Schermi in classe nasce nel 2011 con l’obiettivo di portare il cinema nelle scuole per aprire tra i ragazzi uno spazio di riflessione sulla legalità e sull’idea di cittadinanza consapevole. Il libro omonimo raccoglie alcuni contributi che raccontano il progetto e da cui emerge l’idea di cinema come punto di convergenza tra l’etica e l’estetica.
Agli inizi degli anni Cinquanta il pedagogista Fernand Deligny coglie immediatamente i sintomi di una società che si sta trasformando attraverso la presenza sempre più pervasiva delle immagini e dei media che le veicolano. Forte di questa importante consapevolezza pensa a come poter offrire ai ragazzi di cui si occupa la possibilità di usufruire di questo nuovo linguaggio e dà forma al progetto de La Grande Cordata. Si tratta di una rete di luoghi, sparsi per tutta la Francia, atti ad accogliere per lo più di ragazzi difficili, relegati ai margini da una società che non si vuole prendere cura di loro, abbandonati dalle famiglie, e spesso affetti da disabilità. Deligny, fin dall’infanzia affascinato e interrogato dalle immagini che scorrono sullo schermo, avverte tutta la potenza educativa insita nel linguaggio veicolato dalle immagini e trova nel cinema un riferimento imprescindibile. Il pedagogista comprende con estrema lucidità, grazie anche alla consueta pratica educativa, come, nell’essere umano, le immagini inneschino e sorreggano dei processi cognitivi, emotivi e di elaborazione del vissuto. È per questo motivo che il rapporto tra Deligny e i suoi ragazzi passa sempre attraverso la mediazione dell’immagine e del cinema. La cosa più significativa è che questa mediazione per Deligny deve essere profondamente attiva: non si tratta, semplicemente, di «subire» l’immagine, ma, appunto, di «sapere che si tratta di un linguaggio»; è importante che i ragazzi comprendano come, attraverso le immagini, attraverso il loro uso, possano articolare e dare senso alla propria esperienza del mondo. L’apprendimento delle regole che compongono questo linguaggio è sempre più urgente e necessario, visto l’«assalto» che le immagini fanno al nostro quotidiano. Ecco che Deligny offre ai ragazzi la possibilità di usare le immagini, di crearle, di giocare con esse e di montarle attraverso un rapporto diretto con la cinepresa.
Oggi viviamo in ambienti che sempre più si compongono di immagini, e in modo vertiginosamente esponenziale rispetto all’epoca in cui Deligny ha portato a termine il suo esperimento pedagogico; per questo motivo si fa sempre più urgente la necessità di delineare una pratica educativa sulle immagini. Il progetto Schermi in classe, sviluppato da Cinemovel con la promozione di Libera, parte proprio da questa consapevolezza e offre una possibile risposta a questo bisogno. Nel testo Schermi in classe. Media Literacy ed educazione alla cittadinanza, a cura di Giulia Tosoni e Roberta De Cesare, che racconta con chiarezza ed efficacia questo progetto, trovano spazio delle riflessioni di Enzo Bevar – responsabile di questo esperimento – che sono in perfetta risonanza con quelle di Deligny. Nell’epoca delle immagini, in particolar modo delle immagini digitali, è importante, quasi necessario, che i ragazzi, ai quali il progetto Schermi in classe è rivolto, ne apprendano la grammatica. Bevar riconosce come la formula dell’audiovisivo abbia generato «una moltitudine di dialetti che stimolano e agiscono sulle nostre scelte quotidiane», e come, per questo motivo, «mai come oggi» sia opportuno «avvicinare i giovani a quella grammatica generale, fatta di inquadrature, montaggi, raccordi e formati che partecipano alla costruzione del senso comune». Il nostro sentire comune, infatti, si articola a partire da un ambiente che è sempre più mediale e sempre più composto da immagini. È per questo motivo che la conoscenza di questo linguaggio in maniera esponenziale determinerà, ma già determina, «la qualità dell’essere cittadino», e dunque il valore del nostro vivere comune.
L’educazione alla cittadinanza è uno degli obiettivi di Schermi in classe e trova nella riflessione sulle mafie un importante tema di confronto, denominato Percorsi di legalità. Come si può portare i ragazzi a interrogarsi sul fenomeno mafioso in modo profondo e critico? Come si crea un racconto sulle mafie che si tenga quanto più possibile lontano dagli stereotipi che si sono formati nel nostro immaginario culturale e che spesso rendono una riflessione sulle mafie limitata e inefficace? Proprio a partire da un lavoro sulle immagini, elemento con cui i ragazzi si rapportano quotidianamente, e che per questo motivo risulta “saturo”, forse scontato. Questa è la grande scommessa di Schermi in classe: tentare di agire all’interno di un mare di immagini che direttamente o meno raccontano il fenomeno mafioso, scegliendo il cinema e altri formati visivi e vocali, per provare a ridare a queste il peso che meritano, l’importanza che hanno, il senso che permettono di acquisire. È una scommessa che cerca di lavorare sullo statuto dell’immagine, che dall’essere semplicemente un qualcosa che si ha davanti o che si subisce, viene presa e fatta mutare in qualcosa con cui si può interagire, lavorare, costruire.
Il riconoscimento di questa «potenza pedagogica dell’immagine», pervade tutti i contributi del testo Schermi in classe, i quali provengono da chi questa esperienza l’ha ideata, vissuta, condivisa, ma anche di figure che, per la loro storia e formazione, possono offrire una riflessione importante ai temi che in questo progetto si intrecciano. Marco Rossi-Doria utilizza nel suo contributo al testo un’espressione molto efficace a questo riguardo: è necessario «prendere i contenuti multi-mediali per mano»
Ma come si sviluppa nella pratica il progetto Schermi in classe?
Innanzitutto portando gli schermi nelle aule magne, nei corridoi, nelle palestre delle scuole. Cinemovel, un vero e proprio cinema itinerante, ha così occupato gli spazi di alcune istituti secondari di primo e di secondo grado, dell’Emilia Romagna a partire dal 2014. Questo progetto riconosce al cinema una sua peculiarità, un’insuperabile forza espressiva capace di emozionarci, di catturarci e nello stesso tempo in grado di favorire l’interrogazione, di innescare processi di conoscenza. Schermi in classe considera dunque il cinema come, per usare una definizione di Pietro Montani, un «laboratorio e un osservatorio critico»; esso ci aiuta a far lavorare tra loro le immagini creativamente, al di fuori di prassi consolidate, e nello stesso tempo ci insegna a interrogarci sul nostro rapporto con le immagini, su come, attraverso di esse, possiamo raccontare e interagire con il mondo.
All’interno di vere e proprie sale multimediali temporanee, gli studenti hanno così costruito un racconto collettivo e partecipativo sui temi legati alla criminalità organizzata. In questi ambienti prendono forma proiezioni, incontri e lezioni in cui i ragazzi, accompagnati anche dai docenti, interagiscono con giornalisti, economisti, autori, contribuendo così alla costruzione dello storytelling. Sono inoltre stati realizzati dei collegamenti virtuali con magistrati, con attivisti, registi scelti dagli studenti. È dentro questa dimensione collettiva che gli studenti cominciano a costruire la loro riflessione audiovisiva sulle mafie. Durante il primo incontro ogni studente riceve un mazzo di sedici illustrazioni, disegnate dall’artista Vito Baroncini, che raffigurano delle dicotomie aperte: visibile/invisibile, singolare/plurale, voce/silenzio, onesto/corrotto, nord/sud…I ragazzi, divisi in vari gruppi, lavorano sui concetti contenuti nelle illustrazioni e iniziano a “scrivere” un racconto multimediale, avviando una ricerca e una condivisione di materiali: pezzi di film, interviste ricavate dal web, testi, foto. È poi un portale online, appositamente creato, a raccogliere e a conservare in un archivio aperto e mobile, i vari contenuti, suddivisi in categorie. Si apre così uno spazio virtuale di confronto e di conoscenza.
In questo processo i ragazzi “parlando le immagini”, acquisendo le regole sintattiche e creative del linguaggio audiovisivo, giungono a ridescrivere la loro riflessione sulle mafie, ridefiniscono i contorni del loro – ma potenzialmente anche del nostro – immaginario, si interrogano sul loro modo di essere cittadini, di partecipare alla collettività. Schermi in classe vince, in questo modo, la sfida di un’educazione alla cittadinanza contemporanea, tenendo conto, innanzitutto, degli ambienti mediali e iperconnessi in cui i ragazzi vivono e scelgono come diventare grandi. È una sfida che mostra anche come la scuola oggi, per continuare a svolgere la sua funzione educativa, debba aprirsi a dei formati didattici profondamente interattivi, dialogando davvero con il mondo al quale preparano i ragazzi.
Schermi in classe non considera i media contemporanei come meri strumenti, ma se ne appropria a partire dalla convinzione che l’insegnamento e l’apprendimento siano di per sé, per la loro natura, dei processi di mediazione e di intermediazione tra il soggetto e gli oggetti del sapere e nello stesso tempo del soggetto con gli altri soggetti coinvolti. I dispositivi mediali sono allora considerati come degli importanti amplificatori di questo processo di mediazione. Seguendo le parole del pedagogista Paulo Freire, riportate nel testo che dà forma scritta alla straordinaria esperienza di Schermi in classe, si può dire che «nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo», di un mondo che, aggiungo, è mondo d’immagini.