Il biennio 2011/2012 è stato un momento di svolta nella storia della scuola pubblica italiana.
La Riforma Gelmini ha portato a termine un processo di smantellamento e riduzione del ruolo della scuola pubblica nella società italiana, cancellando (attraverso lo strumento dei tagli alla spesa) la dignità di chi fa scuola (in sequenza orizzontale: gli insegnanti, gli studenti e gli amministrativi). Infine, la Riforma ha rivoltato i vecchi programmi nazionali, sostituendoli con “efficaci” e “rapide” indicazioni nazionali.
A coronare l’inizio di questo “nuovo corso” della scuola pubblica italiana, è stato varato il sistema di reclutamento degli insegnanti di ogni ordine e grado per il prossimo triennio, noto come TIROCINIO FORMATIVO ATTIVO. Il lavoro culturale ha deciso di organizzare un focus che getti uno sguardo sulle macerie della scuola (in particolare la scuola secondaria, quella che per contiguità fonda e dà significato al senso della didattica nell’Università). L’obiettivo è di individuare, prendendo atto dell’assenza di una politica e di un progetto per l’istruzione, le possibilità di intervento, gli spazi di costituzione di una didattica improntata al superamento dei vecchi programmi ministeriali, che si metta in dialogo con la tradizionale pluralità di approcci pedagogici che (in alcuni casi) la scuola pubblica italiana ha sperimentato dal ‘45 a oggi ma che allo stesso tempo permetta di dar corpo a una scuola oltre il dualismo pubblico/privato degli ultimi anni. In sintesi si tratta di approfondire con uno sguardo critico sullo sfacelo contemporaneo il senso dell’affermazione “la scuola pubblica è espressione dei beni comuni”. Sia chiaro che tale affermazione comporta di per sé l’approfondimento dell’aspetto relazionale e qualitativo di ciò che le battaglie referendarie hanno individuato come “beni comuni”: la scuola e l’istruzione devono essere oggetto di difesa dall’assalto neoliberista in quanto tali, in quanto cioè mezzi di trasmissione dei saperi nella e dalla società, o in quanto espressione di un più ampio sistema di valori e di relazioni attraverso cui si costruisce attivamente la democrazia e la partecipazione? Tale domanda, a guardar bene, si articola in una serie di interrogativi che riguardano ancor più da vicino la critica all’orientamento che la Riforma Gelmini ha imposto alla scuola pubblica italiana.
In altre parole, cos’è il lavoro degli insegnanti precari e in che senso (se ciò avviene) il precariato dischiude opportunità emancipatorie? Com’è possibile ridare alla scuola una condizione di dignità? Quali margini di azione si presentano di fronte al “nuovo corso”? Il focus cercherà risposte a queste domande e porrà nuovi stimoli attraverso tre livelli di lettura che le nuove indicazioni nazionali e le future modalità di reclutamento:
1. Lo smascheramento della logica analitico-finanziaria dei test d’accesso e di valutazione (le fantomatiche prove INVALSI) con i quali, in questi anni di furore liberista, centrodestra e centrosinistra hanno cercato di smantellare la tradizionale pluralità di orientamenti pedagogici della scuola italiana (aspetto colto nel segno da Girolamo De Michele e da Silvia Di Fresco).
2. L’analisi concettuale delle “indicazioni nazionali” per le diverse discipline, esempi eclatanti di non-pensiero puro, di specchietti per le allodole utili a ideologie “nuoviste” e dello svecchiamento dei programmi. Un primo lavoro di indagine sul TFA è stato già svolto per la classe d’insegnamento A37 (storia e filosofia nei licei classici e scientifici).
3. La tematizzazione della scuola pubblica bene comune attraverso la testimonianza di insegnati precari e lavoratori cognitivi.