima, la prima di sole donne – organizzata da una sorta di servizio segreto militare denominato “Centrale”, che fin dalla nascita dell’Area X si occupa del monitoraggio di quest’ultima e – apparentemente – di controllarne l’attività attraverso una sede operativa situata proprio vicino al confine.

La questione del margine, del limite, è trasversale all’intera trilogia. Qui si svolge un’ossessiva ricerca del senso di questa separazione, del suo valore etico ed epistemologico, del significato della sua posizione. Il confine dell’Area X difatti è ovunque e in nessun posto, è un principio agente, è mobile e potrebbe allargarsi a occupare il mondo intero. Questa sede, che potremmo definire “il guardiano del confine stesso”, è nota come “Southern Reach” e ospita, oltre all’esercito e agli uomini dei servizi, un imponente staff di scienziati che lavora sui campioni recuperati dalle varie spedizioni e sui dati in loro possesso. Tutto questo però non è subito reso noto ai lettori e il primo volume della trilogia scorre parlando in realtà di tutt’altro, ovvero di ciò che incontrano le quattro protagoniste e di come questa esperienza le trasformerà in maniera irreversibile e incomprensibile.

Sin da una prima lettura quindi questo volume si rivela essere sia un appassionante romanzo d’avventura, scritto con maestria in una lingua raffinata e coinvolgente, sia un passo di quella discesa agli inferi che la relazione con Area X rappresenterà per alcuni dei personaggi. È evidente in VanderMeer il pieno possesso della trama ed è altrettanto chiaro che l’autore non sta lasciando nulla al caso. Nessuna delle emozioni suscitate dal testo è il risultato di una coincidenza emersa dall’azzardo delle combinazioni quanto piuttosto il prodotto di una fitta selezione di vocaboli e atmosfere.

Una volta conclusa la lettura viene difatti spontaneo ritornare al testo, ricostruendo così i fatti e la trama basandosi sui pur scarsi chiarimenti che vengono offerti nel corso dei tre romanzi. Annientamento è immerso in una visione del mondo ballardiana, e mi riferisco in particolare alla concezione evolutiva contenuta nella tetralogia apocalittica, soprattutto in Deserto d’acqua. Ritroviamo quindi – nel testo di Ballard così come nel romanzo di VanderMeer – un senso d’impotenza assoluta, una percezione della natura come di ciò che realmente e originariamente ci è alieno. Non serve cercare l’altro da noi tra le stelle: è già in mezzo a noi, anzi subito fuori di noi, al nostro fianco, lo intravediamo sfuggente ai margini dello sguardo. Un’ombra che scivola appena oltre il confine, oltre il margine della logica e della coerenza. La biologa, coscienza critica del gruppo, comprende presto l’ineluttabilità di ciò che le attende, e potremmo quindi dire che l’intera trilogia cerca di descrivere il cammino verso l’accettazione del nostro destino, sia in quanto individui sia come specie. Accettazione è difatti il titolo del terzo volume, in cui si compie ciò che qui è seminato. La natura è il convitato di pietra della trilogia, una natura però che è stata totalmente deantropizzata, dove infatti gli umani muoiono. È impossibile analizzarla con gli stessi schemi che oggi usiamo per porci in relazione con il non umano.

VanderMeer passo dopo passo ci mostra come ogni nostro quotidiano agire sia inficiato dal virus dell’antropocentrismo. Lo stesso concetto di esistenza si assottiglia di fronte alla mancanza di un centro percettivo e interpretativo, ed è quindi l’accadere stesso degli eventi che è continuamente messo in discussione. La percezione non è più sinonimo di verità. Questa rivelazione di stampo squisitamente dickiano è il fulcro del secondo volume, Autorità. Difatti se il punto di riferimento di Annientamento è Ballard, per Autorità è sicuramente Philip Dick, che attraverso la sua intera opera si è posto il problema dei principi depositari della verità e di conseguenza dei criteri di determinazione della stessa. In altri termini di come il problema epistemologico muta inesorabilmente nel problema ontologico. Il titolo stesso è quindi un progetto, un impulso, un estremo tentativo. Dopo la perdita di senso che si dispiega per tutto il primo volume, il fattore umano (rappresentato da Centrale e dalle sue emanazioni) cerca di riprendere il controllo dei cardini epistemologici della narrazione, e proprio “Controllo” è il nome che si dà il nuovo direttore di Southern Reach, il personaggio intorno a cui ruota l’intero secondo volume. Un nome che è in sé uno scopo, un obiettivo. Nominare le cose significa dargli senso. Controllo nominandosi cerca il suo senso, ed essendo lui il vertice della scala gerarchica, nella logica antropocentrica che lo pervade, questo senso dovrebbe ricadere a cascata sul mondo intero.

Nulla di più falso. John Rodríguez (il nome datogli da sua madre alla nascita) rimane comunque il figlio di una madre incapace di svolgere il suo ruolo e ai suoi occhi artefice delle sue disgrazie, l’uomo che non è in grado di essere adulto, il capo che non definisce relazioni strutturate e che non sopporta il peso dell’indeterminatezza. Nel tentativo di trovare alleati si appoggia sempre più al fantasma della biologa, ma ancora una volta il suo è solo un flebile e freudianamente edipico tentativo di lasciare ad altri la gestione della sua vita. Il vortice di fallimenti lo trascina verso il fondo, e non serve incolpare l’Area X della sua perdita di coscienza. È evidente che la sua fine era già scritta, e subire una sempre maggiore perdita di senso di realtà lo spinge a radicalizzare la sua vita, e rivolgersi direttamente verso il cuore della trasformazione in corso. Quello di Controllo nel secondo volume è quindi a tutti gli effetti un regressus ad uterum, un percorso per riportare l’umano (se stesso, la sua umanità) nella natura, ma cercando contestualmente di mantenere l’uomo come luogo deputato dell’umanità, opzione che è il cardine dell’antropocentrismo. Ancora una volta è drammaticamente impossibile: comprendere razionalmente la natura dell’Area X è oltre le nostre capacità. In lei vive l’archetipo mitico, e perciò solo il femminile in quanto principio generativo, e quindi immediatamente naturale, può affrontare l’assolutamente altro espresso dall’Area X. Sono difatti le donne, dalla prima all’ultima pagina della trilogia, gli unici veri referenti. Ovviamente con differenti specifiche e peculiarità. Molte moriranno, ma alcune capiranno, mentre l’intero sesso maschile scompare nel nulla di un’incapacità primitiva, quasi genetica. L’unico maschio che trascende il ruolo e guarda oltre, nel mondo nuovo, è il guardiano del faro, non a caso omosessuale, la cui storia è parte determinante del terzo volume. Il femminile, se da un lato ha una vicinanza immediata con la natura generativa, dall’altro patisce anche un rapporto sofferente e oppositivo con l’autorità, che è principio maschile, e questo tema si dipanerà nel secondo volume dall’omonimo titolo.

In Annientamento VanderMeer ci mostra quindi quattro donne che si determinano nel loro rapporto con la natura. Questo rapporto che è sempre metamorfico, ma proprio per ciò a volte è mortale. È l’alienazione del genere umano rispetto al totalmente altro rappresentato dall’Area X che rende il contatto venefico. Le alternative possibili per l’umanità a questo stato di cose sono due. La prima è descritta in Autorità, dove si racconta di come uomini e donne vivano nel nostro tempo in completa psicosi e preda della paranoia più radicale. La nostra follia consiste nel costruire una piramide gerarchica totalmente astratta che consegna a ognuno dei ruoli. Questi sono di fatto impossibili da rispettare e il gap tra aspettative e risultati genera frustrazione e nevrosi. Chiaramente più i ruoli ricoperti sono alti nella gerarchia, più la crisi è devastante e tocca nervi scoperti. La seconda alternativa si mostra in Accettazione, dove i percorsi si ricompongono e i pochi sopravvissuti che hanno saputo accettare la trasformazione, ovvero il fatto che non si possa più tornare indietro, sperimentano un possibile ricongiungimento. Ci raccontano, con voci e tempi molto diversi, la loro natura e cosa li ha condotti all’Area X e alla trasmigrazione che stanno subendo. Non sanno se il mondo esiste ancora, ma certamente il mondo per loro, il mondo che hanno conosciuto, non è più raggiungibile.

La biologa e il suo fantasma, Grace, il guardiano del faro, e – in altro modo – la direttrice e Controllo, non si sono più voltati indietro, hanno rinunciato a capire, a sapere e a ricordare. I campioni sperimentali, i testi, i libri, le ipotesi e le testimonianze: l’immensa mole di documentazione accumulata sull’Area X improvvisamente è riconosciuta come inutile, e lasciata a marcire per terra o in cantina. Anche il pluridecennale tentativo del guardiano del faro di trasferire il suo antico sapere nella nuova natura, creando la più ambiziosa testimonianza dell’umanità nel nuovo mondo, s’infrange di fronte all’impossibilità della comunicazione. I sermoni del padre predicatore, trasformati in un’immensa forma di vita vegetale, sono solo un fantasma, non riconosciuto da chi non sa rinunciare all’autonomia dell’umano e cerca a qualsiasi costo una spiegazione interna al Logos. Gli uomini continueranno a credere che il mondo e l’universo tutto siano fatti per loro, ma chi si preoccupa di meditare sulla trilogia che ha scritto Jeff VanderMeer con ogni probabilità ha spostato di un infinitesimo la linea del confine tra noi e l’Area X in cui viviamo.

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