Transmedia

Storia, memoria e narrazioni attraverso i media.

Interdisciplinary Italy 1900-2020: interart/intermedia è un progetto di ricerca finanziato dall’AHRC che coinvolge i dipartimenti di italianistica dell’Università di Birmingham, University College London e Royal Holloway.

Seguendo il cambiamento dei paradigmi culturali del Novecento e del nuovo Millennio, il gruppo di ricerca formato da Clodagh Brook, Giuliana Pieri, Florian Mussgnug ed Emanuela Patti esplorerà i rapporti tra le arti e i media verso una teoria dell’interdisciplinarità.

Le domande guida del progetto mirano a chiarire i contesti storico-culturali di tali sperimentazioni mettendo in luce le motivazioni che hanno spinto la trasgressione dei confini artistici e l’impatto sociale di tale cambiamento.

Interdisciplinary Italy segue un biennio ricco di eventi e momenti di discussione tra Londra, New York e Roma che hanno prodotto, tra le altre cose, un volume curato da Clodagh Brook ed Emanuela Patti sullo sperimentalismo narrativo tra letteratura e nuovi media dal titolo Transmedia. Storia, memoria e narrazioni attraverso i media (Milano, Mimesis, 2014). Riportiamo qui un estratto che mette in luce alcune delle questioni metodologiche legate all’approccio interdisciplinare.

L’oggetto di studio di questo volume, la narrazione transmediale di storie, memoria ed identità, non poteva che essere analizzato attraverso un approccio teorico interdisciplinare, ovvero un approccio che trasferisse i metodi di una disciplina ad un’altra.

Per capire il rapporto tra la convergenza dei media e le nuove forme narrative che ne derivano ci siamo innanzitutto proposti di superare un certo arroccamento difensivo degli studi letterari verso pratiche che si situano al margine con gli studi di media. La diffidenza reciproca tra discipline — più sovente frutto di un disinteresse o di una paura ad uscire dalla propria comfort zone —, è nel caso degli studi letterari dovuta innanzitutto ad un’asincronicità nello sviluppo delle due materie: quella che nel suo recentissimo volume, A New Republic of Letters (2014), McGann chiama la “repubblica delle lettere” nasce secoli prima degli studi sui media, fenomeno che accompagna l’invenzione dei mezzi di comunicazione di massa tra XIX e XX secolo (fotografia, televisione, cinema, ecc.).

Ma dipende anche da una mancanza di consapevolezza del libro come medium e del suo ruolo nel più ampio contesto di un’ecologia dei media. Spesso si ignora la storia naturale della letteratura e l’influenza che questa ha avuto per secoli sull’organizzazione cognitiva della realtà.

La mancanza di una prospettiva più ampia sul paesaggio mediatico ha portato a certe posizioni difensive o apocalittiche […] Come dimostra la ricezione del transmedia in Italia, la cultura del romanzo è invece ancora molto forte e radicata nel territorio nazionale così come lo è in tante altre parti del mondo.

La diffusione di massa di Internet ha sicuramente portato ad una maggiore consapevolezza del paesaggio mediatico con cui ci confrontiamo ogni giorno, rendendo più visibili i confini e le specificità di ciascun medium. Come scriveva Espen J. Aarseth già nel 1997, nell’epoca della doppia ontologia della testualità che ci circonda (schermo o carta), questa cecità ideologica non è più possibile, quindi dobbiamo sollevare in un nuovo contesto una vecchia domanda: che cos’è un testo? (Aarseth, 1997: 15).

Per molti scrittori misurarsi con i nuovi media non ha sicuramente significato liberarsi dell’oggetto-libro ma estenderne le potenzialità. […] Viviamo in uno scenario mediatico tanto diversificato quanto affascinante, che varia da Paese a Paese, da regione a regione; uno scenario in cui, convivendo l’uno con l’altro, ciascun medium si fa portatore di una cultura, di un punto di vista e di un particolare modo di raccontare la realtà.

Come sostiene Caroline Bassett in The Arc and the Machine. Narrative and New Media (2007), senza iniziare con la tecnologia ad un certo punto dell’analisi, non possiamo esplorare le connessioni naturali tra forme culturali e mondo sociale che da essa derivano e ci vengono offerti come un firmamento, ora chiamato “rivoluzione informatica”, ora postmodernità, ora postumanesimo; non possiamo quindi comprendere la relazione tra cultura e tecnologia che diventa non la materia di indagine, ma il suo orizzonte.

Questo porta ad una riconsiderazione della tecnocultura – ovvero l’interconnessione tra cultura e tecnologia e come si influenzano reciprocamente – (Bassett, 2007: 3) ed in particolare all’esplorazione delle divisioni tra approcci più o meno marxisti e approcci post-umani a proposito di informazione.

Struttura del volume

In una prospettiva interdisciplinare che si posiziona sul margine tra teoria letteraria e teoria dell’informazione, narratologia e semiotica, storia del libro (i cosiddetti book studies) e teoria dei media, questo volume intende esplorare come le storie, la memoria e l’identità vengono negoziate nelle nuove pratiche narrative nella cultura italiana del XXI secolo. […]

Il proposito è pertanto quello di inaugurare una nuova area di ricerca e sollevare questioni che speriamo vengano ulteriormente sviluppate in lavori successivi. A tale proposito, è bene precisare che, in considerazione del rapido sviluppo tecnologico e delle dinamiche socio-culturali che la parola scritta verso un’analisi del suono e dell’immagine, fondamentali per la memoria uditiva e visiva. […] questo volume non ha pretese di esaustività e sistematicità, ma si pone come un discorso aperto sul transmedia in Italia.

La prima parte si concentra sulle sperimentazioni letterarie tra stampa e nuovi media, partendo dalla ricezione del concetto di “cultura convergente” nell’ambito della cosiddetta generazione di scrittori italiani Trenta-Quaranta.

Il primo saggio del volume [di Emanuela Patti], Il romanzo nella “Galassia Internet”. Sperimentazioni transmediali nella narrativa italiana del XXI secolo, esamina in che modo alcuni scrittori italiani hanno risposto al fenomeno della cultura convergente sul piano teorico e della sperimentazione narrativa prendendo in considerazione alcune opere collocate tra romanzo tradizionale, nuovi media e forme di cultura partecipativa.

Muovendo da alcune riflessioni sul rapporto tra tecno-cultura e narrazione e tra memoria storica e nuove forme del narrare, l’obiettivo è quello di esplorare in che modo queste opere hanno fatto propri i concetti di interattività e di immersività delle nuove forme narrative contribuendo a costruire un’identità collettiva di appartenenza diversa rispetto al sistema espressivo testo-centrico, statico nella interazione e passivo nella fruizione della letteratura tradizionale.

Nel secondo saggio del volume, Comunità, intelligenza connettiva: dall’open source all’opera aperta in Wu Ming, Emanuela Piga esplora le caratteristiche della comunità in rete e le pratiche narrative e sociali in cui due o più persone mettono in comune una storia. Attraverso l’esempio del blog-rivista online Giap di Wu Ming e le sue diverse diramazioni, dalla fan fiction che abita i meandri del sito del romanzo Manituana, alla raccolta del materiale elaborato in rete in forma di e-book (Giap. L’archivio e la rete), l’intento di questo studio è quello di delineare le analogie che tengono insieme il paradigma tecnologico del codice open source con quello epistemologico di opera aperta.

Nel terzo saggio del volume, Il transmediale, la storia “sporca” e la narrativa di genere. Alcune osservazioni a partire da United We Stand, di Simone Sarasso e Daniele Rudoni, Marco Amici si propone di evidenziare alcune potenziali corrispondenze tra la pratica del transmedia storytelling e quella più tradizionale della letteratura di genere.

Tali riflessioni prendono spunto dalla graphic novel United We Stand (2009), disegnata da Daniele Rudoni e sceneggiata da Simone Sarasso, quest’ultimo già autore di una trilogia – tra romanzo storico, noir e spy story – dalla chiara impronta di “genere”. In particolare, il saggio valuta quegli aspetti relativi ad una dimensione più problematica e non necessariamente consolatoria che possono essere veicolati da forme narrative eminentemente pop.

La seconda parte prende in considerazione la scrittura della Storia attraverso più media, con particolare attenzione alle pratiche di costruzione, ricostruzione e manipolazione della memoria collettiva a partire da fatti storici ed eventi collettivi e la comunicazione di prospettive e voci alternative che emergono con difficoltà nella cultura mainstream.

L’obiettivo di questa seconda parte del volume è di esplorare gli effetti che l’ibridazione multimediale ha sulla rappresentazione della Storia collettiva e in che modo l’audience viene chiamata a collaborare in queste pratiche.

Il primo saggio della seconda parte, La resa diretta radiofonica e la registrazione grafica indiretta, esamina il suono delle violenze perpetrate durante il G8 a Genova nel 2001 e come viene espresso tramite due media: le dirette radiofoniche di Radio GAP (e i cd pubblicati successivamente da Radio Popolare) e il graphic novel, in particolar modo Quella notte alla Diaz di Christian Mira, i cui mezzi grafici raffigurano non solo la memoria visiva ma anche quella sonora del G8.

Le autrici, Monica Jansen e Inge Lanslots, indagano il rapporto suono-immagine e concludono chiedendosi se l’oralità basta per l’esprimere le esperienze e le memorie di eventi come quelli del G8. È come se al suono “sentisse la mancanza del corpo”, un corpo ritrovato nelle immagini pubblicate sia nel libro di fotografie che accompagna i cd di Radio Gap sia nelle immagini del graphic novel di Mirra.

Il secondo saggio, Dalla piazza reale alla piazza virtuale parla di social media, prendendo in considerazione album di fotografie scattate durante il movimento studentesco del ’77 e successivamente pubblicate sul Facebook nel 2011.

Andrea Hajek esamina come l’identità collettiva di una generazione e l’identità personale vengono ricreate tramite le immagini in rete, una “compresenza collaborativa di vecchi (le fotografie) e nuovi media (le pagine web)” che suscitano la memoria di tante persone coinvolte in un periodo particolare della storia d’Italia.

Nell’ultimo capitolo, Il transmedia activism nel contesto italiano, Alessia Risi ci parla direttamente del presente, ovvero della memoria personale e collettiva in via di costruzione tramite i media.

L’oggetto di studio, Transiti. Il modo sconosciuto dei/delle trans, è un progetto di attivismo e di “sensibilizzazione transmediale” ideato dal RAI ma diffuso tramite Internet, radio e televisione. Anche se l’esperienza di Transiti è significativo e ha avuto un certo successo, Risi conclude che infine pare che il pubblico italiano non sia ancora pronto per un progetto transmediale, ma “ha preferito affidarsi all’utilizzo di un media ‘vecchio’ e poco interattivo quale la televisione”.

In questo volume i nostri autori ci aiutano a capire fino a dove siamo arrivati con l’esperienza transmediale in Italia, come creatori di una nuova realtà e come audience: consumatori di storie, memorie e versioni non sempre egemoniche della Storia. È una realtà in via di rapidi cambiamenti, e la nostra ricerca può aprire solo uno squarcio su questa realtà ma quello che si intravede tramite quello squarcio è ricco e spesso affascinante.

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