Quanto segue è il racconto del loro lavoro, che verrà proiettato in anteprima sabato 2 marzo alla cineteca Lumiere di Bologna, nell’ambito della rassegna “Visioni Italiane”*.
Le placche terrestri sono sempre in movimento. Si spostano, si allontanano, frizionano una contro l’altra, si scontrano… Nel fare questi movimenti si caricano di energia. Un’energia che prima o poi arrivano a liberare. Bene, quell’energia che si libera è il terremoto.
Andando nel cratere dell’Emilia colpita dal sisma, ci siamo subito accorte che le tensioni di quel territorio non erano solo di natura geologica. Così come il terremoto ha portato a galla le acque di liquefazione presenti sotto alla superficie della pianura emiliana, l’emergenza e la necessità di pensare alla ricostruzione hanno messo in luce le contraddizioni di una società in rapida trasformazione.
Armate di telecamera, penna e registratore, abbiamo deciso di provare a raccogliere gli innumerevoli stimoli emessi da quel territorio, ma subito ci siamo rese conto che per raccontarli era necessario individuare un filone narrativo che facesse da traccia per tutti gli altri.
All’inizio ci siamo lasciate affascinare. Nella Bassa era un susseguirsi di chiese e campanili mutilati, ridotti a macerie. Si è detto che era solo l’aspetto più visibile della distruzione del terremoto, e che i problemi veri delle persone erano altri. “Prima dei campanili, le persone!”, si sentiva dire. E molte volte a ragione. Pensiamo al signore di 70 anni che ha dovuto trascorrere mesi in roulotte, perché il campanile pericolante rischiava di cadere sulla sua casa, perfettamente agibile. O ai tantissimi commercianti che hanno dovuto tenere chiusi i negozi perché si trovavano nelle zone rosse dei centri storici.
Siamo tornate nella Bassa qualche mese più tardi e ci siamo imbattute in una situazione piuttosto diversa. Molti nervosismi si erano placati. L’uomo, si sa, si abitua in fretta. Abbiamo incontrato una nuova quotidianità. Come interpretare questo nuovo vivere? Abbiamo avuto bisogno di una chiave di lettura, di un punto di vista concreto attraverso cui relazionarci al territorio e alle persone. Di nuovo, abbiamo guardato ai campanili, alle chiese, ai palazzi storici, alle cascine… insomma, al patrimonio storico artistico, pesantemente danneggiato e destinato a non tornare com’era.
Per età, materiali di costruzione e forma strutturale, gli edifici di culto sono tra i più fragili impianti architettonici italiani. I numeri delle Belle Arti dicono che il terremoto che ha colpito l’Emilia lo scorso maggio abbia danneggiato oltre 2000 edifici storici, tra cui 515 chiese, per un danno stimato intorno ai 2 miliardi di euro. Ma i soldi per restaurare il patrimonio artistico e storico non ci sono. E così, quantomeno per ora, il destino di questi edifici, sembra quello dell’inagibilità a tempo indeterminato.
Lo dice chiaramente nel nostro documentario la Direttrice regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici: non si può riavvolgere la pellicola e tornare indietro, come se si fosse trattato di un brutto film. Il terremoto, specialmente in questi tempi di crisi economica, costringe a trovare altre soluzioni.
Ri-costruire significa costruire di nuovo. Quindi ri-pensare i luoghi e i bisogni di un territorio, per progettare un futuro per la Bassa. È in corso ora, in Emilia, questo processo. Lentamente, perché i soldi sono pochi e la burocrazia è tanta. Sin dalla prima scossa del 20 maggio 2012, i media ci hanno parlato degli emiliani come di persone che “si-rimboccano-le-maniche” e che hanno “voglia-di-fare”. Siamo andate a vedere cosa si sta muovendo sul territorio a livello di partecipazione.
Ci è venuta incontro la rete. Navigando sui social network, ci siamo accorte che erano sempre di più i gruppi informali di “terremotati” che avevano aperto spazi virtuali di discussione sui temi che li riguardavano – dai risarcimenti, alle tasse, alla ricostruzione. Grazie alla blogosfera abbiamo appreso dell’esistenza di un blog chiamato “Quale ricostruzione e futuro per la bassa?”. Il punto interrogativo finale ci ha attratte: queste persone si stavano ponendo la stessa nostra domanda. Abbiamo conosciuto così l’archeologo Paolo Campagnoli e l’architetto Fabio Reggiani, che sono state preziose guide sul territorio, nonché un po’ le voci narranti del nostro documentario.
Ci siamo accorte che sul territorio sono presenti molte idee per il futuro della Bassa. I media mainstream, se parlano del terremoto in Emilia, lo fanno solo in termini di tasse. Una delle maggiori preoccupazioni delle persone, in effetti, riguarda le mancate esenzioni fiscali – e giustamente: l’Imu lo si paga anche sulla casa crollata. Ma accanto all’esasperazione e alla sfiducia nella politica – non a caso, nelle zone del cratere il Movimento 5 Stelle ha ottenuto risultati elettorali significativi anche rispetto al panorama emiliano – abbiamo colto anche un altro spirito, più costruttivo. Qualcuno dovrebbe dare voce al territorio, coinvolgerlo nel processo di partecipazione.
Abbiamo sentito l’esigenza di interpellare le scienze umane. Conoscevamo l’antropologo Fabio Carnelli, uno degli autori del libro “Sismografie. Ritornare all’Aquila mille giorni dopo il sisma”. Grazie all’antropologia, abbiamo trovato le parole: “il terremoto spezza il legame tra persone e luoghi”; “dopo un terremoto non bisogna costruire solo gli edifici, ma il paesaggio culturale, cioè tutti quei luoghi in cui sono racchiuse le abitudini, la storia e la memoria di una comunità”. Ma, soprattutto, abbiamo constatato che, come ha spiegato la geografa Lina Calandra, il terremoto non fa altro che accelerare i processi sociali già in atto. Le scienze umane lo dicono bene, ma ancor meglio ce l’ha spiegato Paolo Campagnoli con una metafora: “se un anziano si becca una polmonite, forse fa più fatica a riprendersi rispetto a un giovane”. Il sisma ha scoperchiato e acuito i problemi che erano già presenti sul territorio ben prima che le terra cominciasse a tremare.
I centri storici dei paesi della Bassa si stavano già svuotando. Molti capannoni industriali costruiti su uno dei terreni più fertili d’Europa erano già inutilizzati. Che futuro hanno i giovani su un territorio che non è più capace di dare lavoro, dove non ci sono più neanche le scuole, gli ospedali, i servizi essenziali? Con la crisi che ha colpito anche la produzione industriale, forse la vocazione agricola potrebbe rappresentare una risposta? O ha ragione chi ha deciso di continuare ad investire nello sviluppo di infrastrutture, come la Cispadana, l’autostrada a quattro corsie, che attraverserà la Bassa emiliana? Qual è il futuro di queste terre? E come le persone che queste terre abitano possono diventare partecipi nell’immaginare e determinare quello che sarà?
Il terremoto potrebbe dare il colpo di grazia. Oppure, la ricostruzione potrebbe rappresentare un’opportunità per i cittadini per riappropriarsi del proprio territorio. Viaggiando per la Bassa abbiamo visto che i problemi sono tanti, ma che sono tante anche le risorse, le idee e le possibilità. Nel nostro video-documentario abbiamo cercato di raccontare tutto questo attraverso le voci delle persone che abbiamo incontrato. L’abbiamo intitolato “Terra in moto” perché abbiamo voluto raccontare cosa si muove all’ombra dei campanili e delle chiese diroccate.
La drammaticità del terremoto ci impedisce di dire a cuor leggero che esso rappresenti un’opportunità. Ma come scrivono i Wu Ming, “Ti riappropri degli spazi quando i tempi saltano e riprendi fiato, grazie allo zoccolo scagliato negli ingranaggi. E’ tragico che a gettare lo zoccolo sia stato un terremoto, ma la tragedia non deve ottenebrarci, renderci ciechi di fronte agli esempi”.
Note
[*] Anna Pellizzone è geologa, Cora Ranci si occupa di storia politica. Entrambe dottorande all’università, ma con le antenne ben puntate sul mondo che le circonda. È la passione comune per il giornalismo – quello vero, di approfondimento – che le ha spinte a intrecciare i loro percorsi nell’Emilia post sisma. Ne è risultato un video documentario, prodotto dal basso tramite la piattaforma di crowdfundingpubblicobene.it