Share a Coke with RENZI

Sulla condivisione dentro e fuori dal web

Lo scorso 12 ottobre Matteo Renzi ha aperto ufficialmente la sua campagna elettorale per le primarie del PD con un discorso alla Fiera del Levante di Bari. Oltre ad aver riproposto alcuni temi ormai classici della sua retorica politica e ad aver introdotto temi più ostici, quale il suo no all’amnistia e indulto, Renzi ha indicato nella notissima nuova campagna pubblicitaria della Coca-cola (quella dei nomi per intenderci), un modello possibile per il nuovo PD.

Poca roba, si potrebbe pensare. Eppure laRepubblica.it, tra gli altri, con un servizio di Filippo Ceccarelli, ha posto l’accento su questo episodio, definendolo “qualcosa di enorme”.

Mi trovo parzialmente d’accordo con Ceccarelli: questa enormità infatti ha a che fare tanto con il lungimirante (e vedremo tra un po’ perché) riferimento renziano alle strategie marketing della Coca-Cola, quanto con l’ eclatante incapacità – ancora una volta – di saper leggere il nostro presente, di saper vedere come si stia riconfigurando la benjaminiana “estetizzazione della politica” oggi, nel nostro tempo, che è senza dubbio quello di intensificate prassi digitali partecipate che ci stanno cambiando radicalmente.

Nel suo riferimento alla nuova strategia marketing di Coca-Cola Renzi mostra una grande capacità di comprensione e appropriazione dell’attuale intonazione emotiva collettiva. E non per le motivazioni che adduce subito dopo, a cui secondo me non crede neanche lui (“il nome sulla lattina ci sottrae ad un anonimato dilagante”).

No, come ho avuto già modo di sostenere in un articolo dal titolo “Il muro rosso di Berlino”, comparso sul numero di Ottobre di “Domus”, la campagna europea “Share a Coke With…” fa proprie e rimedia le due componenti principali della configurazione attuale del social web, ossia la condivisione e la personalizzazione.

Esaminiamole brevemente. La condivisione è il motore della socialità online: che si tratti di istantanee di personalissima vita quotidiana o di breaking news, ciò che oggi si produce è l’intensificazione e l’ampliamento – ma come vedremo tra un po’ anche il depotenziamento – del concetto e dell’azione stessa del condividere, che viaggia essenzialmente attraverso la reciprocità di viralità e ludicità. Questa condivisione ludica e virale sembra dar vita ad una sorta di comunità globale, potenzialmente in continua espansione, in cui i componenti/utenti si raccolgono per lo più intorno a tematiche di interesse comune, che funzionano in maniera trasversale alla comunità stessa.

Ma siamo sicuri che la condivisione sia davvero tale? A ben vedere, infatti questa condivisione è regolata da un potentissimo principio, che è quello della personalizzazione. Il bel libro di Eli Priser, Il Filtro. Quello che internet ci nasconde, descrive accuratamente questo movimento di contrazione e canalizzazione delle attività interattive online: il principio della rilevanza e dei filtri determina in maniera decisiva il tipo di informazioni a cui siamo esposti. Dai motori di ricerca ai social network riceviamo le informazioni che in un certo senso – secondo l’algoritmo – vogliamo ricevere, in base cioè al nostro comportamento in rete, in base agli amici che seguiamo, alla pagine che leggiamo, ai siti che più frequentemente visitiamo. Il flusso di informazioni e conoscenze in cui la rete ci immerge, forse per evitare di sommergerci, è oggi tendenzialmente così regolato.

Credo che questa piccolo excursus su condivisione e personalizzazione, a partire dalla pubblicità della Coca-Cola, possa dirci tre cose importanti:

1.  La prima riguarda il venir meno della distinzione tra il cosiddetto mondo reale e quello virtuale (su questo rimando ad alcuni interventi di Pietro Montani). La pubblicità della Coca-Cola, nel suo epifenomeno più eclatante del muro rosso della Humboldt Box di Berlino, è la prova che, a partire dalla diffusione massiccia dei sistemi mobile fino alla realtà aumentata, il mondo che sta fuori – per usare un espressione di Calvino – è sempre più contaminato e ibridato, con quello che sta dentro (la rete), il quale a sua volta è regolato essenzialmente dalle dinamiche sociali partecipative. Ma cosa c’entra tutto ciò con Renzi e la politica italiana?

2.  C’entra – e veniamo alla seconda considerazione – perché emulare la strategia della Coca-cola non vuol dire uscire dall’anonimato, così come ha sostenuto il sindaco di Firenze. Ma vuol dire (è questa la tesi esposta anche da Zygmut Bauman, nel suo recente intervento al Meet the Media Guru) far parte di un mondo che non conosce più diversità, che non incontra l’imprevedibile, e che risponde alle nostre richieste esattamente come noi ci aspettiamo che faccia.

Questa chiusura a partire dalla rete (e qui il termine riacquista di colpo il suo significato originario, ciò che intrappola) è già ampiamente all’opera nello scenario politico italiano: le posizioni dichiaratamente strumentali a fini elettorali, su immigrazione e indulto, espresse recentemente da Beppe Grillo vanno in quella direzione.

Mi sembra che Renzi si muova in questo stesso orizzonte: non dobbiamo dialogare, attraverso un pensiero critico, dobbiamo solo seguire il flusso. E se è vero che questo è un sistema elettorale vecchio quanto il mondo, è altrettanto vero che oggi il mondo sta cambiando e l’opinione si diffonde con meccanismi inediti, che possono dare avvio tanto a situazioni imprevedibili ed insperate (vedi le famigerate primavere arabe), tanto al dilagare del populismo mascherato da massima evoluzione del sistema democratico.

3.  Ultima considerazione: quello che stiamo vivendo è lo stato aggiornato di quella che Benjamin aveva definito estetizzazione della politica. E vengo così al commento di Ceccarelli. Il giornalista di Repubblica giustamente vede nel riferimento di Renzi al marketing della Coca-Cola un accadimento enorme e la dimostrazione di un vuoto culturale della sinistra “rispetto alla potenza dei consumi”. Tuttavia quello di Renzi non  è un vuoto culturale, secondo me, ma un’abile mossa politica: non basta più andare da Maria De Filippi. Il vero vuoto culturale, allora, è quello di ragionare ancora nei termini di un’ideologia post-moderna e in Italia antiberlusconiana che crede di dover difendere cittadini dal diventare meri ed inconsapevoli consumatori.

Quelli della Coca-Cola non sono più tanto o solo consumatori, ma sono utenti, cioè produttori di contenuti e partecipazione online. Che ci piaccia o meno, ma soprattutto che ci spaventi o meno, il problema politico più urgente di quest’Italia non è più lo spettacolo estetizzante del Caimano, le sue doti comunicative, le sue gigantografie, le sue pubblicità su Mediaset, le sue barzellette e le sue triviali uscite internazionali. No, il problema oggi dell’Italia è quella dello step successivo nell’evoluzione di questo cambiamento all’interno delle dinamiche del politico. Il discorso politico non può fare a meno della sua matrice estetizzante (componente imprescindibile in qualsiasi competizione elettorale, dalla elezione di Obama a quella di Renzi). Oggi, però, estetizzazione della politica non significa soltanto esporsi nella propria persona ed utilizzare strategie comunicative che risultano più o meno attraenti, a seconda dell’elettorato a cui ci si rivolge; significa intercettare, assecondare e cavalcare i flussi emotivi inelaborati che oggi essenzialmente nella rete e attraverso la rete si sviluppano.

Non è più, drammaticamente, un problema di ciò che consumiamo, ma di ciò che noi stessi produciamo in quanto utenti.

Ben inteso: chi scrive è un’entusiasta del web, tuttavia credo che esso richieda coraggio e una buona dose di creatività per far sì che spazi di elaborazione, di pensiero critico, di confronto, di rimediazione emergano. Non si può pensare un mondo che non stia in rete; si deve avere il coraggio di pianificare, di mettere in campo politiche, nel senso di strategie che riguardano la polis, per un’interattività che tra il dentro e il fuori della rete contribuisca alla costituzione di una comunità eterogenea e dialogante, partecipe nella sua pluralità. Oggi questa è un’emergenza.

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