Sui confini d’Europa # 4

Ceuta: I muri (in)visibili dell’Europa in miniatura

Ceuta, Spagna. L’Europa si presenta al Mediterraneo dalla parte opposta, la costa nordorientale del Marocco, ed appare imponente e maschile nella forma di un Ercole che sorregge le sue colonne. Nella tradizione omerica, questo luogo segna il confine della conoscenza, il non plus ultra. Da qui sono passati esploratori, commercianti, schiavisti, guerre, religioni, lingue. Per secoli, gli uomini e le donne in transito su questa terra sono stati i protagonisti di una storia di selezione. La storia dell’eccezionalismo culturale europeo che, da sempre, utilizza i meccanismi di razza, religione e cultura per definire il dominante ed il dominato, il padrone e lo schiavo, l’humanitas e l’anthropos. Se si volesse osservare come Ceuta presenta una minuziosa miniatura di questo modello europeo, si potrebbe andare indietro al 1415, quando il territorio viene conquistato dalle forze Portoghesi; o al 1578, quando, dopo la Battaglia dei Tre Re, l’enclave passa sotto il controllo spagnolo. Si potrebbe parlare del traffico di esseri umani, del regime coloniale o, semplicemente, dello sfruttamento della manodopera marocchina che, da secoli, sostiene l’economia dell’enclave attraverso un transito giornaliero e selettivo di merci e persone. Eppure, per una volta, guardare alla storia non è necessario. Ad un osservatore attento Ceuta appare violenta e coloniale in tutto il suo presente.

Fotografia Gabriele Proglio – Statua di Al-Idris

            Negli ultimi 10 anni, l’enclave spagnola è diventata uno dei luoghi al centro del dibattito mediatico e politico su quella che viene banalmente definita la ‘crisi migratoria’. Chi oggi parla di Ceuta tende a concentrarsi sul dispositivo frontaliero che, dagli anni 90, la separa fisicamente dal Marocco, dall’Africa e dalla ‘minaccia’ delle persone migranti che giungono da diversi paesi africani per chiedere asilo in Unione Europea. Tale dispositivo a Ceuta si compone di tre barriere che interrompono il paesaggio collinare intorno al territorio spagnolo. Scrittori, antropologi e giornalisti da tutto il mondo sono giunti in questa terra per osservare le linee territoriali e geopolitiche che definiscono la presenza, concreta ed imperialista, di un Europa in Africa. L’Europa visibile, ingombrante e violenta. Quella che trafficava schiavi; la stessa che oggi respinge le persone migranti ed esercita selezioni frontaliere legittimate su nozioni neo-coloniali di sicurezza e precauzione.

            Eppure, quando siamo arrivati a Ceuta, nell’aprile del 2019, del muro non voleva parlare nessuno. Alcuni locali non lo avevano nemmeno mai visto. Bisogna prendere la macchina e guidare oltre i centri abitati, sporgersi dalle montagne se si vuole vederlo con i propri occhi; tanto concreto per le persone migranti quanto impercettibile a coloro che ne sono protetti. Ceuta non è solo la miniatura di un’Europa che mantiene l’eco di un passato coloniale. Al contrario, essa è, al contempo, la miniatura di una costante e presente negazione, di una nuova modernità, di un cosmopolitismo marcio che nasconde meccanismi di segregazione e disuguaglianza. Dentro Ceuta si sovrappongono altri muri, meno spettacolari della muraglia con il Marocco, ma altrettanto violenti. Questi sono i muri invisibili che l’Europa costruisce nel suo proporsi campionessa di multiculturalismo e libertà nascondendo, sotto questa maschera, le piaghe di un eredita distorta, pesante e violenta.

Foto Gabriele Proglio – Il muro di Ceuta

            Il primo muro invisibile lo si incontra alla frontiera che traccia la linea ufficiale del confine tra Marocco e Spagna. Chi passa di qui tutti i giorni, spesso per ragioni professionali, sa che in certi orari potrà rimanere bloccato nel traffico frontaliero per ore. File interminabili di automobili, clacson che suonano, gente che impreca. E, nel caos, qualcuno prova ad arrampicarsi sui camion per passare la frontiera illegalmente. Puntualmente, l’autista se ne accorge, esce dal veicolo ed impone all’aspirante clandestino di scendere. Questa scena è talmente abituale che le persone sembrano non farci più caso. Intanto, ai lati delle corsie per automobili, ci sono due corridoi pieni di uomini e donne a piedi. Sono cittadini marocchini che beneficiano di un accordo interno tra Ceuta ed il distretto amministrativo di Tetouan. Tale accordo permette ai residenti della citta marocchina di entrare in territorio Europeo, senza bisogno del visto, per ragioni di commercio o lavorative. Così, ogni giorno, migliaia di uomini e di donne aspettano in file chilometriche per oltrepassare la frontiera a piedi. Li chiamano ‘portadores’ per via dei grossi carichi di mercanzia che portano in territorio spagnolo. Il primo muro invisibile, riguarda proprio loro. I portadores si incontrano alla frontiera o nel grande deposito merci che la affianca dove, dalla mattina alla sera, preparano le merci da vendere. Possono entrare ed uscire dal territorio europeo ma non possono restare. Alcuni dormono fuori dalla frontiera per evitare di attendere ore in fila il giorno dopo; portadores, cittadini, ed aspiranti richiedenti asilo. Tre attori transitano tutti i giorni in questa Babele che è la frontiera tra Spagna e Marocco. Tre strati di legittimità. Alcuni corpi passano per restare, altri devono giustificare il loro passaggio, altri ancora non passano proprio.

Foto Gabriele Proglio – Militarizzazione del territorio a Ceuta

            Il secondo muro invisibile si percepisce nell’organizzazione urbana dell’enclave. Una volta passata la frontiera, con tutta la violenza che essa rappresenta, si arriva nella più banale, stereotipata ed anonima versione dell’Europa. Catene d’abbigliamento, ristoranti internazionali, pub e locali pieni di persone che bevono birra e mangiano tapas. A noi, che giungevamo da Rabat, dove in pieno Ramadan, abbiamo avuto difficoltà a trovare posti dove pranzare, l’Europa ci è stata letteralmente scaraventata in faccia. Immediatamente, si nota che Ceuta fatica a mantenere un’identità e si appoggia ai miti della tradizione omerica ed agli esploratori che vi sono passati per mostrarsi come luogo di scoperta, modernità e cosmopolitismo. Statue e musei raccontano la storia di una Ceuta multiculturale e libera. Bibliotecari, storici, guide turistiche: tutti negano il passaggio di schiavi in questo territorio, così come negano il passaggio dei migranti. O meglio, è storia passata, irrilevante. Mentre questo microcosmo sopravvive nella negazione di una realtà scomoda, a pochi chilometri di distanza si estendono i quartieri popolari. I più grandi sono ‘el Principe’ e ‘la Pantera’. Qui si parla spagnolo, ma anche arabo ceutino. Qui il Muezzin canta dai minareti delle moschee ed i negozi ed i locali rispettano il Ramadan. Qui vive la fetta di popolazione ceutina più povera. La maggior parte dei residenti ha origini marocchine e pratica la religione musulmana. Tutti ci sconsigliano di andare da soli in queste zone per l’alto tasso di criminalità; tanto più pericoloso se si è ‘visibilmente turisti’, come ci spiega un’impiegata del centro per il turismo. Come nel caso di molte città europee, i poveri vengono segregati ai margini della città, lontano dai turisti. Ceuta è Europa nel suo mantenere un muro invisibile tra centro e periferia, che divide il povero dal ricco, il musulmano dal cattolico ed il nero dal bianco.

Fotografia Gabriele Proglio – Quartiere “El Principe” di Ceuta

Infine, il terzo muro, quello meno chiacchierato, riguarda proprio le persone migranti; quelle poche che sono riuscite ad attraversare il dispositivo frontaliero formato dalle tre muraglie e sono confinate in un centro d’accoglienza chiamato CETI e gestito dal governo spagnolo.  Molti sono minori non accompagnati in attesa di essere espulsi o trasferiti dall’altro lato della costa. Al CETI non ci fanno entrare; ma ci si accorge di essere vicini poiché, allontanandosi dal centro, i volti cambiano. Seduti sulle panchine, addormentati nei parchi, immobili fuori dai supermercati rompono l’incantesimo della miniatura cosmopolita e rivelano la faccia violenta e manifesta dell’Europa che esclude e nasconde. ‘Migranti? No, ormai non ce ne sono più’, ‘Li portano direttamente dall’altra parte’, ‘abbiamo altri problemi col governo spagnolo ma, almeno per quanto riguarda i migranti, ormai ci sentiamo al sicuro ’. Al sicuro da una ‘minaccia’ che si sceglie ogni giorno di non vedere, di tenere nascosta. Non esiste meccanismo di comunicazione né, tantomeno, di coabitazione. Il muro si erge alto dentro Ceuta. Ognuno il suo spazio, ognuno il suo ruolo.

La Ceuta dei muri invisibili è l’Europa in miniatura con tutte le sue contraddizioni: multiculturale ed intollerante, umanitaria e militarizzata; l’Europa che seleziona il passato da celebrare e quello da negare, che seleziona chi passa e chi non, chi ha diritto di essere visto e chi si sceglie ogni giorno di non vedere.

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