L’Italia addosso: taccuino di un viaggio che non si arresta

A metà marzo ho incontrato l’amico con cui avrei condiviso il viaggio che mi avrebbe portata a visitare tutti i teatri di cui avevo raccolto le autobiografie brevi nell’ebook che abbiamo pubblicato a metà dicembre su questo blog. Non ci vedevamo da diverso tempo ma sapevo che avrebbe avuto senso imbarcarsi assieme in questa avventura…

Nei mesi durante i quali avevo seguito l’evolvere del “contagio” di vita che teatri e luoghi della cultura liberati stavano subendo, ho avuto più volte modo di rafforzare una convinzione che mi aveva accompagnata e che mi era sempre cresciuta dentro in controtendenza con le retoriche dei tempi non necessariamente recenti in cui mi sono trovata a trascorrere questi trent’anni. Convinzione condivisa fin da subito anche da questo compagno di viaggio, convinzione secondo cui la capacità di vivere e desiderare delle persone supera la loro tendenza a sopravvivere.

La sopravvivenza è un moto d’inerzia che costringe uomini e donne alla solitudine e all’accettazione di uno stato parziale di vita: è una condizione che si invera a seguito di avvenimenti o fattori che spingono, premono ai bordi, ai margini, ai confini, che schiacciano alle pareti. Corrisponde a un grado dell’essere che non prevede la possibilità di un riscatto totale all’interno del quale il cambiamento possa realizzarsi.

La “vivenza” invece, che è vita piena, vita attiva, senza nulla sopra né sotto, è più forte innanzitutto perché prevede una necessità come proprio elemento costitutivo: la relazione. Lo spazio dell’assieme, dove la differenza appare come motore indispensabile, consente alla persone di entrare pienamente nella vita e di realizzare ogni angolo di sé cambiando così la realtà che le ospita.

La storia è costellata da periodi segnati da condizioni di sopravvivenza nel corso dei quali ad un certo punto esplode un cambiamento. Alle volte rumoroso e veloce, altre invece sordo e lento. Si tratta sempre di istanti all’interno dei quali le persone tornano a pensarsi e praticarsi le une in relazione alle altre. Istanti che magari durano il tempo di un frangente, oppure intere epoche.

In questi ultimi anni, anni in cui l’Italia viene rappresentata come un luogo in cui è ormai possibile solo sopravvivere – soprattutto se ci si occupa di cultura – hanno invece cominciato a prendere corpo in ogni angolo del paese esperienze concrete di vita attiva.

I contributi che mi sono trovata tra le mani mentre realizzavo Com’è bella l’imprudenza raccontavano in tempo reale la storia di un riscatto che in qualche modo cominciava a inverarsi. O se non altro, di un sistema di possibilità di cambiamento che si stava progressivamente sviluppando.

Dal nord al sud, da Macao Milano fino ad arrivare al Teatro Garibaldi Aperto di Palermo, si raccontavano tante realtà territorializzate e al tempo stesso in rete tra loro, in cui donne e uomini avevano finalmente ritrovato degli spazi all’interno dei quali ri-nominare bisogni, desideri, doveri e priorità alla luce di una qualità di vita fino a quel momento prevalentemente rimossa.

Ho pensato fosse necessario che esperienze tanto vive avessero inizialmente la possibilità di “dirsi” anziché “farsi raccontare” da terzi. Per questo l‘ebook è prevalentemente composto dalle autorappresentazioni che i singoli teatri hanno fornito di sé. Ma al tempo stesso ho covato l’intenzione, necessaria, di dedicare dei mesi a un viaggio durante il quale incontrare i gruppi che stavano animando questi luoghi e diffondendo un nuovo discorso che ha preso corpo attorno a loro.

Sono partita ai primi di aprile e rientrata ai primi di luglio.

Ho viaggiato raccogliendo parole per tre mesi, mentre Pietro[1] raccoglieva tracce visive di volti, luoghi, situazioni: Roma, Messina, Niscemi, Catania, L’Aquila, Napoli, Milano, Venezia, Pisa, ancora Roma, Palermo, Padova.

Tra un treno e l’altro, tra una stazione e una piazza, sfogliavo i maggiori quotidiani nazionali e sbirciavo tra le notizie dei Tg: sentivo parlare di un paese completamente diverso da quello che stavo incontrando. Non che non ritrovassi i tratti visibili della crisi, della disoccupazione, dell’inadeguatezza del sistema sanitario pubblico, della lacerazione dei luoghi di formazione e dei suoi percorsi. Ma la postura delle persone che incontravo e le espressioni sui loro volti, più che raccontarmi l’ineluttabilità della sopravvivenza in un’Italia così massacrata, mi davano modo di scorgere le possibilità concrete e in via di realizzazione di una vita diversa nonostante un’Italia così massacrata. Ed era interessante constatare come queste esperienze si consumassero prevalentemente all’interno di luoghi particolari come dei teatri: al Nuovo Cinema Palazzo, al Teatro Pinelli Occupato, al Teatro Coppola dei Cittadini, all’Ex-asilo Filangeri/la Balena, a Macao, al Sale Docks, al Teatro Rossi Aperto, al Teatro Valle Occupato, al Teatro Garibaldi Aperto andavano in scena le prove di altre possibilità di vita, di comunità, di società. Tentativi, a volte molto faticosi per la densità del percorso, di altre possibilità di gestione di uno spazio tanto specifico, altri modi di organizzare la formazione artistica, altri modi di pensare alle teorie e le pratiche del lavoro culturale.

Condividere in questo periodo qualche manciata del “tempo vita” che queste persone stanno investendo nella rivitalizzazione di questi luoghi, mi ha anche dato modo di realizzare come sarebbe stato diverso se avessi effettuato il viaggio sei mesi, un anno prima. Se quindi avessi scelto di incontrare queste realtà nel pieno delle loro forze, in uno dei picchi dei loro percorsi evolutivi. Sarebbe stato più semplice: avrebbe voluto dire raccogliere facili conferme di un insieme di belle intuizioni.

Mettersi in viaggio ora invece ha significato fare i conti con l’emergere delle contraddizioni con cui ogni esperienza reale a un certo punto deve fare i conti. Ha significato toccare con mano la stanchezza fisiologica di un percorso, che per alcuni dura da due anni e per altri da uno o poco meno, nello spazio della quale è comunque necessario capire come superare alcuni dei limiti che sono emersi, come rinnovarsi e al tempo stesso, come rendere strutturali alcuni dei passaggi che sono stati realizzati nel corso di mesi di continue sperimentazioni.

Questo non significa che il moto vitale non continui ad alimentarli di giorno in giorno; al contrario, si sta rafforzando il rapporto con le lotte territoriali[2] che sono fiorite lungo la penisola attorno alla tutela dell’ambiente e della vita. Accanto a tutto questo, cresce il percorso costituente dell’Assemblea dei Beni Comuni che, in stretta collaborazione con la redigente composta da giuristi competenti in materia e presieduta da Stefano Rodotà, sta definendo una carta di diritti capace di tutelare spazi, materie e sostanze fuori dal paradigma della proprietà e dentro a quello della relazione di necessità tra le persone e quegli stessi beni.

Nel corso dei prossimi mesi, pubblicheremo alcune delle suggestioni raccolte a ogni tappa per regalarvi un po’ del sapore imprudente di questo viaggio che non si arresta…

Nel frattempo, potete curiosare tra i materiali che vi mettiamo a disposizione qui sotto e che raccolgono alcuni spunti di riflessione su Com’è bella l’imprudenza e #imprudenze2013:

 

Note

[1] Pietro Pasquetti: regista e fotografo.

[2] Basti pensare che oggi la rete dei teatri è presente a Niscemi e sta partecipando alla Manifestazione nazionale No Mous.

Print Friendly, PDF & Email
Close