Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi.
Oggi pomeriggio, alle 17.30, presso l’Aula Magna del Rettorato dell’Università di Siena (Via Banchi di Sotto, 55) si terrà un incontro sul libro Sguardi incrociati. Cinema, testimonianza, memoria nel lavoro teorico di Marco Dinoi (Fondazione dello Spettacolo, Roma 2011). All’incontro parteciperanno Alessandro Cannamela, Christian Uva, Roberto Venuti e Luca Venzi.
L’evento rientra nella programmazione della rassegna LUNEDì LIBRI
Sguardi incrociati raccoglie gli interventi del seminario “Lo sguardo e l’evento. Letture incrociate”, tenutosi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena tra gennaio e maggio 2009 e dedicato alle riflessioni che Marco Dinoi ha raccolto nelle pagine del suo ultimo lavoro: Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema, pubblicato postumo nel maggio 2008 per l’editore Le Lettere di Firenze.
Di seguito pubblichiamo la premessa del volume.
Premessa
Alcuni libri si prolungano, si allargano, sprofondano e stillano fuori dai margini, talvolta continuano a scriversi anche senza il loro autore, tessendo una trama di relazioni infinitamente complessa. Altri libri cercano di prendersene cura, di ricostruirne e dilatarne i percorsi di senso, sperimentando nuovi possibili innesti del pensiero e della teoria. Ogni libro parla in qualche modo di altri libri. Non è una deriva, ma un punto da cui partire per muovere altrove. Non si scrive del mondo senza un bagaglio fatto di testi letti e riletti, immagini viste e subite. Allo stesso modo, non si squarcia il cliché, non si costituiscono le condizioni per immaginare un altro mondo senza riprendere e problematizzare, comprendere, le visioni, le chiavi di lettura esposte ed espresse in altri libri.
Questo che presentiamo è fin dal titolo un libro che parla di un altro libro. Da lì si parte e lì continuamente si torna, senza mai perdere l’intenzione di andare altrove, di raccogliere ciò che è andato perduto, il ricordo di un incontro, e rimetterlo in causa. Si tratta degli Atti del seminario “Lo sguardo e l’evento. Letture incrociate”, tenutosi presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Siena tra gennaio e maggio del 2009. Mesi dedicati alle riflessioni che Marco Dinoi, docente di “Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico” e “Metodologia della critica cinematografica” presso l’Ateneo senese, ha raccolto nelle pagine del suo ultimo lavoro: Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema, pubblicato postumo nel maggio 2008 per l’editore Le Lettere di Firenze. Un libro il cui interesse principale consiste nell’articolazione di un discorso sulla funzione testimoniale dell’immagine nell’epoca contemporanea. A partire da una delle sequenze televisive più traumatiche del nostro tempo, quella del crollo delle Twin Towers, Dinoi pone le basi per una teoria in cui le immagini, pur avendo perduto le loro certezze ontologiche, non rinuncino a testimoniare ciò che rappresentano. Lo sguardo e l’eventorilancia dunque i termini di una questione tanto problematica quanto attuale, quella del rapporto tra realtà e rappresentazione mediatica. Un’indagine che Dinoi conduce facendo lavorare gli uni sugli altri nodi teorici provenienti da ambiti disciplinari diversi – filosofia, semiotica, antropologia, teoria del cinema e dell’arte –, la cui interazione genera un discorso stratificato che può manifestare tutta la sua complessità ed efficacia soltanto alla luce di un lavoro di “lettura incrociata”. È in questo spirito che è stato concepito il seminario, mettendo il libro di Dinoi all’incrocio tra prospettive e angolature molteplici capaci di prolungare le riflessioni in esso contenute; piuttosto che limitarsi a una semplice raccolta di saggi, questo volume riflette quelle pratiche di intelligenza collettiva che caratterizzano oggi le più proficue esperienze in ambito accademico. L’immagine audiovisiva ha le sue caratteristiche ma, come confermano i saggi qui pubblicati, tali caratteristiche si lasciano cogliere mediante un “sincretismo metodologico” capace di far risaltare i procedimenti, di esplicitare i passaggi, di tracciare confini attraverso cui ogni narrazione cinematografica costruisce effetti di senso peculiari, immagine dopo immagine. La struttura e l’indice del volume intendono fornire al lettore una mappa, o quantomeno una serie di percorsi possibili per destreggiarsi nella fitta tessitura teorica e analitica che caratterizza il lavoro di Dinoi.
Il saggio di Pietro Montani ha una funzione introduttiva. Il filosofo oppone l’esperienza dell’immagine normalizzata e anestetizzata dal sistema dei media all’impegno etico e testimoniale del cinema, in quanto luogo in cui è possibile indagare le capacità fenomenologiche dello sguardo e rielaborare i rapporti tra gli eventi e la loro rappresentazione. Montani insiste sull’urgenza delle riflessioni elaborate da Dinoi in un momento storico in cui si rende necessaria un’assunzione di responsabilità da parte di ogni spettatore.
La prima parte del volume presenta un inquadramento teorico. A partire dagli eventi dell’11 settembre 2001 si apre una riflessione sulle diverse funzioni che televisione e cinema svolgono nella costruzione di uno spazio del reale e nei processi di elaborazione della memoria collettiva. Il saggio di Luca Venzi affronta le nozioni di visivo e di immagine (visuel e image), facendo dialogare il testo di Dinoi con il pensiero del critico e teorico francese Serge Daney. Il lavoro di Maria Cristina Addis riprende il concetto di “testualizzazione del reale”, introdotto da Maurizio Grande e sviluppato da Dinoi, per indagarne i presupposti semiotici. Stefano Jacoviello apre invece il suo saggio condividendo le domande teoriche che stanno alla base di Lo sguardo e l’evento: «in che modo l’immagine offre e affida a chi la guarda il ruolo di testimone? A quali condizioni si dà come traccia, reperto, oggetto di archivio, funzione della memoria?». Le risposte maturate da Dinoi sono quindi ripensate e sviluppate in un confronto con le più recenti ricerche nel campo dell’estetica contemporanea.
La seconda parte raccoglie gli interventi in cui l’analisi del film costituisce occasione di sviluppo ed elaborazione della teoria. Piuttosto che applicare un preciso modello teorico all’oggetto, gli autori dei saggi esplicitano le operazioni teoriche implicate nell’oggetto stesso, praticando linee di ricerca dal carattere mobile che consentono un attraversamento, il più equilibrato possibile, dell’opera cinematografica.
Il saggio di Angela Mengoni analizza il funzionamento del dispositivo traumatico all’interno di Waltz with Bashir (2008; Valzer con Bashir) di Ari Folman. Un film che ricostruisce la prima guerra in Libano affidandosi quasi interamente alla tecnica del disegno animato.È solo nel finale che alle animazioni vengono affiancate immagini prelevate dal repertorio televisivo. Il montaggio di elementi così eterogenei spinge l’autrice a interrogarsi sull’efficacia testimoniale assunta dalle immagini televisive allorché inserite in un contesto finzionale.
I saggi di Gabriele Biotti e di Edoardo Becattini affrontano un tema attuale negli studi sull’audiovisivo: l’archivio. Biotti analizza Level Five (1996; Id.) di Chris Marker, individuando nel montaggio tra immagini elettronicamente manipolate i termini di una riflessione sulla condizione spettatoriale contemporanea e sui rapporti tra la Storia e i mezzi per rappresentarla.
L’analisi condotta da Becattini evidenzia il nesso tra ripetizione e manipolazione in Redacted (2007; Id.). Il film di Brian De Palma riproduce i modelli adottati per rappresentare un evento bellico realmente accaduto attraverso un montaggio che offre allo spettatore una continua proliferazione del punto di vista e dei formati dell’immagine digitale. Simone Ghelli muove le proprie osservazioni sull’evoluzione e sul destino della teoria della settima arte a partire dal cinema americano di genere catastrofista “post 11 settembre”. L’attacco agli Stati Uniti, il pericolo generato dall’alterità, l’ipertrofia visiva prodotta dagli apparati di cattura e diffusione delle immagini sono alcuni dei temi e delle preoccupazioni che Ghelli rintraccia in un film come Cloverfield (2008; Id.) di Matt Reeves. Chiude la seconda parte del volume il saggio di Clemens-Carl Härle che riprende e prosegue alcuni spunti di Dinoi suDogville (2003; Id.) di Lars von Trier. L’interesse dell’autore si concentra sul dispositivo formale del film che, coniugando le tecniche cinematografiche a quelle teatrali, opera una decostruzione dello spazio scenico, dei gesti e dei comportamenti attoriali. È questo modello rappresentativo – che Härle definisce «schematico» – a consentire l’emergere del lato oscuro di una «comunità posticcia».
La terza sezione raccoglie lavori di analisi e riflessioni capaci di incrociare il pensiero di Marco Dinoi con molteplici paradigmi teorici. Paolo Bertetti mette in luce le strategie di risemantizzazione dell’immagine nella recente produzione cinematografica di Werner Herzog concentrando la propria attenzione su The Wild Blue Yonder (2005;L’ignoto spazio profondo). Un film capace di tenere insieme gli effetti di finzionalizzazione delle immagini (il racconto fantascientifico) con il massimo grado di «fattualità» (la documentazione degli eventi e il reportage scientifico). Agostino Arciuolo affronta invece un altro film del cineasta tedesco, Land des Schweigens und der Dunkelheit (1971; Il paese del silenzio e dell’oscurità), opera documentaria che racconta la vita dei sordociechi e le loro possibilità di esplorazione del mondo. È attraverso questo esempio limite che si arriva a pensare il cinema come strumento di educazione alla visione.
Il lavoro di Vincenzo Cascone si sviluppa a partire dal concetto di “modernità cinematografica” per analizzare la struttura narrativa e lo spaesamento spettatoriale in Fight Club(1999; Id.) di David Fincher.
I modelli di rappresentazione dell’uomo di potere vengono affrontati da Flavio Pintarelli attraverso una serie di parallelismi tra Mr. Arkadin (1955; Rapporto confidenziale) di Orson Welles e Il Divo (2008) di Paolo Sorrentino. Chiude la sezione il saggio di Nicola Perugini che, utilizzando la lente dell’antropologia politica, riflette sull’iconografia “neo-orientalista” prodotta dal cinema americano precedente all’attacco terroristico dell’11 settembre e sulla sua centralità nella costruzione cognitiva del nemico “arabo-islamico”.
Il volume si conclude con il saggio di Marco Dinoi dal titolo Lo sguardo perduto (e ritrovato). L’occhio e il mondo / L’immagine e il simulacro, pubblicato per la prima volta nel 2007 e qui riproposto con un corredo di riferimenti iconografici. Un testo che, prendendo le mosse da una lezione rivolta ad alcuni giovani artisti in occasione del cantiere d’arte La fotografia come arte / L’arte come fotografia presso la Fondazione “Il Giardino di Daniel Spoerri”, affronta una riflessione generale sulla funzione testimoniale dell’immagine che prescinde da qualsiasi specificità di genere o formato: tanto il cinema di finzione quanto il documentario, tanto la fotografia d’arte quanto il reportage possono farsi carico di rigenerare nello spettatore una coscienza critica del mondo. Si tratta di un testo che nella sua brevità ed efficacia comunicativa, ma anche nell’eterogeneità dei riferimenti bibliografici e negli “azzardi” teorici che propone, sembra poter restituire l’energia e la qualità del lavoro che si svolgeva nella fucina di Lo sguardo e l’evento. Non sarà difficile per quanti hanno preso parte ai corsi di Marco Dinoi, che si tenevano nella Sala Cinema del Palazzo di Fieravecchia, ritrovare esposti in forma organica, in questo testo, gli appunti sparsi di una lezione, ma anche una traccia della sua passione per l’insegnamento e del suo rigore nella ricerca. Il lettore di Lo sguardo e l’evento potrà invece intendere il risuonare di numerose eco, ma anche approfondire alcune idee di Dinoi non confluite nella sua monografia.
In questo senso, spicca il lavoro di montaggio comparativo e differenziale tra la fotografia di Joe Rosenthal scattata a Iwo Jima nel 1945 e quella di Thomas Franklin, nella New York dell’immediato post 11 settembre 2001. Al di là della filiazione diretta tra le due immagini, oltre i termini di un esercizio d’analisi che pensa di esaurire la propria funzione nel semplice reperimento delle fonti iconografiche, Dinoi ci invita a considerare l’archivio d’immagini del passato come un doppiofondo continuamente convocabile in seno al presente. In un mondo saturato di immagini, compito comune allo studioso e all’artista – e il pensiero va subito alle pagine di Lo sguardo e l’evento nelle quali Clint Eastwood, col suo lavoro di rielaborazione della fotografia di Rosenthal in Flags of Our Fathers (2006; Id.), diviene un maestro di montaggio – è la costruzione di mappe iconografiche, per arrivare a considerare criticamente la permanenza e l’efficacia dei modelli del passato all’interno delle rappresentazioni mediatiche degli eventi storici e della cronaca.
È a partire da un continuo esercizio di analisi delle strategie di composizione audiovisiva presenti all’interno dei film – considerando i cineasti, i fotografi e più genericamente gli artisti in quanto maestri e compagni di viaggio – che sembra svilupparsi e rendersi pienamente comprensibile la proposta didattica e metodologica di Dinoi. Il film, l’oggetto d’arte, l’immagine, laddove tale, se osservata “da vicino” può indicarci ancora una strada, ancora da battere.
Raccogliendo in volume le voci espresse in un seminario – voci di allievi e colleghi di Marco Dinoi –, la ripubblicazione di Lo sguardo perduto (e ritrovato) assume dunque particolare importanza proprio per la sua natura didattica, tesa a fornire un quadro ampio entro cui poter comprendere, interpretare e produrre immagini.
Siena, Aprile 2011
Dimitri Chimenti, Massimiliano Coviello, Francesco Zucconi