Teatro Valle: facciamo i punti della situazione

Riprendiamoci il Valle

1.

Il Teatro Valle è diventato immediatamente il simbolo della cultura bene comune. È un concetto intuitivo come l’acqua, ma – a differenza dell’acqua – forse si spiega meno facilmente. Per la verità, a proposito dell’acqua bene comune, Adam Smith, il padre dell’economia politica classica, partiva da un paradosso. “L’acqua è l’elemento di maggiore utilità, ma insieme quello che non vale niente”. Nell’acqua cioè si mostra la differenza tra valore d’uso e valore di scambio. E insieme si spiega che qualcosa va sottratto al mercato, per evitare che si trasformi in un elemento distruttivo.

2.
A proposito della cultura, si ricanta in questi giorni una vecchia canzone, che risale addirittura al ministro dadaista di Bettino Craxi, Gianni De Michelis: la cultura petrolio d’Italia. Chissà cosa ne avrebbe pensato Pier Paolo Pasolini, che aveva intitolato Petrolio il suo ultimo romanzo sul potere democristiano nelle sue connessioni economico sessuali criminali… L’ultimo a intonarla è stato Luca Cordero di Montezemolo, concludendo assieme al Ministro Galan un convegno di Italia futura.

In questa canzone, la cultura viene associata al turismo, ed (ovviamente) agli interventi dei “mecenati” privati in funzione salvifica…

Insomma, al Ministro Tremonti ed alla sua frase “con la cultura non si mangia”, si risponde alla lettera, mostrando come con la cultura si possano confezionare dei bei panini imbottiti… Particolarmente adatti a certi stomaci…

Che Della Valle, primo esempio, investendo 25 milioni di euro in un restauro del Colosseo (scientificamente discusso…), possa remunerarsi ampiamente con i soli benefici d’immagine (senza parlare dell’uso dell’immagine del Colosseo) mi sembra ampiamente fuori discussione…

O che – secondo esempio – Zetema, la società pubblico privata (il pasticcio che si è evitato col referendum sull’acqua), che gestisce in posizione di monopolio tutto il patrimonio museale ed archeologico del Comune, possa seguitare a ricavarne larghi profitti…

Emanuele Emmanuele – terzo esempio – (unico caso in di un ex Cassa di Risparmio – mi vengono in mente le privatizzazioni della Russia di Putin – ha beneficiato un privato anziché un Comune): ha pagato la carica di Presidente del Palazzo delle Esposizioni, e, di fronte alla ritirata del Comune di Roma da Macro e Palaexpò, potrebbe arrampicarsi di un altro scalino e cogliere il frutto, anche economico, di grandi investimenti pubblici…

In lista di attesa la Roma peplum così cara al vice Sindaco Cutrufo; e il ricorso a Fondazioni per gestire Villa Borghese (che toccano il cuore del potente sottosegretario del PdL Giro…).

3.
L’esternalizzazione di imprese culturali – difficilmente gestibili dalla burocrazia comunale – mantiene la sua validità. Ma per quanto? Se il Comune dovesse ritirarsi dal Palaexpò – o delegasse pressoché tutto a Zetema: potremmo ancora parlare di imprese culturali pubbliche?

Qualche dubbio viene anche a proposito dell’Auditorium – Musica per Roma, dopo l’incredibile processo dopolavoristico a Giulio Cesare presieduto da Francesco Gaetano Caltagirone (che, penso per il suo contributo economico, è vice presidente dell’Auditorium…)

Anche la vicenda MAXXI fa pensare… Lo Stato italiano ha deciso che, per gestire il MAXXI (una struttura che allo Stato italiano è costata non poco…), lo strumento adatto è una Fondazione… Distinguendo così il MAXXI dalla GNAM, che resta una struttura museale che fa capo al Ministero dei Beni Culturali… Perché? Scelta di garantire una maggiore autonomia di gestione? O disimpegno?

4.
Circolano almeno due idee diverse di valorizzazione del patrimonio culturale e dei musei e di valore della cultura.

La prima è quella in base alla quale si è creata una direzione per la valorizzazione al Ministero dei Beni Culturali e le si è posto a capo l’ex direttore del Casinò di Campione e del Macdonald’s Italia Mario Resca. In base a questa concezione valorizzare praticamente coincide con vendere più biglietti d’ingresso. Dunque, la pubblicità. Al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo trionfano striscioni in cui le statue parlano inglese per attirare i visitatori di lingua anglosassone: “We were romans”. Da questa concezione è nato lo spot della Regione Calabria in cui i Bronzi di Riace giocano a pari e dispari…

L’altra concezione (l’utilità dell’acqua, secondo Adam Smith) è quella per la valorizzazione della cultura produce effetti paragonabili alla crescita dei livelli d’istruzione, della ricerca, del numero e della qualità dei laureati…

C’è, in altre parole, un beneficio non immediato, differito (un altro esempio è la tutela dei beni culturali, del paesaggio, del territorio…)

5.
La prima concezione (quella Resca – Montezemolo – Galan – Emmanuele) produce monopolio anziché concorrenza. Dunque, tra le altre cose, scarsa crescita occupazionale, e scarsa tutela – il monopolio genera anche questo – dei diritti del lavoro.

La seconda concezione genera invece pluralismo, concorrenza, una quasi immediata economia alla piccola scala…

6.
Gli occupanti del Valle (credo) esprimono un’istintiva diffidenza per le soluzioni panino. Il Valle è l’ultimo atto di un processo di eliminazione delle competenze tecniche dal Ministero. Il Ministero dei Beni Culturali – a cui lo Spettacolo era stato assegnato – doveva essere, nelle intenzioni del suo fondatore, Giovanni Spadolini, il Ministero dei tecnici e dei competenti. Invece Salvo Nastasi è dominus del Ministero; e l’ETI di Ninni Cutaia è stato sciolto…

Non basta impedire che qualche figura particolarmente priva di scrupoli di politico – attore metta le mani sul Valle. Sia il Comune, sia il Teatro di Roma oggi esprimono progetti deboli, puramente formali di difesa del carattere pubblico del teatro… Al di là delle buone intenzioni, è difficile non giudicare il Comune ed Teatro di Roma anche (e soprattutto) per la loro pasticciata gestione della vicenda dei teatri di cintura…

Forse la strada da percorrere è una gestione che associ il Valle alla formazione tecnica e culturale (all’Accademia ed all’Università?)… Ed anche nella sperimentazione di uno stabile d’innovazione di nuovo tipo, adatto alla Roma del 2011, che sappia dare voce e visibilità alle tante voci ed alle tante forme di sperimentazione e di ricerca che oggi si esprimono a Roma… Anche nella direzione dei flash-mob, delle relazioni con le arti visive, del teatro di strada e di paesaggio, di un uso diverso della web cam… La fiducia nella democrazia diretta, nella discussione e nel confronto tra gli operatori, in un ciclo lungo che idealmente si riallaccia agli Anni Sessanta, potrebbe essere l’antidoto al teatro mercantile ed ingessato, dominato dalle camarille dei piccoli poteri… Forse anche qualcosa che spinga di nuovo la stampa italiana ad occuparsi del teatro, praticamente espulso dalle pagine dei quotidiani, visto sotto l’angolazione mondana piuttosto che dell’espressione libera delle idee…

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