Studiare la criminalità è studiare la società

Su “I clan di camorra. Genesi e storia” di Luciano Brancaccio (Donzelli 2017).

Appena un decennio fa, al di fuori dal sistema investigativo e giudiziario, erano davvero pochi a occuparsi di camorra e ancora di meno erano le pubblicazioni e le analisi. Prima del best seller di Roberto Saviano che, piaccia o non piaccia, ha inaugurato la stagione, lunga sino ai nostri giorni, degli scrittori, saggisti, romanzieri e persino cineasti che scrivono di questo argomento. A differenza di quanto accadeva per Cosa nostra, le analisi del fenomeno camorristico, in passato, le dovevamo ricercare nel celeberrimo saggio del 1863 La camorra di Marc Monnier, nelle ricerche del sociologo Amato Lamberti, di Francesco Barbagallo – dalla cui scuola sarebbe poi uscito lo stesso Saviano – e in quelle di Gigi di Fiore e di pochi altri. Oggi, per fortuna, la letteratura è molto vasta e anche autorevole, fatta eccezione per qualche autore che avrebbe fatto meglio a posare la penna e occuparsi d’altro, come ad esempio quelli che, argomentando di una bambina uccisa per errore a Napoli, la apostrofano come “scugnizza”, quando invece era solo una bambina.

 

Sugli scaffali delle librerie sempre più spazio occupano i saggi e i romanzi, che guardano al fenomeno da diversi punti di vista. Due romanzi fra tutti: Il paradiso dei diavoli di Franco Di Mare, dove un giovane vive la doppia morale di brillante ricercatore universitario e di spietato killer della camorra. Il recente La paranza dei bambini di Roberto Saviano, dove un altro giovane, figlio della cosiddetta società di mezzo, sfruttando la sua leadership criminale, si pone a capo di un gruppo di coetanei, che in autonomia conquistano sempre più spazi di mercato criminale nello smercio delle sostanze stupefacenti. Si tratta, però, per gran parte, di narrazioni che molto spesso risentono della generalizzazione e ancora più di sovente delle strumentalizzazioni politiche dei fenomeni criminali. Molti scritti, argomentando su questi fenomeni, rischiano di essere influenzati dalla suggestione collettiva, che in parte hanno, loro stessi, contribuito a generare.

Anche l’enorme mole di documentazione giudiziaria e investigativa, alla quale gli scrittori attingono, se non letta con il necessario distacco, rischia, al di là delle reali buone intenzioni, di generare confusione e di portare fuori strada lo scrittore o l’analista. Spesso si parla e, peggio ancora, si scrive di ciò che non si conosce o di cui si è solo sentito dire, con il risultato di generare una spirale di luoghi comuni e rappresentazioni per lo più stereotipate.

Da tutto ciò e da molto altro ci mette in guardia Luciano Brancaccio, professore di Sociologia Urbana e Reti Sociali al Dipartimento di Scienze Sociali della Federico II, con il suo ultimo libro, che più che un saggio definirei un’approfondita ricerca storico-economica su alcuni aspetti del fenomeno della camorra e in particolare di quella che nei decenni ha spadroneggiato nella città di Napoli, espandendo i suoi tentacoli anche al di là dell’Oceano, nei paesi dell’Est Europa, in Perù, in Giappone e in Africa.

Brancaccio, con metodo scientifico, parte dalle tracce che le carte giudiziarie (carte che per la loro natura non rappresentano sempre la verità storica dei fatti, ma solo quella giudiziaria, necessaria per giungere alla condanna penale per singoli accadimenti, ma che da sola non è sufficiente a spiegare forma, natura ed evoluzione dei fenomeni) mettono a disposizione, leggendole con un approccio distaccato e consapevolezza critica. Un libro importante, quello di Brancaccio, che ci fa comprendere come la mafia, ma soprattutto la camorra, non abbiano confini netti e che a determinare la capacità di controllo di un determinato territorio e – se si ha una certa capacità d’impresa – anche di espansione all’estero, fuori dai confini tradizionali, siano i fattori come il radicamento sociale, la famiglia di appartenenza, il gruppo di riferimento e, naturalmente, il mercato.

 

Facciamo un esempio. Mentre penso di scrivere questa recensione sto trascorrendo un breve periodo di riposo su un pezzo di spiaggia del mio Salento. Un pezzo di spiaggia libera, sempre più piccola, situata tra due lidi esclusivi e alla moda che sono disseminati su tutto il litorale Adriatico e Ionico del Salento. Mi vengono in mente le inchieste della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, che più di una volta hanno mostrato l’ingerenza dei clan su queste attività, ma questa è un’altra storia. Mentre sono qui, assorto in questi pensieri e penso a cosa scrivere sul libro di Brancaccio, due ragazzi, evidentemente provenienti dai paesi africani, trascinano sulla spiaggia un carrello su due ruote in gomma che affondano nella sabbia. È un carrello allestito come un vero e proprio negozio ambulante di abbigliamento, con costumi da bagno, copricostume, cappellini, foulard, pagliette, panama, bandana e tanto altro. Sono i classici venditori ambulanti, abusivi e senza alcuna forma di autorizzazione o licenza, che spesso d’estate incontriamo sugli ottomila chilometri delle coste italiche.

Ecco che i due venditori fermano il loro carrello sulla battigia del lido di uno dei più esclusivi residence situato nelle prossimità dei Laghi degli Alimini, a nord di Otranto, la città che nel 1480 fu invasa dai Turchi, la città degli ottocento Martiri, che non cedettero all’imposizione dei Musulmani e che oggi, grazie alla sua storia ed alle bellezze naturalistiche, è divenuta meta di numerosi turisti. Appena il carrello è fermo, tutto intorno ecco che si accalca una folla di giovani e meno giovani signore. C’è chi chiede quanto costa quel capo di abbigliamento, chi commenta con l’amica la qualità e il prezzo della mercanzia e, naturalmente, c’è chi acquista. E sono in tante a farlo. Mi avvicino, incuriosito, osservo, ascolto e, con ancora nella testa le parole che ho letto su I clan di camorra, mi domando cosa ci sia dietro a questa economia, chiamiamola di spiaggia. La mia risposta è semplice: dietro a tutto ciò c’è la più elementare regola del mercato. Se c’è una domanda – in questo caso di costumi da bagno, di ciabatte, di bandana e copricostumi – certamente ci sarà qualcuno che organizzerà un’offerta. La legge fondamentale dell’economia di mercato, essenzialmente basata sull’incontro tra acquirenti e venditori. E non c’è alcun dubbio che su quella spiaggia si siano incontrati questi due fattori essenziali del mercato. Peccato, però, che soprattutto i venditori (e forse, a ben riflettere, anche gli acquirenti) rispondano a logiche di mercato illegale, dove costi di produzione (salari a basso costo e senza diritti per i lavoratori), tecnologie per la produzione, prezzi, distribuzione e un regime di monopolio, mantenuto con l’esercizio della violenza, sono del tutto abusive e illegali e quindi fuori dalle regole civili e soprattutto fuori dalle regole del mercato legale.

 

Quali interessi, dunque, ci siano dietro a quel brulicare intorno a una specie di negozio ambulante ce lo spiega, molto dettagliatamente, Luciano Brancaccio. Centoquarantatre pagine, nelle quali l’autore, alla base del suo ragionamento e della sua ricerca pone la capacità della famiglia criminale di saper gestire, mettendo in campo all’occorrenza una buona dose di esercizio della violenza, i mercati illegali, partendo dalla semplice considerazione che là dove c’è una domanda, il mercato organizza un’offerta, più o meno capillare. E più è grande la famiglia criminale, quanto più numerosi sono i suoi membri, tanto più le possibilità di mantenere il controllo di grosse fette di mercato illegale aumentano. È stato così agli inizi del novecento con il controllo dei mercati ortofrutticoli nella periferia della città di Napoli e il sistema è proseguito nel dopoguerra con il controllo del commercio di ogni genere di prodotti. Poi, senza comunque abbandonare le tradizionali attività criminali come furti, borseggi, rapine, estorsioni e usura, si è passati alla fitta rete dei “magliari”, un capillare meccanismo di smercio di prodotti contraffatti di vario genere, come capi di abbigliamento e persino macchine utensili, per passare, più tardi, negli anni ’70, al traffico illegale di tabacchi lavorati esteri e per finire al ramificato sistema del commercio delle sostanze stupefacenti. Traffici illegali che hanno conosciuto diverse stagioni e attraverso i quali le famiglie criminali, proprio per la loro consistenza numerica e per la capacità di leadership di alcuni loro membri, hanno saputo adattarsi ai cambiamenti e occupare spazi di mercato anche all’estero, che gli stravolgimenti geopolitici hanno determinato. Calcola Brancaccio che queste, a differenza di quanto possa apparire, sono attività molto redditizie, che hanno portato e portano nelle casse della camorra ingenti quantitativi di denaro, che sono state poi investite nel traffico degli stupefacenti e nell’acquisizione di fette di mercato apparentemente legale.

Famiglie come il gruppo parentale Potenza – Presutto di Santa Lucia e del Pallonetto, quella dei Giuliano di Forcella, dei Tolomelli, dei Vastarella, dei Misso, dei Di Lauro, dei Zaza-Mazzarella, dei Contini, dei Licciardi, dei Sarno, dei Mallardo e tante altre, gran parte di esse rappresentate nel libro attraverso dettagliati alberi genealogici, sono tutte famiglie molto numerose, che hanno intessuto alleanze anche attraverso matrimoni tra i figli delle diverse famiglie e gruppi. Sono tutte famiglie che nel tempo hanno saputo governare e gestire molti dei mercati illegali in Italia ed all’estero e molto probabilmente alcuni di loro hanno a che vedere con quella specie di negozio ambulante sulla spiaggia del Salento.

Famiglie numerosissime, composte da centinaia di membri. In uno dei miei libri mi sono occupato della famiglia dei Giuliano, di cui uno dei rampolli è stato condannato per l’assassinio nel 2004 di una giovinetta di quattordici anni, Annalisa Durante. In quella famiglia ho contato circa 260 componenti e altrettanti sono quelli che compongono la famiglia dei Mazzarella, storica “nemica-

 

amica” dei Giuliano. E, allora, se consideriamo che nel 2015 la Direzione Investigativa Antimafia contava la costituzione di ben 180 gruppi di camorra nella sola provincia di Napoli, ecco che un rapido conteggio ci riporta a quella tanto criticata affermazione della Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi, secondo la quale la camorra, in territori come quello napoletano, rappresenterebbe un elemento costitutivo. Ora che le polemiche intorno a questa affermazione paiono essersi sopite, leggendo il libro di Brancaccio e facendo due semplicissimi conti, finisco per convincermi sempre di più che Rosy Bindi aveva proprio ragione. Un esercito di componenti delle famiglie criminali che hanno fatto la storia del commercio e del mercato illegale, finendo per condizionare anche quello legale. Ecco perché per capire Napoli occorre, come fa Brancaccio, studiare più approfonditamente i fenomeni sociali piuttosto che quelli criminali. Capire come sia stato, e per certi versi lo sia ancora oggi, conveniente avere alle spalle famiglie molto numerose, capaci di far fronte alla richiesta dei mercati, utilizzando una manodopera affidabile, che all’occorrenza sa dosare anche la violenza è fondamentale.

Qualcuno da qualche parte ha detto che per combattere le organizzazioni criminali di tipo mafioso «occorre ridurre il tempo della convenienza», ma, sulla base del ragionamento di Luciano Brancaccio, forse è giunto il momento di ridurre le occasioni della convenienza, soffocando i mercati illegali. E questo, con assoluta certezza, prima ancora che i governi e le leggi, lo possono fare i cittadini che a questo mercato, seppur illegale, finiscono per domandare; sia che si tratta di una maglietta acquistata su una spiaggia, sia che si tratti di un pacchetto di sigarette di contrabbando, sia che si tratti di una qualche sostanza che dà l’illusione di aumentare le performance. Quando vado nelle scuole a parlare della vicenda di Annalisa Durante, i ragazzi rimangono stupiti quando dico che una loro coetanea è stata uccisa per la droga e che molto probabilmente anche loro hanno contribuito a premere il grilletto del famigerato Salvatore Giuliano. Si stupiscono, ma quando spiego loro il meccanismo della domanda e dell’offerta, degli acquirenti e dei venditori, ecco che nella platea scende un silenzio tombale. Penso che quel silenzio sia la migliore conferma! Hanno capito che quella massa di acquirenti sono loro o quelli come loro. Loro e anche noi, che siamo disposti ad acquistare.

* Paolo Miggiano è giornalista e scrittore. Tra i suoi recenti libri: Morire a Procida, la Meridiana, Molfetta; Qualcun altro bussò alla porta. Dario Scherillo e altre storie di persone vittime della violenza criminale, Spotzone, Mugnano di Napoli; A testa alta. Federico Del Prete: una storia di resistenza alla camorra, Di Girolamo Editore, Trapani; Ali spezzate. Annalisa Durante. Morire a Forcella a quattordici anni, Di Girolamo Editore, Trapani.

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