Sopravvivere non è sufficiente VI

Un’enciclopedia della fine: leggere il contemporaneo attraverso i racconti sulla fine del mondo

Sopravvivere non è sufficiente
La jetée, Chris Marker (1962)

 

 

 

I

Pat Murphy, L’amore e il sesso tra gli invertebrati

(1990; Not 2018, Le Visionarie, traduzione di Nicoletta Vallorani)

 

 

Le mie creature sono impegnate in un lungo, lento corteggiamento.

Sto sempre peggio. A volte, mia madre viene a farmi domande, alle quali non rispondo. A volte, gli uomini si siedono accanto a me sul letto, ma sono meno reali di mia madre. Si tratta di uomini ai quali ho voluto bene, uomini che ho pensato di poter amare, anche se non sono mai andata oltre questo pensiero. Attraverso i loro corpi translucidi, vedo le pareti del laboratorio. Adesso penso che non siano mai stati reali.

A volte, nel mio delirio, mi ricordo tante cose. Un ballo al college; danzavo lentamente, col corpo di qualcuno premuto contro il mio. La stanza era calda e affollata, perciò uscimmo per prendere un po’ d’aria. Mi ricordo che mi baciò, mentre con una mano mi carezzava un seno e con l’altra pasticciava coi bottoni della mia camicetta. Io continuavo a chiedermi se quello era amore: quel rovistare nell’ombra. Nel mio delirio le cose cambiano. Ricordo di aver danzato in cerchio con le mani di qualcuno che stringevano le mie. I piedi mi dolgono, tento di fermarmi, ma il mio compagno mi costringe a continuare, si rifiuta di lasciarmi libera. I miei piedi si muovono istintivamente a tempo con quelli del mio compagno, anche se non c’è musica che ci aiuti a tenere il ritmo. L’aria è impregnata di umidità e di muffa; ho vissuto la mia vita sottoterra: sono abituata a questi odori.

È amore?

Passo i miei giorni distesa vicino alla finestra, guardando fuori attraverso un vetro sporco.

Dalla bocca del vicolo, lui la chiama. Non gli ho dato una voce, ma lui la chiama a suo modo, strofinando tra loro le zampe anteriori, cosicché il metallo gratta contro il metallo producendo un suono stridulo come fosse un grillo della grandezza di una Buick.

Lei oltrepassa la bocca del vicolo, ignorandolo, mentre lui carica verso di lei digrignando i denti. Lui atterra, come se la invitasse a seguirlo. Lei passa oltre. Ma poi, un momento dopo, lei ripassa e la scena si ripete. Capisco che lei non sta davvero ignorando l’attenzione del maschio. Sta solo prendendo tempo, riflettendo sulla situazione. Il maschio intensifica gli sforzi, rovescia la testa mentre arretra, facendo del suo meglio per richiamare l’attenzione della femmina sulla splendida tana che ha costruito.

Li ascolto di notte. Non posso vederli: l’elettricità è mancata due giorni fa e le luci della strada sono andate. Così ascolto nell’oscurità, immaginando zampe metalliche che si strofinano una contro l’altra per attirare l’attenzione. La vela sulla schiena del maschio risponde con un rumore di metallo mentre si apre, poi si ripiega, poi si riapre; in quella che sembra essere una dimostrazione erotica. Sento la coda ricoperta di aculei che raschia su una schiena spinosa in una specie di carezza. Denti digrignati contro il metallo: morsi d’amore, forse. (Il leone morde la leonessa sul collo mentre si accoppiano, un atto di aggressione che lei accetta come dimostrazione di affetto.) Artigli che strofinano contro la corazza metallica, che risuonano su scaglie metalliche. Questo credo sia amore. Le mie creature capiscono cos’è l’amore.

Immagino un pene fatto di tubature di rame e di guarnizioni che scivola in un canale bordato di fogli metallici ricavati dalla lattina di una bibita. Sempre il metallo che scivola contro il metallo. E poi l’immaginazione mi tradisce. La mia creazione non ha strumenti per riprodursi; spermatozoi, uova. La mia preparazione scientifica è insufficiente. Questa parte è affidata alle creature.

Il mio corpo sta cedendo. Di notte, non dormo; il dolore mi tiene sveglia. Ho male dappertutto, nel ventre, nei seni, nelle ossa. Ho smesso di mangiare. Quando lo faccio, per un po’ il dolore aumenta, poi vomito. Non riesco a tener dentro niente, quindi ho smesso di tentare. Quando arriva, la luce del mattino è grigia, e filtra attraverso la foschia che copre il cielo. Guardo fuori dalla finestra, ma non riesco a vedere il maschio. Ha abbandonato la sua postazione alla bocca del vicolo. Guardo per un’ora circa, ma la femmina non passa da quelle parti. Hanno finito di beccarsi?

Rimango in osservazione dal mio letto per alcune ore, con la coperta avvolta attorno alle spalle. In alcuni momenti, la febbre sale e la coperta si inzuppa di sudore. A volte ho freddo, e tremo sotto le coperte. Eppure non c’è movimento nel vicolo. Impiego più di un’ora per scendere le scale. Non posso più fidarmi delle gambe, così striscio sulle ginocchia, attraversando la stanza come un bambino troppo piccolo per stare dritto. Mi porto dietro la coperta, avvolta intorno alle spalle come una cappa. In cima alle scale, mi risposo, poi scendo lentamente, un gradino alla volta.

Il vicolo è deserto. La confusione dei copriruota riluce nella debole luce del sole. Il caos di carte colorate sembra trascurato e abbandonato. Mi avvicino cautamente all’ingresso. Se il maschio dovesse corrermi incontro adesso, non potrei scappare. Ho usato tutte le mie riserve di energia per arrivare fin qui.

Il vicolo è tranquillo. Riesco ad alzarmi in piedi, e barcollo attraverso pezzi di carta. Ho gli occhi annebbiati e riesco solo a vedere il copriletto che sventola alla bocca del vicolo. Vado in quella direzione. Non so perché sono venuta qui. Probabilmente volevo capire. Volevo sapere cos’è successo. Questo è tutto.

Mi affaccio dietro il copriletto sospeso a mezz’aria. Nella luce opaca, vedo una porta nella parete di mattoni. Qualcosa è appeso all’architrave.

Mi avvicino cautamente. L’oggetto è grigio, come la porta dietro a esso. Ha un aspetto particolare, a spirale. Quando lo tocco, percepisco una leggera vibrazione all’interno, come il mormorio di un meccanismo lontano. Appoggio la guancia contro di esso e riesco a sentire un suono basso, deciso e uguale. Da bambina, la mia famiglia mi portava spesso a fare passeggiate sulla spiaggia e io passavo ore a esplorare le pozze lasciate dalle maree. Tra i mucchi di molluschi nerazzurri e di serpentelli neri raccolti a turbante, trovai i gusci delle uova di uno squalo in una pozzanghera. Erano a forma di spirale, come quest’uovo, e quando lo tesi verso la luce riuscii a vedere dentro il piccolo embrione. Mentre osservavo, l’embrione si contrasse, muovendosi, anche se non era davvero vivo.

Mi accuccio in fondo al vicolo avvolta in una coperta. Non vedo ragione di muovermi. Posso morire qui come in qualsiasi altro posto. Sto vegliando sull’uovo, perché non corra rischi.

A volte, sogno la mia vita passata. Forse avrei dovuto essere meno cauta, rispondere al messaggio dell’accoppiamento, dare ascolto alla canzone quando un maschio mi chiamava dal suo nido. Ma adesso non ha più importanza. Tutto questo è finito, l’abbiamo gettato alle nostre spalle.

Il mio tempo è terminato. I dinosauri e gli uomini… il nostro tempo è terminato. Arrivano nuovi tempi, nuovi tipi di amore. Sogno il futuro e i miei sogni sono pieni del clangore di artigli metallici.

 

II

Octavia Butler, La parabola del seminatore (1993; 2000 Fanucci, traduzione di Anna Polo)

 

 

Oggi abbiamo pranzato insieme in camera mia, visto che continua a piovere e il resto della casa era pieno di bambini che non erano tornati a casa a mangiare.

Ma la mia camera è ancora mia, l’unico posto al mondo in cui posso andare senza essere seguita da qualcuno, a meno che non sia io a invitarlo. Tra le persone che conosco, sono l’unica ad avere una camera da letto tutta per sé. In questi giorni perfino papà e Cory bussano prima di aprire la porta; questo è uno dei vantaggi a essere l’unica figlia in famiglia. Devo buttar fuori di continuo i miei fratelli, ma almeno posso farlo. Joanne è figlia unica, ma deve dividere la sua stanza con tre cugine più piccole – la piagnucolosa Lisa, sempre pronta a esigere e a lamentarsi, la brillante Robin, con il suo quoziente di intelligenza quasi da genio e l’invisibile Jessica, che parla a sussurri, tiene gli occhi bassi e scoppia a piangere se la guardi male. Sono tutte e tre delle Balter, sorelle di Harry e figlie della sorella della madre di Joanne. Le due sorelle, i loro mariti e otto figli e i loro genitori, i signori Dory, vivono ammucchiati in una casa con cinque camere da letto. Non è la casa più affollata del vicinato, ma sono felice di non dover vivere così.

“Quasi nessuno teneva a Amy, ma tu sì” mi ha detto Joanne.

“Ho cominciato dopo l’incendio” le ho spiegato. “Mi sono spaventata per lei, ma prima la ignoravo come tutti.”

“E ora ti senti in colpa?”

“No.”

“Invece sì.”


L’ho guardata sorpresa.
“No, davvero. Odio il fatto che sia morta e mi manca, ma non sono stata

io a causare la sua morte. Solo, non posso negare ciò che questo significa per tutti noi.”

“Che cosa vuoi dire?”

Sono stata sul punto di parlarle di cose di cui non avevo mai parlato prima, ma solo scritto. A volte scrivo per non impazzire. C’è un mucchio di cose di cui non mi sento libera di parlare con nessuno.

Ma Joanne è un’amica, mi conosce meglio di molti altri e ha cervello. Perché non parlarle? Prima o poi dovrò pur farlo.

“Cosa c’è che non va?” mi ha chiesto.

Dopo aver aperto un contenitore di plastica di insalata di fagioli, l’ha appoggiato sul mio comodino.

“Non ti sei mai chiesta se Amy e la signora Sims non siano le più fortunate? Voglio dire, non ti sei mai chiesta che cosa succederà al resto di noi?”

Fuori c’è stato un sordo rombo di tuono, seguito da uno scroscio improvviso. Secondo i bollettini metereologici della radio la pioggia di oggi dovrebbe essere l’ultima dopo quattro giorni di temporali, ma io spero di no.

“Certo che ci penso” ha risposto Joanne. “Ora che ammazzano anche i bambini piccoli, come potrei non pensarci?”

“Questa non è certo una novità.”


“Qui lo è. Non era ancora successo.”


“È stata una sveglia, una specie di segnale d’allarme. Un altro.”


“Di che cosa stai parlando?”


“Amy è stata la prima di noi a essere uccisa così, ma non sarà l’ultima.”

Joanne ha sospirato e in quel sospiro c’era un piccolo tremito.
”Così lo pensi anche tu.”


“Sì. Ma non credevo che tu pensassi a queste cose.”


“Stupri, rapine e ora omicidi. Certo che ci penso. Ci pensano tutti. Tutti si preoccupano. Vorrei tanto andarmene di qui.”


“E dove andresti?”


“È questo il punto, eh? Non c’è un posto dove andare.”

“Potrebbe esserci.”


“No, se non hai soldi e sai solo badare ai bambini e cucinare.”

Ho scosso la testa. “Tu sai fare molto di più.”

“Forse sì, ma non conta molto. Non potrò permettermi di andare al college, non riuscirò a trovare un lavoro e ad andarmene dalla casa dei miei genitori: nessun impiego basterebbe a mantenermi e non esistono posti sicuri dove trasferirsi. Diavolo, i miei genitori vivono ancora con i nonni.”

“Lo so. E per quanto brutto, non è tutto.”


“Non ti sembra che basti?”
Ha cominciato a mangiare l’insalata. Aveva un bell’aspetto, ma io stavo

per rovinarle il piacere di quel pasto.
”Nel sud del Mississippi e in Louisiana si sta diffondendo il colera” le ho raccontato. “L’ho sentito ieri alla radio. Ci sono troppi poveri analfabeti, disoccupati, gente senza tetto, senza cure mediche adeguate e acqua pulita. Laggiù l’acqua non manca, ma è in gran parte inquinata. E hai sentito parlare della droga che fa venir voglia di appiccare un incendio?”

Ha assentito, continuando a masticare.

“Si sta di nuovo diffondendo. Era sulla costa orientale e ora è arrivata a Chicago. Secondo i rapporti, per chi la prende guardare un incendio è più eccitante del sesso. Non so se tutto questo parlarne la condanna o la pubblicizza.” Ho fatto un respiro profondo.

“I tornado stanno devastando l’Alabama, il Kentucky, il Tennessee e due o tre altri stati. Finora sono morte trecento persone. E a nord una tempesta di neve sta uccidendo ancora più gente. A New York e nel New Jersey un’epidemia di morbillo sta facendo strage. Ti rendi conto? Morbillo!”

“Ne ho sentito parlare” ha detto Joanne. “Strano. Anche se la gente non può permettersi le vaccinazioni, il morbillo non dovrebbe essere mortale.”

“Quella gente è già mezza morta” le ho ricordato. “Hanno passato l’inverno al freddo, affamati e colpiti da altre malattie e naturalmente non possono permettersi vaccinazioni. Per fortuna i nostri genitori hanno potuto pagare per farci vaccinare. Se avessimo dei figli, non so se potremo fare lo stesso per loro.”

“Lo so, lo so” ha risposto Joanne con aria quasi annoiata. “Le cose vanno male. La mamma spera che con quel nuovo tizio, il presidente Donner, si possa tornare alla normalità.”

“Normalità; mi chiedo che cosa sia” ho borbottato. “Tu sei d’accordo con tua madre?”

“No. Donner non ha possibilità. Se potesse, forse metterebbe a posto le cose, ma secondo Harry le sue idee sono spaventose. Dice che porterà indietro il paese di cent’anni.”

“Mio padre sostiene qualcosa di simile. Mi sorprende che lo pensi anche Harry.”

“Per suo padre Donner è un Dio. Harry non è mai d’accordo con lui su niente.”

Mi sono messa a ridere, distratta dall’idea degli scontri di Harry con il padre. Fuochi d’artificio di quartiere: tante esplosioni, ma nessun vero incendio. Poi Joanne mi ha riportato alla realtà.

“Perché ti interessa parlare di queste cose? Tanto non possiamo farci niente.”

“Dobbiamo.”


“Ma abbiamo quindici anni! Che cosa possiamo fare?”


“Possiamo prepararci, questo è quel che c’è da fare adesso. Tenerci pronti per ciò che succederà, pronti a sopravvivere, a continuare a vivere dopo. Concentrarci su come sopravvivere, così che possiamo fare qualcosa di più che restare in balia di gente pazza e disperata, di teppisti e leader che non sanno quello che fanno!”

Lei mi ha guardato con gli occhi sbarrati.
“Non so di che cosa tu stia parlando.”


Forse sono andata troppo in fretta.


“Sto parlando di questo posto, Jo, di questo vicolo cieco circondato da un muro. Sto parlando del giorno in cui una grossa banda di gente affamata, pazza e disperata deciderà di entrare. Sto parlando di quello che dobbiamo fare prima che questo succeda, così da poter sopravvivere e ricostruire, o almeno sopravvivere e scappare senza ridurci come mendicanti.”

“Pensi che qualcuno riuscirà ad abbattere il nostro muro e a entrare?”

“È più probabile che lo facciano saltare in aria, o facciano saltare il cancello. Prima o poi succederà, lo sai anche tu.”

“Oh, no!” ha protestato.

Si è messa a sedere tutta rigida, dimenticando il pranzo. Io ho dato un morso a un pezzo di pane alle ghiande tutto pieno di frutta secca e noci. Lo adoro, ma questa volta l’ho masticato e ingoiato senza quasi sentirne il sapore.

“Jo, ci aspettano grossi guai, l’hai ammesso tu stessa.”


“Sicuro. Più sparatorie e irruzioni, è questo che intendevo.” “Per un po’, non so per quanto, andrà avanti così. Subiremo colpi su colpi e poi arriverà il colpo di grazia. E se non saremo pronti, sarà come il crollo delle mura di Gerico.”

Lei mi ha guardato tutta rigida e inorridita.
“Non puoi saperlo! Non puoi leggere il futuro. Nessuno può farlo.”

“Puoi farlo, se vuoi” ho ribattuto. “È spaventoso, ma una volta superata la paura, è facile. A Los Angeles comunità cinte da mura, più grandi e forti della nostra, non esistono più. Sono ridotte a un cumulo di macerie infestate dai topi e occupate dagli abusivi. Ciò che è successo a loro può succedere anche a noi. Moriremo qui, a meno di non trovare adesso il modo di sopravvivere.”

“Se la pensi così, perché non ne parli con i tuoi genitori, li avverti e vedi che cosa dicono?”

“Lo farò, non appena avrò trovato il modo giusto. Inoltre… credo che lo sappiano già. O almeno lo sa mio padre. Credo che la maggior parte degli adulti lo sappia, solo che non vuole ammetterlo.”

“Forse mia madre ha ragione su Donner. Potrebbe davvero migliorare le cose.”

“No. Donner è solo una specie di ringhiera umana.”


“Una… che cosa?”


“È come… come un simbolo del passato a cui aggrapparci mentre veniamo sospinti verso il futuro. Non è niente, non ha sostanza, ma vederlo al suo posto, l’ultimo di una serie di presidenti americani lunga due secoli e mezzo fa credere alla gente che il paese, la cultura in cui è cresciuta, esistano ancora, che supereremo i tempi duri e torneremo alla normalità.”

“Potrebbe succedere. Penso che un giorno ci riusciremo.”

Non era vero. Joanne era troppo intelligente per trarre qualcosa di più di una consolazione superficiale da tutti quei dinieghi, ma perfino una consolazione di quel genere è meglio di niente. Decisi di provare con un’altra tattica.

“Hai mai letto qualcosa sulla peste bubbonica nell’Europa medievale?” le ho chiesto.

Lei ha annuito. Legge molto, come me, e le interessa ogni argomento.

“Il continente era in gran parte spopolato. Alcuni sopravvissuti pensavano che fosse arrivata la fine del mondo.”

“Sì, ma una volta compreso che non era così, si resero conto che c’era un sacco di terra libera di cui impossessarsi e, se lavoravano, che potevano chiedere salari più alti. Per i sopravvissuti cambiarono molte cose.”

“Dove vuoi arrivare?”

“Ai cambiamenti.”

Ho riflettuto un momento. Quei cambiamenti erano lenti, se paragonati a ciò che potrebbe succedere qui, ma c’era voluta un’epidemia per far capire alla gente che le cose potevano cambiare.

“Allora?”

“Anche adesso le cose stanno cambiando. Gli adulti non sono stati spazzati via dalla peste, così sono ancora attaccati al passato e aspettano il ritorno dei bei tempi andati. Ma le cose sono cambiate molto e cambieranno ancora. Le cose cambiano sempre. Questo è solo un grande balzo in avanti, al posto dei passettini graduali che sono più facili da accettare. La gente ha cambiato il clima del mondo e ora si aspetta che il passato ritorni.”

“Nonostante quello che dicono gli scienziati, tuo padre non crede che sia stata la gente a cambiare il clima. Secondo lui solo Dio è capace di cambiare il mondo in modo così drastico.”

“E tu gli credi?”


Lei ha aperto la bocca, mi ha guardato e l’ha richiusa. “Non lo so” ha risposto dopo un po’.
“Mio padre ha i suoi punti deboli. È la persona migliore che conosco, ma perfino lui li ha.”


“Non fa molta differenza. Non possiamo tornare al clima di prima e non importa chi l’ha cambiato. Non possiamo farlo noi due e nemmeno il quartiere. Non possiamo fare niente.”

Ho perso la pazienza.
“E allora lasciamo che ci ammazzino subito e facciamola finita!”
Lei ha aggrottato la fronte, il viso troppo serio quasi arrabbiato, e ha strappato pezzetti di buccia a un piccolo arancio.
“E allora? Che cosa possiamo fare?” ha domandato.
Ho messo giù l’ultimo pezzo del mio pane alle ghiande, mi sono avvicinata al comodino, ho preso vari libri dall’ultimo cassetto e glieli ho mostrati.

“Negli ultimi mesi ho letto e studiato questa roba. Sono vecchi, come tutti i libri di questa casa. Ho anche usato il computer di papà, quando lui me lo permetteva, per trovare informazioni più aggiornate.”

Lei li ha guardati perplessa. Tre libri sulla sopravvivenza in luoghi selvaggi e solitari, tre sulle armi da fuoco e il loro uso, due sul pronto soccorso, sulle popolazioni originarie della California, sulle piante naturali e il loro uso e sulle tecniche basilari per sopravvivere: come costruire una capanna di tronchi, come allevare bestiame, coltivare le piante, fare il sapone, eccetera. Joanne ne ha preso uno.
”Che cosa stai facendo?” mi ha chiesto. “Vuoi imparare a vivere fuori di qui?”


“Sto cercando di imparare tutto ciò che può servire a sopravvivere al di là del muro. Penso che tutti dovremmo studiare libri come questi. Dovremmo seppellire il denaro e altre cose necessarie in un punto in cui i ladri non possano trovarli, dovremmo fare dei pacchi d’emergenza, nel caso dovessimo andarcene di qui di corsa. Denaro, cibo, vestiti, fiammiferi, una coperta… Dovremmo stabilire dei punti al di fuori dove incontrarci nel caso venissimo separati. Diavolo, penso un sacco di cose e so già che, per quante ne possa pensare, non saranno mai abbastanza. Ogni volta che esco da qui cerco di immaginare come si vive in un posto senza muri e mi rendo conto di non saperne niente.”

“Allora perché…”


“Voglio sopravvivere.”
Lei mi ha guardato a occhi sgranati. “Intendo imparare tutto ciò che posso finché ne ho la possibilità. Se mi

ritroverò fuori, forse quello che ho imparato mi aiuterà a vivere abbastanza a lungo da imparare altre cose.”

Lei mi ha rivolto un sorriso nervoso.
“Hai letto troppi libri d’avventure.”
Ho aggrottato la fronte. Come raggiungerla?


“Non sto scherzando, Jo.”
Lei ha finito di mangiare l’arancio.


“Che cosa vuoi che dica, allora?”


“Voglio che tu mi prenda sul serio. Mi rendo conto di non sapere molto. Nessuno di noi sa molto, ma possiamo imparare e insegnarci l’un l’altro. Possiamo smettere di negare la realtà nella speranza che scompaia per magia.”

“Non è quello che sto facendo.”
Ho guardato per un momento la pioggia, cercando di calmarmi.
 “Ok, ok. Che cosa stai facendo?”
Lei mi ha guardato a disagio.
“Non sono sicura che possiamo davvero fare qualcosa.”


“Jo!”


“Dimmi una cosa che posso fare senza mettermi nei guai o farmi prendere per pazza. Dimmene una.” Finalmente.

“Hai letto i libri della tua famiglia?”


“Alcuni; non tutti. Non ne vale la pena. Non saranno i libri a salvarci.”

“Niente ci salverà; se non ci salviamo da soli, moriremo. E ora usa l’immaginazione: c’è qualche libro in casa tua che potrebbe aiutarti se ti trovassi bloccata fuori?”

“No.”

“Hai risposto troppo in fretta. Torna a casa e guarda bene e, come ho detto, usa l’immaginazione. Cerca ogni tipo di informazione sulla sopravvivenza, nelle enciclopedie, nelle biografie, qualsiasi cosa ti aiuti a vivere fuori e a difenderti. Perfino alcuni romanzi possono servire.”

Lei mi ha lanciato un’occhiata scettica.

“Forse non avrai mai bisogno di queste informazioni, ma comunque non ti faranno male. Ne saprai solo un po’ più di prima. E allora? A proposito, tu prendi appunti quando leggi?”

Uno sguardo cauto.
“A volte.”


“Leggi questo.”
Le ho passato uno dei libri sulle piante. Questo riguardava gli indiani della California, le piante che conoscevano e come le impiegavano. Un libricino interessante e piacevole, senza niente che potesse spaventarla, minacciarla o incalzarla. L’avevo già fatto abbastanza, direi.

“Prendi appunti” le ho consigliato. “Ti ricorderai meglio quello che hai letto.”

“Continuo a non crederti. Le cose non sono per forza tremende come dici tu.”

Le ho messo il libro in mano.

“Prendi appunti” le ho ripetuto. “Fai attenzione soprattutto alle piante che crescono tra qui e la costa e tra qui e l’Oregon lungo la costa. Le ho segnate.”

“Ho detto che non ti credo.”


“Non m’importa.”
Lei ha abbassato lo sguardo sul libro e passato le mani sulla rilegatura nera di stoffa e cartone.
“Insomma, dobbiamo imparare a mangiare l’erba e a vivere nella boscaglia” ha borbottato.


“Dobbiamo imparare a sopravvivere” ho replicato. “È un bel libro; trattalo bene. Sai quanto tiene ai suoi libri mio padre.”

 

[…]

 

Dio è cambiamento e alla fine prevale. Ma Dio esiste per essere plasmato. Non basta cercare di sopravvivere, muovendoci a tentoni e fingendo che tutto sia come al solito mentre le cose vanno di male in peggio. Se è questa la forma che diamo a Dio, un giorno diventeremo troppo deboli, poveri, affamati e malati per difenderci e verremo spazzati via.

Deve esserci qualcos’altro che possiamo fare, un destino migliore che possiamo forgiare.

Un altro posto. Un altro modo. Qualcosa!

Siamo tutti seme di Dio, ma non di più o di meno di qualsiasi altro aspetto dell’universo. Il seme di Dio è tutto ciò che c’è, tutto ciò che cambia. Il seme della terra è tutto ciò che propaga la vita della terra su nuove terre. L’universo è il seme di Dio.
Solo noi siamo il Seme della terra.
E il destino del Seme della terra
è di mettere radici tra le stelle.

Il seme della terra: I libri dei vivi

 

SABATO 26 APRILE 2025

 

A volte definire una cosa – darle un nome o scoprire il suo nome – ci aiuta a comprenderla. Conoscere il nome di qualcosa e sapere a cosa serve mi fornisce un appiglio al riguardo.

Questa particolare fede, Dio-è-cambiamento, che mi sembra tanto giusta, si chiamerà il Seme della terra. In precedenza ho cercato di darle un nome e non riuscendoci l’ho lasciata senza, ma nessuna delle due cose mi ha soddisfatto. Un nome e uno scopo significa polarizzare.

Be’, oggi ho trovato il nome. L’ho trovato mentre strappavo le erbacce nel giardino sul retro e pensavo come le piante riescano a germogliare portate dal vento, dagli animali, dall’acqua, lontano dalla loro origine. Non hanno la capacità di percorrere da sole grandi distanze, eppure lo fanno. Non devono restare in un punto e attendere di venire spazzate via. Ci sono isole a migliaia di chilometri di distanza – le isole Hawaii, per esempio, o l’isola di Pasqua – dove le piante sono cresciute molto prima che arrivassero gli uomini.

Il seme della terra.

Io sono il seme della terra. Chiunque può esserlo. Credo che un giorno saremo in molti. E penso che dobbiamo maturare sempre più lontano da questo posto morente.

Non ho mai avuto la sensazione di inventare nulla, né il nome, il Seme della terra, né altro. Ho sempre sentito che era tutto reale, una scoperta più che un’invenzione, un’esplorazione più che una creazione. Mi piacerebbe credere a qualcosa di sovrannaturale, come se ricevessi messaggi da Dio, ma tanto non credo in quel tipo di Dio. Tutto ciò che faccio è osservare e prendere appunti, cercando di mettere giù le cose nel modo possente, semplice e diretto in cui le sento. Non riesco mai a farlo, nonostante ci provi. Non sono abbastanza brava come scrittrice, poetessa o quello che avrei bisogno di essere e non so che cosa fare al riguardo. A volte divento frenetica. Sto migliorando, ma troppo lentamente.

Anche con questi problemi di scrittura, ogni volta che capisco qualcosa di più mi chiedo come mai ci ho messo tanto a capirla, come potesse esserci un tempo in cui non comprendevo una cosa così ovvia, reale e vera.

Ecco l’unico rompicapo, paradosso o esempio di ragionamento illogico e circolare, o comunque lo si voglia chiamare:

Perché esiste l’universo? Per plasmare Dio.

Perché esiste Dio?
 Per plasmare l’universo.

Non riesco a sbarazzarmene. Ho cercato di cambiarlo o di lasciarlo perdere, ma proprio non posso. Mi sembra la cosa più vera che abbia mai scritto. È misteriosa e ovvia come ogni altra spiegazione su Dio e l’universo che abbia letto, ma le altre mi sembrano nella migliore delle ipotesi inadeguate.

Tutto il resto del Seme della terra è spiegazione – che cos’è Dio, che cosa fa, chi siamo noi, che cosa dovremmo fare e che cosa non possiamo evitare di fare. Considera questo: che tu sia un essere umano, un insetto, un microbo o una pietra, questo verso è comunque vero:

 

Tu cambi
tutto ciò che tocchi.

Tutto ciò che cambi ti cambia.

L’unica verità duratura è il cambiamento.

Dio
 è cambiamento.

 

Intendo riguardare i miei vecchi diari e raccogliere i versi che ho scritto in un unico volume.

Userò uno dei quaderni che Cory distribuisce ai ragazzi più grandi, ora che nel quartiere ci sono così pochi computer. In quei libri ho scritto un sacco di roba inutile, quando dovevo svolgere i compiti scolastici, ma ora ne farò un uso migliore. Quando gli altri faranno attenzione a ciò che dico, più che alla mia età, userò questi versi per strapparli al marciume del passato e magari spingerli a salvarsi e a costruire un futuro che abbia senso.

Questo se le cose reggono ancora per qualche anno.

 

 

SABATO 7 GIUGNO 2025

 

Sono finalmente riuscita a mettere insieme un piccolo pacco per la sopravvivenza, da portar via nel caso fossi costretta a fuggire. Ho dovuto prendere alcune delle cose che mi servivano dal garage e dall’attico, in modo che nessuno mi accusi di utilizzare roba utile agli altri. Ho raccolto un’accetta e due leggeri pentolini di metallo. In giro c’è un sacco di roba del genere, giacché nessuno butta via qualcosa che prima o poi potrebbe essere utilizzabile o vendibile.

Ho radunato anche i miei risparmi, quasi mille dollari. Se riesco a tenerli e sto molta attenta a che cosa comprare e dove, con quei soldi potrò sfamarmi per due settimane. Mi sono tenuta al corrente dei prezzi, facendo domande a papà quando insieme ad altri uomini del vicinato va a comprare le cose essenziali. I prezzi degli alimentari sono pazzeschi, continuano ad aumentare e tutti si lamentano.

Ho trovato una vecchia borraccia e una bottiglia di plastica per l’acqua e ho deciso di tenerle entrambe pulite e piene. Ho aggiunto fiammiferi, un cambio completo di vestiti, comprese le scarpe, nel caso dovessi scappare di notte, pettine, sapone, spazzolino da denti e dentifricio, assorbenti, carta igienica, bende, spille, ago e filo, alcol, aspirina, un paio di cucchiai e forchette, un apriscatole, il mio coltellino, confezioni di farina di ghiande, frutta secca, noci tostate e semi commestibili, latte in polvere, un po’ di sale e di zucchero, i miei appunti per la sopravvivenza, vari sacchetti di plastica, grandi e piccoli, molti semi da piantare, il mio diario, il quaderno del Seme della terra, il filo per stendere il bucato. Ho ficcato tutto questo in un paio di vecchie federe di cuscino, una dentro l’altra per rafforzarle, le ho arrotolate dentro una coperta e ho legato tutto il pacco con un pezzo del filo da bucato, in modo da poterlo afferrare e correre via senza perdere niente per strada. Ho fatto in modo che questa specie di sacca fosse facile da aprire in cima, così da poter prendere e rimettere via il diario, cambiare l’acqua per mantenerla fresca e ogni tanto cambiare il cibo e controllare i semi. Non voglio certo scoprire che invece di semi da piantare e cibo commestibile ho conservato un ammasso di insetti e vermi.

Vorrei avere anche un’arma. Non ne possiedo una e papà non mi permette di tenerne una delle sue in camera mia. Se mi trovassi nei guai cercherei di prenderne una, ma non è detto che ci riesca. Sarebbe una follia avventurarsi fuori solo con un coltello e un’aria spaventata, ma potrebbe succedere. Oggi papà e Wyatt Talcott ci hanno portati fuori a far pratica di tiro e poi ho cercato di convincere papà a lasciarmi tenere una delle sue armi in camera.

“No” ha detto, sedendosi stanco e impolverato alla scrivania del suo ufficio tutto in disordine. “Non c’è un posto dove la possa tenere al sicuro durante il giorno e i ragazzi entrano ed escono di continuo dalla tua stanza.”

Dopo una breve esitazione, gli ho raccontato della sacca di emergenza che ho messo insieme.

Ha assentito.

“Quando l’hai suggerita mi è sembrata una buona idea, ma pensaci, Lauren: per un rapinatore sarebbe un vero regalo. Denaro, cibo, acqua, un’arma… In genere non trovano quello che vogliono già tutto pronto per loro. Dovremmo rendergli un po’ più difficile mettere le mani su un’arma.”

“È solo una coperta arrotolata, mescolata con altre simili o con le lenzuola ripiegate nel mio armadio” ho ribattuto. “Nessuno la noterà.”

Lui ha scosso la testa.
“No. Le armi restano dove sono.”
E questo è quanto. Io penso che sia preoccupato che le trovino i ragazzi, più dei rapinatori. Ai miei fratelli è stato insegnato come comportarsi con le armi fin da quando sono piccoli, ma Greg ha solo otto anni e Ben nove e papà non vuole mettere tentazioni sulla loro strada. A undici anni, Marcus è più affidabile di molti adulti e Keith a tredici è un punto interrogativo. Non oserebbe rubare un’arma di papà, ma mi ha già derubata, finora solo di piccole cose. Però desidera un’arma come un assetato desidera l’acqua. Vuole essere un adulto. Forse, in effetti, papà ha ragione; detesto la sua decisione, ma probabilmente è giusto così.

“Dove andresti?” gli ho chiesto, cambiando argomento. “Se fossimo costretti ad andarcene di qui, dove ci porteresti?”

Lui ha gonfiato le guance e fatto uscire l’aria.

“Dai vicini o al college” ha risposto. “Là ci sono alloggi temporanei per i dipendenti che hanno dovuto andarsene di casa.”

“E poi?”

“Poi dovremo ricostruire, fortificare e fare tutto il possibile per continuare a vivere al sicuro.”

“Non hai mai pensato di andartene di qui, di dirigerti a nord, dove l’acqua non è un problema così grave e il cibo costa meno?”

Lui ha fissato il vuoto.
“No. Il mio lavoro qui è sicuro, per quanto possa esserlo un lavoro, mentre là non ci sono impieghi. Nella migliore delle ipotesi i nuovi arrivati lavorano per sopravvivere; l’istruzione e l’esperienza non contano nulla, con una simile massa di disperati. Si vendono per un sacco di fagioli e vivono per strada.”

“Ho sentito dire che le cose sono più facili lassù. Nell’Oregon, nello stato di Washington e in Canada.”

“Sono posti chiusi. Se riesci ad arrivare fino all’Oregon, devi entrarci di nascosto, e nello stato di Washington è ancora più difficile. La gente che cerca di entrare in Canada finisce spesso uccisa. Nessuno vuole la spazzatura della California.”

“Ma la gente se ne va. C’è sempre qualcuno che si sposta a nord.”

“Ci provano; sono disperati e non hanno niente da perdere, ma per me è diverso. Questa è casa mia; a parte le tasse, non devo un centesimo a nessuno. Tu e i tuoi fratelli non avete mai conosciuto la fame e Dio volendo non la conoscerete mai.”

Nel mio quaderno del Seme della terra ho scritto: Un albero
 non può crescere all’ombra dei genitori.

È necessario scrivere cose simili? Tutti le conoscono. E comunque, oggi che cosa significano?

Che cosa significa questa in particolare, se vivi in un vicolo cieco circondato da un muro? Che cosa significa, se sei così fortunato da vivere in un vicolo cieco circondato da un muro?

 

LUNEDÌ 16 GIUGNO 2025

Oggi alla radio hanno trasmesso un lungo servizio sulle scoperte fatte sulla Luna da una stazione cosmologica anglo-giapponese. Con la sua vasta dotazione di telescopi e un’attrezzatura spettroscopica tra le più sensibili al mondo, la stazione ha individuato altri pianeti che orbitano intorno alle stelle vicine. Ormai scopre nuovi mondi da una dozzina d’anni e sono emerse le prove che in alcuni di questi possa esserci una forma di vita. Ho ascoltato e letto ogni tipo di informazione al riguardo e ho notato che ormai non si discute più tanto sulla probabilità che alcuni di questi mondi ospitino esseri viventi. L’ambiente scientifico sta accettando l’idea, anche se nessuno sa se la vita fuori dal sistema solare consista solo in qualche miliardo di microbi. La gente avanza ipotesi su una forma di vita intelligente; è divertente pensarci, ma nessuno afferma di aver trovato laggiù qualcuno con cui parlare. Non m’importa. La vita in sé è sufficiente. Trovo la cosa più eccitante, incoraggiante e importante di quanto possa spiegare.

Laggiù esiste la vita. Esistono mondi viventi a pochi anni luce da qui e gli Stati Uniti si tirano indietro dai nostri mondi morti vicini, come la Luna e Marte. Li capisco, ma vorrei che non lo facessero.

Forse sarebbe più facile adattarsi e stabilirsi su un mondo vivente senza un lungo e costoso cordone ombelicale con la Terra. Più facile, ma sempre difficile. Comunque non credo che possa esistere un cordone ombelicale di vari anni luce, e così chi viaggerà verso mondi fuori dal sistema solare dovrà contare solo su se stesso. Sarà lontano da politici e uomini d’affari, dall’economia in fallimento e dall’ecologia distrutta e anche lontano da ogni aiuto. Fuori dall’ombra del mondo dei genitori.

 

SABATO 19 LUGLIO 2025

Domani compirò sedici anni. Solo sedici. Mi sento più vecchia, voglio esserlo, ne ho bisogno. Odio essere una ragazzina. Il tempo si trascina!

Tracy Dunn è scomparsa. Era depressa da quando Amy è stata uccisa e le rare volte che apriva bocca, parlava della morte, diceva di voler morire e di meritarsi di morire. Tutti speravano che superasse il dolore – o il senso di colpa – e riprendesse a vivere, ma forse non poteva. Papà ha parlato varie volte con lei e so che era preoccupato. La sua famiglia di pazzi non le è stata di alcun aiuto; la trattavano come facevano con Amy, ignorandola.

Si dice che ieri sia uscita dal quartiere. Un gruppo di ragazzini Moss e Payne ha detto di averla vista varcare il cancello appena dopo l’uscita da scuola. Da allora nessuno l’ha più vista.

 

DOMENICA 20 LUGLIO 2025

Ecco il regalo di compleanno che mi è venuto in mente stamattina svegliandomi. Solo due righe:

Il destino del Seme della terra è di mettere radici tra le stelle.

È questo che stavo cercando qualche giorno fa, quando la storia della scoperta di nuovi pianeti ha attirato la mia attenzione. È vero, è ovvio.
In questo momento però è quasi impossibile: il mondo è in uno stato pietoso e nemmeno i paesi ricchi se la cavano bene come, secondo la storia, succedeva in passato. Il presidente Donner non è l’unico a chiudere la baracca e a svendere la scienza e i progetti spaziali. Nessuno stimola il genere di esplorazioni che non fornisca un profitto immediato o almeno ne prometta uno in futuro. Oggi non c’è spazio per ciò che sembra superfluo o si può considerare uno spreco. Eppure Il destino del Seme della terra è di mettere radici tra le stelle.

Non so come o quando succederà; c’è tanto da fare prima di poter anche solo cominciare e in fondo perché stupirsene?

C’è sempre tanto da fare prima di poter andare in paradiso.

[…]

 

2026

 

La civiltà è per i gruppi ciò che l’intelligenza è per gli individui. È un modo per combinare l’intelligenza di molti e raggiungere un costante adattamento di gruppo.

Come l’intelligenza, la civiltà può servire bene, servire in modo adeguato, o non servire affatto alla sua funzione di adattamento. Quando la civiltà fallisce, deve disintegrarsi, a meno che non intervengano forze unificatrici interne o esterne.

Il seme della terra: I libri dei vivi

 

 

 

 

 

 

 

 

Sopravvivere non è sufficiente è una serie di uscite che raccoglie brani letterari sulla fine del mondo e la pandemia – dall’aggettivo greco πανδήμιος: “che riguarda tutti” – che costituiscono il punto di partenza di nuove riflessioni sul presente.

Puntate precedenti: la prima con Mary Shelley, Guido Morselli e Emily St. John Mandel; la seconda, con Camille Flammarion, Joanna Russ e Jack London; la terza con Kurt Vonnegut, Colson Whitehead e Naomi Alderman; la quarta con Matthew P. Shiel e H.G.Wells; la quinta con Margaret Atwood.

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