
Il cattivo profeta. Sugli scritti di Bianciardi
Un manipolo di redattori si concentra con gratitudine sugli scritti di Luciano Bianciardi.
Un manipolo di redattori si concentra con gratitudine sugli scritti di Luciano Bianciardi.
Quest’anno il lavoro culturale festeggia il 25 aprile con un testimone d’eccezione, Luciano Bianciardi.
Continuiamo il percorso nella galleria degli Antichi Maestri, frammenti di voci che osarono pensare e scrivere anche di scuola e istruzione, tralasciando impudentemente gli anglismi, la valutazione, le competenze-chiave, la progettazione. Pubblichiamo questa settimana due frammenti di Luciano Bianciardi entrambi tratti da L’antimeridiano ( II voll., a cura di Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini, Isbn Edizioni, Milano 2008). Il primo frammento (vol. II, pp. 891-893) è tratto da un articolo sul programma televisivo Telescuola, pubblicato da «Le Ore» il 14 marzo 1963.
L’articolo segue la documentazione fornita dal primo capitolo dell’eccellente libro di Silvia Trovato e Tiziano Arrigoni “Una vita per il cinema. L’avventurosa vita di Umberto Lenzi, regista“, La Bancarella Editrice, Piombino 2016, di cui raccomandiamo la lettura.
Appunti sui percorsi centrifughi del lavoro culturale migrante da un punto di vista working class. Per smontare la retorica euforica della “fuga dei cervelli” in opposizione all’etichettatura che varrebbe solo per gli emigrati del Terzo Mondo.
Chi da Siena scende in autobus verso la Maremma grossetana oppure sale in Val di Cornia, attraversa Ribolla. Dalla Strada Provinciale Collacchia, che collega lo svincolo per Montemassi a Potassa, il mezzo fa una curva a sinistra ed entra in paese. La fermata obbligata è di fronte a un complesso monumentale composto da diverse figure; sale qualche adolescente con YouTube senza cuffie, senza biglietto. Tenendo la destra si riprende la strada principale, verso Bagno di Gavorrano, Puntone, Follonica e, se qualcuno vuole proseguire la corsa, Piombino, alle porte dell’Elba.
Umberto Lenzi: maremmano, re dei b-movie, a fianco di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola durante le proteste scatenate dalla strage della miniera di Ribolla.
Gli approfondimenti di lavoro culturale si fanno quadri per l’estate
Nel 1957 esce nell’Universale Economica Feltrinelli Il lavoro culturale, l’ironica storia di un intellettuale di provincia che, convinto della forza emancipatrice della cultura, con l’aiuto del fratello minore e il sostegno di un manipolo di intellettuali anarcoidi, sperimenta le forme dell’organizzazione culturale tipiche del decennio immediatamente successivo al dopoguerra [1].
Ancora oggi a parlare di Bianciardi di Stefano Jacoviello Film, libri, documentari, canzoni, articoli, convegni, e ora anchespettacoli teatrali. Il pensiero di un uomo sopravvive, anche a lui stesso, nella serie di interpretazioni che lo seguono. Così si ha l’impressione di un dialogo che attraversi il tempo. Così si costruiscono le tradizioni. Fedeltà o infedeltà, al pensiero o alla persona: sono atteggiamenti interpretativi che alimentano quesiti per i filologi, i critici, i familiari, talvolta anche per i semplici passanti, acquirenti o spettatori chiamati a dar “da posteri” una sentenza qualsiasi. Nel discutere sull’attualità di Bianciardi sarebbe interessante capire quanto possa contare oggi il suo pensiero, quale sia e cosa ne resta, e quanto invece sia importante, o invadente, “il mito di un antieroe” che si è costruito a partire dalle sue narrazioni. La finzione autobiografica dei suoi romanzi è stata lo strumento più efficace per irridere il passaggio obbligato “dalla cronaca alla storia”, la progressione “dal neorealismo al realismo” che attanagliava la critica militante del dottor Fernaspe nella Milano degli anni Sessanta. Poi questa narrazione è diventata immediatamente la base per una biografia: racconto di una realtà che a sua volta era stata una finzione servita a raccontare una realtà che, […]