Insieme a Bertram Niessen ragioniamo su come cambia il concetto di privacy nell’orizzonte culturale aperto dall’avvento delle tecnologie digitali.
Il paradosso del tatuaggio: nuove prospettive sul problema della privacy
Flavio Pintarelli: un altro saggio che mi ha colpito è quello sulla fine della privacy (Fine della privacy. Ingenuità e contraddizioni delle politiche di internet, Vito Campanelli). Verso cui ho un sentimento ambivalente: una parte dell’argomentazione mi convince moltissimo.
Quando afferma che l’idea di privacy verrà modificata dalle pratiche della cultura digitale e che molte delle preoccupazioni intorno a cui ragioniamo oggi in futuro avranno meno peso: quello che viene definito “paradosso del tatuaggio”.1
Meno convincente è quando cerca di far lavorare quei concetti. In particolare quando fa l’esempio del colloquio di lavoro (data la disponibilità online di potenziali contenuti “imbarazzanti” sia per il candidato che per il datore di lavoro, il peso di questi contenuti nella valutazione è relativo o ininfluente).
Il punto debole di questo esempio è che si dà per scontato o si sottovaluta che, per quanto possano essere disponibili contenuti “imbarazzanti” per tutti gli attori della relazione, quando ti trovi in una situazione del genere sei già all’interno di una relazione di potere.
Bertram Maria Niessen: premetto che di tutti gli autori Vito è quello che conosco meno personalmente. Conosco il suo lavoro e trovo interessanti le sue prospettive. Non posso rispondere al posto suo, però penso che la sua scelta sia palesemente provocatoria. Lo si legge tra le righe, ma il suo è il tentativo di mostrare un paradosso.
Sono d’accordo con quello che dici sul fatto che i rapporti di potere entro cui si iscrive un fatto come questo (la ridefinizione dei confini della privacy, ndr) chiaramente non sono neutri, anzi sono a discapito dell’utente così come viene tratteggiato nel saggio.
Allo stesso tempo credo che ci sia un grande merito in questo lavoro, perché è un tema su cui fin ora si è scritto pochissimo. Pur esistendo tonnellate di paper sui rischi che corre la privacy, molto poco si è fatto per rimettere in discussione il concetto di privacy oltre l’inquadramento di un attributo che è sostanzialmente nato con la borghesia e che chi fa riferimento a un certo tipo di pensiero tende sempre ad associare alla biopolitica e al biopotere.
Questo va benissimo e siamo tutti d’accordo che siano strumenti utili per pensare alcune cose. Però diciamo che c’è il bisogno di provare a usare altri paradigmi per affrontare la questione. È un’esigenza avvertita da me personalmente e anche da altri, e che il saggio esprime.
Foucault da questo punto di vista è un po’ come Marx, ha sempre ragione. In qualche modo è metateorico, e la lettura della privacy che troviamo in questo saggio va in una direzione opposta a quella che faceva Foucault. Anche se Foucault è un po’ il grande assente, dato che non viene nemmeno citato se non sbaglio.
F. P.: ti ho fatto questa domanda perché vedevo nel saggio un certo squilibrio. Sono convinto anche io che il concetto di privacy bene o male verrà ridimensionato nei suoi termini. Perché non esistono concetti validi per tutte le stagioni.
Non possiamo sempre appellarci a concetti “datati”, questi vanno resi flessibili, adattati ai cambiamenti che interessano la società e il mondo. C’era molta forza provocatoria ma, dall’altra parte mancava qualcosa.
B. M. N.: sono d’accordo sul fatto che i concetti vadano rivisti col tempo. All’interno del discorso sulla privacy esistono varie contrapposizioni. Quelli di Wired hanno posizioni opposte a Morozov, ad esempio; netentusiasti vs netpessimisti. O ancora, su posizioni più raffinate, un dibattito come quello tra il pensiero di Geert Lovink e quello di Michel Bauweens.
A loro avevo fatto un’intervista incrociata per Mcd #68 , una rivista di arte elettronica per la quale ho curato una monografia sull’open society. Geert Lovink, che è ormai una pietra miliare degli studi sul web, racconta che a un certo punto ha ritirato ogni sua presenza digitale. Bauweens al contrario dice che non gli importa di sovraesporsi perché in realtà questa situazione ha più benefici che non aspetti negativi.
Credo che il conto di questi dibattiti si farà fra qualche anno, adesso è ancora difficile.
[Clicca qui per leggere l’intervista completa]
Note
- Si definisce così il processo che ha portato a cancellare le connotazioni criminali e devianti della pratica del tatuaggio nelle società occidentali. Il fatto che in molti abbiano incominciato a tatuarsi per motivi ornamentali ha pian piano modificato la percezione del fenomeno, rendendolo accettato.