Terremoto e COVID-19: emergenze che insegnano molto sulla “mano degli aiuti”

Il Covid Hospital di Civitanova Marche. Foto: Giovanni Leonardi.

IL RISCHIO SISMICO, IL RISCHIO PANDEMICO

«Ci sembra evidente che l’atteggiamento da respingere sia proprio quello delle politiche di prevenzione dettate dall’emergenza in corso […]». Lo scrivono più voci in un Documento-appello intitolato “La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile”.

Esponenti di diverse discipline invitano a costruire consapevolezza in merito alla vulnerabilità dell’esistere. Parlando di rischio sismico ci si può quindi avvicinare alla complessa relazione generata da pericolosità sismica per vulnerabilità per esposizione. Il rischio è connesso anche alla percezione individuale e collettiva della realtà delle cose, e varia in base a ciò che è primario e importante per ciascuno. Se la cittadinanza è consapevole della propria percezione e le istituzioni lo considerano, l’esistenza è più al sicuro. Non si previene, dopo. «Dopo», come dice un terremotato delle Marche «arriva il business dell’emergenza». Queste considerazioni in materia di prevenzione valgono per i terremoti ma anche per il Coronavirus. Il valore rischio muore ora nella zona rossa di un cratere terremotato, ora in quella del Covid-19.

Il mio punto di vista è quello di una Counselor, un’operatrice della relazione d’aiuto che lavora sulla prevenzione della salute prestando attenzione al conflitto come risorsa entro vari ambiti sociali. Attualmente collaboro con studi privati della Toscana e dell’Emilia-Romagna occupandomi di ascolto e orientamento. Riflettere sul terremoto e sulle fragilità sociali significa annettere fra loro aspetti anche lontani nel tempo e nello spazio, che consentono di approfondire fenomenologicamente alcune attitudini dell’appartenere e del “fare società”. Da questo punto di vista è stato naturale connettere il Progetto C.A.S.E del post-emergenza aquilano con Progetto 100, il quale ha generato il Covid Hospital di Civitanova Marche (in Provincia di Macerata).

PROGETTO C.A.S.E E PROGETTO 100

C’è un filo rosso che accomuna rischio sismico e il rischio di una pandemia (attualmente quella causata dal Covid-19). I leit motiv sono sempre gli stessi: la mancata prevenzione in tempi di pace, la macchina degli aiuti che interviene tardi e in modo autoreferenziale, ovvero senza confrontarsi con il contesto locale (ad esempio a livello urbanistico) e con gli abitanti (ora i membri delle istituzioni locali, ora i cittadini stessi). É avvenuto a L’Aquila con il terremoto del 2009, dove il Progetto C.A.S.E – l’insieme dei Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili, realizzati celermente dopo le scosse – ha “sparpagliato il tessuto sociale” senza criterio, facendo perdere agli sfollati ogni senso di riferimento, già messo a dura prova dal trauma del terremoto.

I terremotati nel Progetto C.A.S.E sono passati rapidamente “dalle scosse all’isolamento”, trovandosi senza servizi, punti d’incontro, attività, disabilitati come cittadini. Il Progetto C.A.S.E. ha ridotto «l’urbanistica all’edilizia», spiega l’urbanista Frisch nel volume “L’Aquila. Non si uccide così anche una città?”. Il progetto «appiattisce la complessità della città alla banalità della palazzina […]». A parlare è Vezio de Lucia (urbanista) insieme a Rita Innocenzi (segretaria degli edili della CGIL) e ad altri professionisti che nel 2010 hanno raccolto le proprie perplessità riguardo il progetto, figlio del Governo Berlusconi e della Protezione Civile di Guido Bertolaso.

Anche l’attuale Progetto 100, con la sua riconversione della Fiera di Civitanova Marche in Covid Hospital ha sollevato non pochi dubbi, fra i tanti quelli di Daniela Barbaresi (segretaria Generale CGIL Marche), dei Medici Dirigenti di Anaoo Assomed (Associazione medici dirigenti), di Luciano Gattinoni (ex direttore scientifico del Policlinico di Milano e Presidente della società mondiale di Terapia Intensiva) e Claudio Maria Maffei (ex Direttore Sanitario D’Azienda INRCA, all’ Umberto I di Ancona, USL Fano. Il Covid Hospital, dopo la chiamata di Bertolaso da parte del Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli, è diventato realtà senza che le perplessità e le domande di medici e sindacati venissero ascoltate. Il 5 giugno il Covid Hospital di Civitanova Marche ha chiuso, rimanendo “in sonno” per essere pronto ad attivarsi in caso di nuova emergenza.

Daniela Barbaresi, in un’intervista del 28 Maggio, mi spiega che: «La CGIL ha espresso da subito forti dubbi e preoccupazioni innanzitutto per la mancanza di chiarezza sul progetto complessivo: prima “Progetto100”, ovvero la realizzazione di una struttura con 100 posti di terapia intensiva, poi trasformati in 40 di terapia intensiva e 40 di semi intensiva. Poi è diventato “Progetto Fiera Hospital” per far tornare alla normalità gli altri ospedali. […]». Anche a L’Aquila è mancata fin da subito chiarezza nel progetto: in principio Berlusconi parlava della New Town, attraverso la realizzazione del Progetto C.A.S.E. In corso d’opera però la New Town aquilana si è trasformata in 19 New Towns, senza tante spiegazioni, come ha raccontato il giornalista Francesco Erbani nel 2010, nel suo libro “Il disastro” «[…] la new town si coniuga ora al plurale. Saranno più new towns a ospitare parte dei senzatetto. Ma più insediamenti […] non negano la new town? I quesiti rimbalzano ma restano inevasi».

LA PROTEZIONE CIVILE, IL DISASTRO, IL GRANDE EVENTO

Progetto C.A.S.E e Progetto 100 sono entrambi figli di una cultura della Protezione Civile promossa dalla gestione di Guido Bertolaso. È tra l’altro con Bertolaso che la veste della risposta all’emergenza e della Protezione Civile stessa cambiano completamente natura. Nominato Capo della Protezione Civile nel 2001 da Berlusconi, incarna la trasformazione dell’aiuto (quello fino ad allora inteso – secondo la legge 225 del 24 Febbraio del 1992– come una commistione di soccorso delle popolazioni sinistrate, previsione e prevenzione di eventuali rischi generati dalle specificità dei territori, laddove “previsione” è inteso come “prendere conoscenza della realtà delle cose, mettere in sicurezza ove serve”).

Nel 2001 la Protezione Civile smette sostanzialmente di studiare il territorio per comprenderne le fragilità e prende invece spazio la risposta diretta all’emergenza, l’intervento “a danno accaduto”. In emergenza si va in deroga a normative su ambiente e appalti pubblici e se è vero che un terremoto non capita ogni giorno, allora si possono creare i grandi eventi (per cui occorre la mano della Protezione Civile) e ascrivere fra essi eventi di ogni sorta. (si veda ad esempio il grande evento dell’America’s Cup, 2005).

Nella vicenda aquilana e in quella marchigiana la risposta al disastro delle istituzioni stesse genera una nuova avversità. Con il Progetto C.A.S.E si è distrutto il tessuto sociale aquilano. Si è anche attuata una sonora campagna mediatica a favore del Governo Berlusconi. Con il Progetto 100 torna una risposta al disastro roboante, poco aderente al dato umano e alla contingenza. La catastrofe agevola spesso forti alleanze politiche e annulla il dialogo con la cittadinanza sotto l’egida della parola urgenza. A L’Aquila il disastro agevola investimenti imprecisati nella loro natura, mentre la mafia intanto entra nei cantieri.

l'area terremotata del centro Italia, immagini
Foto: Giulia Scandolara.

TERREMOTO E COVID-19: UN APPROCCIO “EROICO” DELLE ISTITUZIONI ALLE GRANDI EMERGENZE

Progetto C.A.S.E. e Progetto 100 hanno in comune l’impostazione celere dell’intervento, seguita a livello mediatico dalla rapida consegna del “prodotto finito” con relativo conteggio dei giorni (sempre esigui). Hanno in comune anche una gestione poco adamantina delle risorse finanziarie in virtù dell’emergenza stessa. In merito al Covid Hospital, Daniela Barbaresi afferma: «[…] Il fatto assolutamente inedito è stato aver indicato il numero di conto corrente del CISOM, Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, direttamente nel sito della Regione, invitando i cittadini ad effettuare i propri versamenti direttamente in quel conto.». Come si legge su un articolo de Il Manifesto: « […] Sul perché ci sia stato bisogno di coinvolgere una fondazione privata legata all’Ordine di Malta, dalla Regione rispondono che “tra bandi e incarichi che non possono essere derogati, non c’erano i tempi tecnici per poter attivare una raccolta su un conto corrente pubblico”».

Trasparenza e senso etico nella gestione economica dell’aiuto sembrano aspetti secondari e poco rilevanti. L’Aquila invece la magistratura ho indagato sui subappalti del Progetto C.A.S.E. Per il Progetto C.A.S.E. si sono spesi inoltre «[…] 710.380.964 euro, 2.758 euro al metro quadro» come aveva spiegato il giornalista Manuele Bonaccorsi in “Potere assoluto”. Nel 2009, dopo le scosse che distrussero L’Aquila, a soli 100 giorni il Governo porta velocemente i cittadini «Dalle tende alle case». Anche nelle fiere convertite a Covid Hospital torna il sapore del miracolo istituzionale, che pare essere sempre troppo oneroso rispetto alla contingenza. Il Covid-19, al pari del terremoto aquilano e a quello del Centro Italia (2016), riscrive il Paese perché è un disastro.

Come tale ha visto dialogare aspetti del vivere locale con l’organizzazione nazionale del tessuto sociale. Ogni aspetto dell’esistenza ha vissuto una radicale e improvvisa trasformazione, dall’economia alla riorganizzazione degli spazi di vita, dalla salute all’istruzione. Nulla è rimasto invariato. Anche l’atteggiamento delle istituzioni in connessione a sisma e Covid-19 riscrive l’Italia e lo fa per lo stesso motivo. Ho intervistato Claudio Maria Maffei, ex Direttore Sanitario di Azienda che fin dall’inizio si è mostrato scettico nei confronti della proposta di Bertolaso rimarcandone i vizi di forma: «in una primissima fase la scelta aveva qualche connotato tecnico, dopo è stata solo una scelta politica. […] questo tipo di strutture, […] mega terapie intensive in strutture staccate dagli altri ospedali, sono una delle possibili versioni dei cosiddetti COVID Hospital, un tipo di ospedali mai regolamentato dal Ministero che infatti ne parla sempre di meno.»

A Milano su una spesa di 21 milioni, dei 600 posti previsti ve ne sono solo 54 effettivi e 10 realmente occupati. Bertolaso sostiene che i Covid Hospital serviranno per futuri ritorni della pandemia, aspetto sul quale tutto si può dire e nulla si può prevedere. A questo riguardo Maffei dice: è impossibile escludere che in futuro tanti posti letto in più di terapia intensiva non possano servire, ma se vengono messe in atto tutte le misure per contenere la diffusione del virus […] la probabilità di averne bisogno si abbassa drasticamente e a quel punto basterebbe aver rafforzato la rete delle terapie intensive e semi-intensive “vere” negli ospedali “veri.

Guido Bertolaso. Foto: Roberto Ferrari.

IL SENSO DELL’AIUTO, IL SENSO DELLA MISURA

Il Covid Hospital in fiera sembra un aiuto sproporzionato e inopportuno per Civitanova ma prima di intendere “come andrà a finire” occorre forse lasciar passare del tempo, nonostante la Regione dovrà prendere atto delle critiche. L’1 Giugno è stato presentato un esposto in procura contro Progetto 100 per ipotesi di reato di falso commesso in atto pubblico. Più di 230 specialisti «hanno sottoscritto un documento nel quale hanno messo nero su bianco le loro perplessità sia sulla struttura che sul reclutamento del personale» , lo spostamento dei pazienti critici Covid nella struttura stessa. Toscana, Veneto hanno attuato scelte diverse. In Emilia-Romagna si sono ad esempio potenziate le aziende sanitarie esistenti.

«Anche il Governo, con il Decreto “Rilancio”, sul fronte sanitario, dà l’indicazione di investire nella medicina territoriale», spiega Barbaresi. Oltre alla mancata trasparenza nelle donazioni, l’altro punto critico del progetto è il personale: «Solo di recente abbiamo saputo con quale personale verranno garantite cure e assistenza nel Fiera Hospital di Civitanova,[…] ovvero chiedendo a medici, infermieri e tecnici degli ospedali delle Marche di andare a fare turni ulteriori a Civitanova dopo aver completato il proprio orario di lavoro […] Tutto ciò in un contesto di carenza cronica di personale con l’effetto di indebolire ulteriormente le altre strutture Asur.» sottolinea la Segretaria Generale.

LE CONSEGUENZE DELLA RISPOSTA ISTITUZIONALE ALL’EMERGENZA

Ogni regione, a seconda delle proprie configurazioni sociali e urbanistiche, si troverà coinvolta in sfide diverse sotto la stessa calamità. Presi dal proprio dolore si è forse disabilitati dalla relazione con le istituzioni le cui azioni hanno conseguenze poco chiare in fatto di emergenza e uso di donazioni. Sul Covid Hospital delle Marche Maffei mi dice che «gli specialisti di settore (medici ed infermieri) non sono stati sentiti e questo ha ulteriormente tolto di credibilità al progetto.» Evidenzia: «questa scarsa capacità di incidere dei tecnici su tutto il percorso del Fiera Hospital delle Marche deve far riflettere. Occorre in sanità una maggiore autonomia dei tecnici ed un minor potere dei politici. Questo è centrale che non solo nelle Marche.» In effetti è tema centrale anche nell’intervento aquilano di Progetto C.A.S.E..

In entrambi i casi si interviene dall’alto, restando fedeli all’idea stessa del progetto, parola che peraltro si ripete ora nelle Marche ora a L’Aquila. Ci si preoccupa che questo “atterri” nella realtà, come se nella manovra il tessuto sociale smettesse di esistere, con la sua stratificata complessità. Il Covid Hospital di Civitanova non è definito a caso un’astronave. Opporsi è impossibile e con la realizzazione del progetto nasce una riflessione generata dall’impatto finale: progettare ed intervenire in emergenza – e subito dopo – non può essere solo la risposta all’emergenza stessa. Si ha da tener conto di quella tensione al futuro che è degli uomini, delle strutture che lo sostengono e ne permettono relazioni, appartenenza, attività. Per Progetto 100 vi è inoltre la beffa nella beffa.

Per il Covid Hospital di Civitanova il Presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli ha fatto appello alle imprese per sostenere economicamente Progetto 100. Rivolgendosi a tutto il territorio marchigiano ha contattato anche le aree interne, già colpite dal terremoto del 2016. Ad esempio le imprese della provincia di Macerata, Ascoli Piceno si sono viste recapitare a fine marzo una lettera con l’invito a donare, a sostegno della proposta. Questo è stato chiesto allo stesso territorio da anni abbandonato sotto il peso di una ricostruzione post-sisma che tarda a partire. Scrive Erbani ne “Il disastro” «[…] il sisma abruzzese è stato offerto[…] come un’occasione per verificare la bontà di un indirizzo di governo […] A L’Aquila si è prodotto un sistema decisionale stretto nelle mani di pochissime persone […].

Tutto […] è stato avocato alla Protezione Civile, dal suo direttore Guido Bertolaso e da un gruppo di persone da lui scelte […]». Sono parole valide anche per il disastro del Covid-19 e dei Covid Hospital (quantomeno quello marchigiano). Tornano i terremoti, le pandemie e torna anche la banalizzazione del bene ora votata alla semplificazione dell’appartenere, incarnata dalla speculazione nel disastro, ora palesata dallo sperpero delle risorse. Non ci si riferisce solo alle fonti economiche. Si replica ad esempio lo sfregio di quelle energie che potrebbero implementare una rete nella crisi. La professionalità a servizio del tessuto sociale si spegne. Anche questa “banalità del male” è un rischio, altrettanto impercettibile come quello sismico. Anche in materia di aiuti vi è una “sconfitta culturale” per cui serve contagiare la popolazione ad una sonora presa di coscienza.

Bibliografia

Teresa Crespellani, Roberto De Marco, Elisa Guagenti Grandori, Emanuela Guidobini, Vincenzo Petrini, La prevenzione sismica in Italia: una sconfitta culturale, un impegno inderogabile, Documento-Appello al sito www.sicuriperdavvero.it, Febbraio 2019.

Francesco Erbani, IL DISASTRO, L’Aquila dopo il terremoto: le scelte e le colpe, Editori Laterza, Bari 2010;

Rosanna Castorina e Gabriele Roccheggiani , Normalizzare il disastro? Biopolitica dell’emergenza nel post sisma aquilano in Fukushima, Concordia e altre macerie, Vita quotidiana, resistenza e gestione del disastro, a cura di PietroSaitta, Editpress, Firenze 2015;

Georg Josef Frisch L’Aquila. Non si uccide così anche una città? Edizioni Clean, Napoli, 2009;

Sara Zizzari, L’Aquila oltre i sigilli, il terremoto tra ricostruzione e memoria, Franco Angeli Edizioni, Milano, 2019;

Manuele Bonaccorsi, Potere assoluto, la Protezione civile al tempo di Bertolaso, Edizioni Alegre, Roma, 2010.

Print Friendly, PDF & Email
Close