Tempo di esposizione del trauma dell’Aquila

La (ri)costruzione fotografica nei “memoriali informativi” online del Gruppo L’Espresso  

[Una versione di questo articolo è apparsa su “EC”, n.7/8 – settembre 2011][1]

1. Il fatto e il corpus: il terremoto e la fotogalleria
Cos’è il terremoto de L’Aquila e quando ha avuto inizio? Una risposta a queste due domande potrebbe essere: “è una scossa sismica di magnitudo Richter 5,8 che il 6 aprile 2009 ha colpito il capoluogo abruzzese causando 308 morti e 1500 feriti, distruggendo circa 35.379 edifici e costringendo allo sfollamento 65.000 persone”. Questa potrebbe essere la definizione per un lettore, un fotografo o un giornalista, che leggono l’evento aquilano attraverso la lente della sua notizia, ma non certo per un sismologo, per cui il terremoto de L’Aquila inizia alla fine del 2008, si protrae fino alla scossa delle 3:32 del 6 aprile con epicentro Onna – frazione de L’Aquila – per poi esaurire il suo sciame sismico nel corso del 2009.

Se la data d’inizio di un evento tellurico è soggetta a interpretazioni molto diverse, ancor meno pacifica è la risposta alla domanda: quando finisce un terremoto? Infatti, oltre alla vibrazione della crosta terrestre e ai danni a persone e cose, tra gli effetti di un terremoto bisogna considerare l’interruzione della quotidianità, lo sgombero della popolazione locale, la comparsa di nuovi attori (forze dell’ordine e soccorritori), la ri-funzionalizzazione di alcuni edifici. E non ultimo il problema di ridare senso a ciò che ha perso il suo senso: le abitazioni, le piazze, la città.

L’intento che muove la nostra analisi è indagare se e come queste sceneggiature sono state integrate nel discorso fotografico condotto dagli speciali di Repubblica.it ed Espresso.it, per capire con che tipo di visibilità fotografica e forma narrativa è stata resa la tragedia aquilana, e che memoria visiva è stata restituita alla collettività. In questa direzione di ricerca è da leggere la scelta di concentrarsi sulle web-photos, il cui regime di circolazione e condivisione, più ampio e libero rispetto alle foto cartacee, può contribuire in modo più incisivo alla formazione di una conoscenza e di una memoria diffusa.

Due note sul corpus. Come accade di consueto nei siti di informazione, le foto sono disposte in gallerie, forma testuale che inverte la gerarchia che vuole la parola come elemento centrale e l’immagine come complemento. Sono le immagini in sequenza che generano la propria narrazione; narrazione che a volte procede per semplice accumulo di informazioni, altre volte tratteggia una storia lineare che a partire da una mancanza ci conduce alla sua risoluzione, proponendosi come forma di scrittura fotografica del trauma.

Quanto alla scelta delle testate è dovuta da un lato alla volontà di coprire la tradizionale opposizione tra quotidiano – informazione semplice e tempestiva – e settimanale – informazione di approfondimento – dall’altro alla volontà di analizzare come testate con politiche editoriali simili (ambedue afferiscono al Gruppo L’Espresso) e che fanno uso di fotografi e foto condivise, possano dare origine a discorsi profondamente diversi.

2. L’Aquila nel discorso fotografico di “Repubblica.it”: istruzioni per la suturazione di un trauma
A pochi giorni dal sisma che ha scosso L’Aquila, “Repubblica.it” crea un dossier, Terremoto in Abruzzo, in cui far confluire articoli di cronaca, editoriali, dirette minuto per minuto, video dedicati alla tragedia e numerose fotogallerie.

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Il dossier di “Repubblica.it”.
Fonte: “Repubblica.it”

La creazione di uno speciale è un processo semioticamente molto interessante. Innanzitutto, ci permette di capire che un fenomeno per una data testata si configura come un evento a sé, come un’unità partitiva che si staglia dal resto del flusso informativo. Inoltre, mette in luce che forma un discorso fotogiornalistico dà a un particolare evento. In tal senso, non bisogna dimenticare che gli speciali informativi sono discorsi di secondo grado [2], opere di bricolage informativo realizzate in nome dell’idea che la testata si è fatta di un particolare fenomeno a partire da testi eterocliti che hanno già una loro autonomia – ogni item ha una sua specifica pagina d’origine. Così nell’analisi diventa necessario concentrarsi non solo su cosa è stato tematizzato, ma soprattutto su cosa è stato scartato. Nel nostro caso delle tante fotogallerie pubblicate da “Repubblica.it” ne vengono pilotate nello speciale solo 19, appartenenti a un periodo di tempo limitato, dal 6 al 12 aprile 2009. Questi i titoli:

  • 6 Aprile 2009: Terremoto, i primi soccorsi/1 e 2; Terremoto: evacuato l’ospedale San Salvatore; Soccorsi, allestita la prima tendopoli; Terremoto, morte e distruzione a Onna; Terremoto, la notizia sui siti stranieri; Il terremoto visto dall’alto; I danni al patrimonio artistico.
  • 7 Aprile 2009: Abruzzo, la prima notte dopo il sisma; Terremoto, il risveglio dopo la tragedia; Terremoto i volti simbolo della tragedia; Case e cose, le vite interrotte; Aquila, città fantasma.
  • 9 Aprile 2009: Abruzzo, Napolitano sui luoghi del terremoto.
  • 10 Aprile 2009: Funerali, l’Italia si ferma, è il giorno del dolore; Antonio, 5 mesi, quella bara simbolo; La commozione di Berlusconi ai funerali; Save the children: il fotoracconto.
  • 12 Aprile 2009: Terremoto, Pasqua nella tendopoli.

Dai lessemi usati è chiaro che “Repubblica.it” legge l’evento sia come “emergenza umana” che come “distruzione di una città e del suo patrimonio artistico”. In particolare, le gallerie del 6 aprile, Terremoto, i soccorsi/1 e 2 e Terremoto: evacuato l’ospedale San Salvatore, si concentrano sul primo tema, immortalando l’attività dei vigili del fuoco e l’estrazione dei corpi dalle macerie.

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Le foto dei primi soccorsi.
Fonte: “Repubblica.it”

Salvo alcuni casi, queste immagini non lasciano spazio alla costruzione di sensi secondi. Si tratta di foto prive di pose costruite e scene ricercate; sono foto referenziali [3] che affermano valori pratici. Sono testimonianze attraverso cui la testata dice: “Siamo stati lì”, ma anche: “Ciò che vedi è ciò che abbiamo visto con i nostri occhi”. Un effetto di senso “testimoniale” ancor più evidente in alcuni scatti in cui il punto di vista del fotografo – per altezza e posizione – coincide con quello degli osservatori interni alla foto, calandoci cognitivamente e patemicamente all’interno della scena (I soccorsi/1: foto 3 e 5).

A poche ore da una tragedia questa modalità di rappresentazione potrebbe sembrare l’unica possibile, ma la serie fotografica Soccorsi, allestita la prima tendopoli (6 aprile) ci dimostra che non è così. Se le prime tredici foto ripropongono la modalità di rappresentazione già citata, a partire dalla quattordicesima assistiamo all’introduzione di uno stile, fatto di giochi di luci e ombre e pose costruite, che risolve il dolore non an-estetizzandolo ma estetizzandolo. Un cambiamento stilistico che accompagna un cambiamento tematico. Le immagini dell’allestimento del primo accampamento lasciano il posto alla solitudine di soggetti colti mentre compiono gesti quotidiani: chi legge il giornale, chi gioca, chi si abbandona a un “dolore dimesso”. Da un ritmo frenetico (tensione) si passa all’attesa (distensione). Ed è questo cambio di stile, di oggetto e di ritmo a indurci a parlare di una narrazione che risolve la mancanza iscritta nel testo, senza per questo proporre un ritorno alla normalità – cosa che sarebbe impensabile – bensì delineando una “nuova quotidianità”, un’ordinarietà nella straordinarietà. Così la narrazione per immagini della fotogalleria si pone come perfetto esempio di mito [4] in senso lévistraussiano, in grado di risolvere le opposizioni tenendole insieme.

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L’ordinarierà nella straordinarietà.
Fonte: “Repubblica.it”

Come anticipavamo, però, per “Repubblica.it” il terremoto de L’Aquila è anche la distruzione di una città d’arte. A una prima serie fotografica dedicata al tema, I danni al patrimonio artistico, fa seguito L’Aquila città fantasma (7 aprile), fotoreportage di Andrea Ruggeri in cui le immagini dei soccorsi, che pure caratterizzano la cronaca di quel giorno, lasciano il posto alle macerie del centro storico. Si tratta di foto mitiche [5] in senso flochiano che bricolano figure del mondo naturale per creare sensi secondi: il masso, sineddoche della distruzione (foto 6), e l’antifrasi del cartello “via delle bone novelle” (foto 14). Facile che all’interno di questo stile rappresentativo anche la foto del Palazzo di Governo distrutto trascenda l’effetto testimoniale per caricarsi di una valenza metaforica (foto 11) [6].

Compresa l’evoluzione stilistica del discorso fotografico di “Repubblica.it”, orientato verso un’estetizzazione del dolore, viene però da porsi un’altra domanda: se per lo speciale il terremoto rappresenta sia la distruzione di una città che la morte di centinaia di individui, quando e come l’evento è considerato concluso?

Analizziamo le gallerie che chiudono il fotoracconto. Quelle del 10 aprile sono dedicate ai funerali delle vittime. Colpisce l’espulsione della dimensione rituale e istituzionale; ciò su cui si pone l’accento sono i singoli dolori individuali, tutt’al più giustapposti. E anche quando, con la galleria La commozione di Berlusconi ai funerali, la dimensione istituzionale potrebbe entrare in gioco, ciò non avviene, perché l’enfasi è posta solo sulla commozione del singolo uomo.

In pratica, prima si espongono due temi: “il terremoto è morte” e “il terremoto è una distruzione che prevede una ricostruzione”, ma poi, nel decidere quando finisce il terremoto, si decide di tematizzarlo solo in quanto evento portatore di morte, facendolo terminare, non a caso, con i funerali. Insomma, per “Repubblica.it” il sisma aquilano è un trauma degli individui.

Una volta assimilato il dolore della morte lo speciale può avviarsi alla conclusione. In particolare, l’ultima fotogalleria è dedicata alla Pasqua come momento di festa, dunque largo spazio alle uova colorate, ai dolci, alle bolle di sapone, ma anche ricorrenza sacra, ben rappresentata dall’insistenza su croci, madonnine e calici. E se è già piuttosto comune l’appello alla dimensione sacra come strategia di risoluzione mitologizzante del trauma, lo è ancora di più in questo caso, in cui il sacro in questione è la festa del passaggio, della resurrezione, del nuovo inizio. Ed è così che “Repubblica.it” chiude il suo dossier, dichiarando concluso il trauma aquilano e offrendolo al lettore come localmente risolto.

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La funzione catartica della Pasqua.
Fonte: “Repubblica.it”

A partire dal 12 aprile, infatti, “Repubblica.it” non solo non devia più le sue notizie sullo speciale, ma cambia totalmente il registro fotogiornalistico su L’Aquila. Le fotogallerie seguenti, extra-speciale, mettono in mostra una nuova quotidianità fatta di sorrisi più che disagi. Una strategia tipica dei quotidiani che cercano un happy ending per voltare pagina. Così, largo spazio alla fotostoria della dentiera di nonna Anna (12 aprile); alle immagini degli studi da parrucchiera nelle tende (14 aprile) e agli scatti del primo matrimonio a porte chiuse (18 aprile). Dopo una settimana, dunque, si sente la necessità di notiziare la quotidianità, che diventa un valore (r)aggiunto, che fa notizia.

Una dissolvenza in uscita che si conclude con le foto del G8, che non contribuiscono minimamente ad accendere i riflettori su L’Aquila quanto sui Vip (George Clooney, Bill Murray, Carla Bruni), di cui la città è un mero sfondo, nel senso più letterale del termine. Così che il capoluogo abruzzese con le sue tendopoli, che pure continuavano a esistere, si dissolve nella memoria fotografica di “Repubblica.it”.

3. L’Aquila nel memoriale informativo di “Espresso.it”: la ferita che non si è mai chiusa
A differenza di “Repubblica.it”, il discorso fotografico dello speciale di “Espresso.it” non si focalizza sulla perdita di vite umane, ma sul destino di coloro che sopravvivono alla tragedia: gli sfollati. Lo si capisce già dai titoli delle fotogallerie: Sfollati in attesa (17 aprile); Vita da sfollati, gli anziani e i malati e Vita quotidiana sotto una tenda (21 maggio); Vita da sfollati (23 agosto); L’Aquila tradita (25 giugno); Case di legno e cartongesso (23 agosto).

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L’Aquila: l’attesa senza fine.
Fonte: “Espresso.it”

L’enfasi su questi “nuovi” protagonisti ci costringe a chiederci ancora una volta: quando finisce un terremoto? Se il “dramma dei morti” di “Repubblica.it” poteva trovare la sua catarsi nella cerimonia funebre e nella Pasqua, il “dramma dei vivi” di “Espresso.it” non può avvalersi dello stesso tipo di chiusura. Anzi, non può avvalersi di una chiusura affatto: è il dramma della mancata fine, del lento e forse impossibile ritorno alla normalità.

Questo ribaltamento di prospettiva è evidente nella fotogalleria del 23 agosto, molto simile – per l’uso di giochi di luci e ombre e l’allestimento dei soggetti nel campo visivo – alla seconda parte della galleria Soccorsi: allestita la prima tendopoli, pubblicata da “Repubblica.it” il 6 aprile. Ancora una volta le foto si concentrano su singoli individui, di cui è rappresentato il senso di isolamento (foto 12), l’attesa: c’è chi guarda in alto verso il cielo (foto 2), chi verso l’orizzonte (6 e 7) e chi getta uno sguardo dietro l’angolo (foto 8 e 9), mentre l’idea di isolamento è accentuata dalla desolazione e dalla de-funzionalizzazione degli spazi comuni, che si fa evidente quando la macchina fotografica immortala l’intera tendopoli dall’alto (foto 13 e 14). Un clima disforico accentuato dall’atmosfera plumbea e dalle tonalità fredde e livide.

Ma qual è la grossa differenza tra queste due fotogallerie? Il tempo, il lungo tempo che le separa. Quelle “stesse” immagini che il 6 aprile ci inducevano a parlare di una “calma dopo la tempesta”, il 23 agosto veicolano, invece, l’idea di lunga e drammatica attesa, lasciando emergere un sentimento dell’“ancora”, dell’“irrisolto”.

Inaspettatamente, però, dopo questa fotogalleria, “Espresso.it” allontana l’obiettivo da L’Aquila, contribuendo a creare quel vuoto informativo tanto contestato dagli aquilani; una chiusura che appare tanto più drastica se si considera che, a differenza di “Repubblica.it”, la narrazione del trauma non approda a nessun tipo di risoluzione.

Ma un anno dopo la tragedia, e dunque dopo sei mesi di silenzio, il settimanale online decide di riprendere il discorso che aveva lasciato in sospeso, creando uno speciale dal titolo Terremoto, il dolore e la rabbia in cui fa confluire tutti i suoi contenuti sul sisma, dando voce e visibilità alle proteste di quei giorni del popolo aquilano.

Chiaramente, lo speciale, in quanto discorso di secondo grado (§ 2), non ripropone fedelmente il discorso della testata, ma ne enfatizza alcuni aspetti, marcando, tra l’altro, le differenze con lo speciale di “Repubblica.it”.

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Il dossier di “Espresso.it”.
Fonte: “Espresso.it”

Il titolo patemico, Terremoto, il dolore e la rabbia, pone enfasi sulla dimensione polemica dell’evento, opponendosi al più descrittivo e neutrale Terremoto in Abruzzo. Dal cordoglio alla rabbia, dalla rassegnazione per l’ineluttabile alla protesta per ciò che poteva essere arginato, se non evitato. Emerge la rabbia, un sentimento diretto verso qualcosa o qualcuno, e che pertanto introduce il problema delle responsabilità dell’evento, del tutto assente nel discorso fotogiornalistico di “Repubblica.it”.

Anche le foto delle due landing pages raccontano due storie diverse. Ad accogliere il visitatore di “Repubblica.it” è la foto di un campanile il cui orologio è fermo alle 3:32, ora del sisma. Un’immagine in cui il terremoto è colto come evento puntuale – scossa – e allo stesso tempo terminativo – morte. “Espresso.it”, invece, mostra tre carriole, simbolo del movimento per la ricostruzione del centro storico aquilano (“il popolo delle carriole”): una contiene un casco giallo e un badile, a rinforzare l’isotopia della (ri)costruzione, le altre due dei fiori sradicati che aspettano di essere ri-piantati. Il terremoto de L’Aquila è dunque colto attraverso un’aspettualizzazione durativa e protesa verso il futuro: non è la distruzione a essere tematizzata, bensì la ricostruzione.

Rabbia, responsabilità, ricostruzione: ecco perché il trauma aquilano per l’“Espresso.it” è ancora aperto.

4. Il funerale di “Repubblica.it” vs. il memoriale di “Espresso.it”
Un terremoto, due diversi modi di raccontarlo. Una storia a lieto fine e un’altra ancora tutta da scrivere. Una calamità naturale e un evento “antropico”. L’ineluttabilità e le responsabilità politiche. Su cosa è costruita questa opposizione interpretativa?

Lo speciale di “Repubblica.it” dà vita a una cristallizazione tematica e temporale. Ci dice: “Il dramma aquilano è quello dei morti”. Il trauma è suturato attraverso i funerali e la Pasqua, e le potenziali polemiche allontanate. Ecco perché l’intero speciale funziona come un funerale mediatico: durante una cerimonia funebre non si fanno polemiche sul perché una persona è morta, a causa di chi. Ma nel commemorare l’evento traumatico, il rito ne segna la chiusura; la morte.

Ma non dicevamo che il terremoto non può esaurirsi nelle scosse telluriche – scosse tra l’altro che per tutto il mese di aprile sono state frequenti e non di poco conto (§ 1)? Non dicevamo che il terremoto è un evento culturale fatto anche di migrazioni, risemantizzazioni spaziali e ricostruzioni? Per “Repubblica.it” evidentemente queste sceneggiature hanno sì una loro importanza, ma non sono annesse al ritaglio enciclopedico della parola “terremoto”, e pertanto non sono selezionate nel racconto del trauma de L’Aquila. Così, leggendo il sisma come una calamità naturale portatrice di morte, il quotidiano online taglia fuori quel tema che sarà il grande assente nell’informazione italiana e che, invece, sarà al centro delle proteste del popolo aquilano: la ricostruzione della città. Un trattamento giornalistico figlio di una lettura stilizzata del terremoto, di una semplificazione interpretativa. Insomma, “Repubblica.it” adotta una lettura dizionariale del terremoto che espunge tutta una serie di pratiche e sceneggiature nei fatti strettamente connesse all’evento sismico.

Al contrario lo speciale di “Espresso.it” adotta una lettura enciclopedica che all’interpretazione fisica del fenomeno tellurico aggiunge il tema della ricostruzione, considerandolo parte integrante del suo ritaglio semiotico. Un’interpretazione che può essere rintracciata anche nel timido collegamento con le immagini degli altri terremoti dimenticati (galleria Gli altri terremoti dimenticati), attualizzazione di una delle possibili direzioni del rizoma.

Tornando al rapporto degli speciali con la memoria e il passato, possiamo concludere dicendo che, se il funerale mediatico di “Repubblica.it” è un presente nel passato che a distanza di un anno può essere consultato come archivio – limitato però a livello tematico, autoriale e temporale – lo speciale di “Espresso.it”, nato a distanza di un anno dal terremoto, assolve la funzione di un memoriale informativo. Un memoriale che fa riferimento, però, a un passato ancora aperto, un passato che non è passato, che non si è concluso con i funerali e la Pasqua.

Limite dell’operazione del settimanale online, però, è che alle foto di agosto 2009 non ne seguono altre. Così, anche quando si torna a dar voce a L’Aquila (marzo 2010) non le si dà un’immagine, con l’effetto di prolungare l’oblio visivo sul trauma del capoluogo abruzzese. Così, se è vero che il passato non è passato, visivamente parlando è il presente a non essere presente. E l’intera opera, alla fine, si rivela utile a ricordare, ma non a denunciare lo stato attuale.
Bibliografia:

  • Floch, Jean-Marie, (1986) Les formes de l’empreinte, Périgueux, Fanlac (trad. it. Forme dell’impronta, Meltemi, Roma 2003).
  • Lèvi-Strauss, Claude, (1958) Anthropologie structurale, Plon, Paris (trad. it. Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano 1996).

Note

[1] Questo articolo è stato concepito e discusso congiuntamente dai due autori. Ai fini delle responsabilità individuali, la redazione dei primi due paragrafi è di Daniele Dodaro, mentre quella dei restanti due è di Antonio Milanese.

[2] Col termine discorso di secondo grado non vogliamo supporre l’esistenza di un grado primo di discorso sociale quanto, piuttosto, esprimere la relazione che lega uno speciale informativo (un’antologia, ecc.) agli elementi che lo compongono, e di cui esso rappresenta una selezione e una rielaborazione.

[3] Cfr. Floch 1986.

[4] Cfr. Lévi-Strauss 1958.

[5] Vedi nota 3.

[6] Questo soggetto fotografico, in particolare, ha goduto di una vasta circolazione prestandosi a differenti interpretazioni a seconda del contesto in cui è migrato. In particolare, spesso è stato usato come simbolo delle accuse di mancata sicurezza preventiva, e più in generale come emblema della tragedia aquilana, tanto da apparire all’interno dell’enciclopedia online Wikipedia sotto la voce Italia, nel paragrafo dedicato agli eventi sismici del nostro Paese.

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