Sui confini d’Europa #14

In USA, dove la pandemia rivela i confini degli stati

Andiamo oltre e usciamo dai confini d’Europa, e questa puntata, nonostante il titolo della serie, è dedicata agli Stati Uniti d’America.

Dopo aver capito, in una scena apocalittica con tanto di supermercato depredato e strade piene di malati tossenti e violenti, che la situazione a Minneapolis (Minnesota) è ormai fuori controllo, l’immune Mitch Emhoff (Matt Damon) monta in macchina con la figlia Jory e guida qualche chilometro verso Est. Sotto al grande cartello “Welcome to Wisconsin” li accolgono però altri cartelli, questi non permanenti, due grandi segnali stradali di STOP, “Bridge closed”, e uno luminoso “Quarantine No Access”. Siamo circa a metà dell’ultra citato Contagion (Steven Soderbergh, 2011), il film uscito quasi dieci anni fa che racconta con straordinaria verosimiglianza al nostro tempo presente l’epidemia causata da una misteriosa malattia respiratoria. Quando Emhoff raggiunge il St. Croix River, il grande affluente del fiume Mississippi che divide Minnesota e Wisconsin, si trova quindi davanti a scena inedita e inaspettata per qualunque cittadino statunitense o visitatore: la chiusura di un confine statale. “Vogliamo solo andare in Wisconsin” dice al militare preposto al controllo degli accessi dopo aver verbalmente garantito sulla sua immunità e spiegato che la figlia, ancora potenzialmente a rischio, non è malata.

“Il confine è chiuso”.

“Vogliamo passare dall’altra parte”.

“Risalga in auto o la arresto”.

Confini e conflitti

Se la Frontiera, la sua conquista e esplorazione, è l’idea cardine della cultura USA, ci sono dei confini di cui non si parla quasi mai, e si danno praticamente per scontati: i confini interni tra quarantotto Stati (più Washington DC) contigui degli Stati Uniti d’America – dal conto mancano naturalmente Hawaii e Alaska. La circolazione tra gli Stati è assolutamente libera, tranne poche eccezioni. Molti confini sono naturali, come i fiumi in particolare nella parte centrale degli USA, mentre in altri casi sembrano disegnati con il righello come tanti altri paesi postcoloniali. Ma in sostanza, un viaggiatore disattento o un cittadino statunitense può non notare i passaggi da uno Stato all’altro, se non fosse per qualche cartello (come in Contagion), il cambio dell’ora tra i vari fusi orari, o i colori diversi delle divise delle forze dell’ordine. Sono le costituzioni stesse, quella USA e quelle dei singoli Stati, che regolano attraverso un complesso sistema di poteri locali e federali, volti comunque a una convivenza sotto un’unica bandiera, malgrado gli stati siano responsabili per un’enormità di aspetti della vita dei cittadini, e abbiano poteri non indifferenti, anche di controllo del territorio attraverso milizie statali.

La formazione e lo sviluppo di questi confini non sono però neutri, e le conseguenze di questi processi spesso conflittuali sono in alcuni casi ancora visibili ai nostri giorni. Per capire il perché, per esempio, di una delle rivalità più sentite nel mondo del college football USA (un mondo che muove milioni di euro e che fa record di spettatori di eventi sportivi dal vivo con partite tutto esaurito da più di 100mila persone), quella tra The Ohio State University e University of Michigan, può aiutare andare indietro fino agli anni trenta dell’ottocento, alla Guerra di Toledo tra Ohio e Michigan per il controllo di una striscia di territorio. Una guerra che mise in campo milizie armate ma che non fece morti, ma lasciò risentimenti che in qualche modo ancora resistono. La disputa si risolve a favore dell’Ohio, e come compensazione per aver ceduto la città di Toledo e una striscia di territorio al Michigan fu data l’Upper Peninsula, una grande penisola considerata all’epoca di poco valore al confine con il Canada, completamente staccata dal resto dello stato – che si rivelò poi piena di minerali. Dello stesso periodo, 1839, è la Honey War tra Missouri e Iowa (anche qui, senza spargimenti di sangue), scaturita da un conflitto di interpretazioni tra trattati con i nativi americani, la costituzione del Missouri, e la Louisiana Purchase – l’acquisto da parte degli USA di sezioni del sud e del Midwest nel 1803. La Mason-Dixon line è invece quella linea molto reale che ha definito, e ancora definisce, parte della vita statunitense. Nata per risolvere una disputa tra Maryland, Pennsylvania e Delaware nel settecento, prima dell’indipendenza degli USA, è diventata un secolo dopo la linea di demarcazione tra il nord non schiavista e il sud schiavista, e ancora oggi ha un fortissimo significato simbolico – Dixie o Dixieland è un termine ancora usato per definire il sudest degli USA. È una di quelle linee, rette, tracciate col righello, come quella tra California e Oregon, o tra South Dakota e Nevada, o tra Texas e New Mexico frutto di compromessi e cedimenti territoriali organizzati lungo paralleli e meridiani. I confini peraltro evolvono, cambiano, secondo leggi scritte ma anche, quando sono confini naturali, perché i fiumi si modificano, ci sono alluvioni, terremoti e via dicendo, creando ulteriori sviluppi e anomalie.

“Il virus non capisce i confini degli stati”

Questi confini statali dunque esistono, e determinano di solito silenziosamente la vita delle persone. Come sempre, guardare ai margini ci aiuta a capire come in molti casi questo silenzio è in realtà assordante, e trovarsi in uno o nell’altro stato fa la differenza: le strutture carcerarie variano sensibilmente da stato a stato, per non parlare della pena di morte ancora in vigore in oltre la metà degli stati USA; un migrante illegale in Arizona vive in maniera significativamente diversa da uno a New York, una persona che deve abortire in Alabama è esposta a molte più difficoltà di una donna in Massachusetts, e la vita per le persone LGBTQ è infinitamente più complicata negli stati più retrogradi. Per non parlare della linea del colore che ancora crea confini tra città e città, strada e strada, una segregazione non più legale ma ancora molto reale. O dei confini delle riserve dei nativi, veri e propri Stati dentro gli Stati.

La pandemia sta mettendo in evidenza questi confini e differenze statali in modi che molti non avevano mai sperimentato prima. Come ha detto il governatore di New York Andrew Cuomo, proponendo non una maggiore unità federale ma la formazione di coalizioni regionali, “il virus non capisce i confini degli stati. Siamo tutti connessi”. È stato forse uno dei momenti più simbolici di questa pandemia negli USA, certificando sia i limiti dei confini stessi, che il desiderio di rendere esplicite formazioni informali come gli Stati “liberal” del Nord Est. Quando a marzo in alcuni stati è stata obbligata una quarantena di due settimane obbligatoria per chi arrivava da New York si è diffuso un certo panico e incertezza. Il New York Times notava in un articolo del 25 marzo, quando per più di qualcuno il virus era ancora un affare cinese o italiano, “è una circostanza rara negli Stati Uniti d’America, un paese dove il viaggiare tra gli Stati è di solito benvoluto e notato solo per le statistiche delle visite dei turisti, che improvvisamente gli stati cerchino modi per scoraggiare i residenti di altri stati a entrare nei loro” per poi notare come gli storici non ricordino altri momenti della storia degli USA moderni in cui misure di questo tipo siano state prese – il film di Soderbergh non conta, pare fosse finzione. Una situazione inedita e paradossale, che ha prodotto anche situazioni bizzarre. Il West Virginia, uno Stato bianco e operaio di cui si è parlato molto dopo l’elezione di Trump (la white working class delusa che, apparentemente, lo ha votato in massa voltando le spalle al Partito Democratico), a nord confina con due Stati ben più grandi, Ohio e Pennsylvania. Siamo ancora nello sterminato Midwest, dove le caratteristiche identitarie statali tendono quasi ad annullarsi. Una sottile striscia di West Virginia si incanala tra i due vicini, creando anomalie che normalmente sono poco più che curiosità da Atlas Obscura (il rinomato sito di viaggi e geografia il cui sottotitolo recita “Curious and Wondrous Travel Destination). La cittadina di Weirton, per esempio, l’unica città USA con un confine statale a Est e uno a Ovest: i suoi 20mila abitanti, che una volta potevano vantare il quinto più grande stabilimento siderurgico degli USA, possono attraversare tre stati in pochissimi chilometri: andare a Paris (quella della Pennsylvania) e poi, una volta attraversato il Veterans Memorial Bridge sull’Ohio River, spuntare a Steubenville, Ohio, il cui nome deriva da un generale prussiano (Friedrich Wilhelm von Steuben) finito a combattere per George Washington, e che ha dato i natali a Dean Martin. Confini porosi, facilmente attraversabili, ma pur sempre confini. A marzo, come strumento di contenimento della pandemia, la Pennsylvania ha chiuso i suoi negozi di alcolici controllati dallo stato, e diverse contee della West Virginia hanno cominciato a venderne solo ai suoi residenti, spingendo lo stato dell’Ohio a fare lo stesso.

Un confine in genere semi-invisibile che diventa, in circostanze particolari e quindi rivelatorie, ipervisibile, ricordandoci che esiste. 

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