Pubblichiamo un estratto di “Roma in divenire tra identità e conflitti”, a cura di Isabella Pezzini (Nuova Cultura, 2016). Lo facciamo ripercorrendo i temi salienti alla base del lavoro di analisi che ha visto coinvolti due gruppi di ricerca in un’indagine di portata internazionale dedicata a due città in apparenza diverse: Roma e San Paolo.
Primo di due volumi, versante italiano della ricerca Pratiche di vita e produzione del senso fra Roma e San Paolo, diretta da Isabella Pezzini e Ana Claudia Mei Alves de Oliveira, “Roma in divenire tra identità e conflitti” presenta saggi di Paolo Sorrentino, Paolo Ricci, Vincenza Del Marco, Pierluigi Cervelli, Franciscu Sedda, Paolo Peverini, Riccardo Bertolotti, Rita Lisa Vella, Sara Manini, Bianca Terracciano, Federico Bonafede, Claudia Torrini, Tiziana Barone, Isabella Pezzini e Cristina Greco. Ne riprendiamo alcuni passaggi significativi.
Introduzione
Dalla parte di Roma
Questo libro raccoglie alcuni studi di semiotica della città elaborati dai componenti del LARS (Laboratorio romano di semiotica) a partire da un incontro di ricerca avvenuto a Roma presso l’Ambasciata del Brasile in piazza Navona il 22-23 maggio 2013 sotto il titolo Praticas de vida e produçao do sentito das metrópoles São Paulo e Roma/Pratiche di vita e produzione del senso nelle metropoli di San Paolo e Roma.
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Studiare la città e la metropoli con strumenti semiotici è un obiettivo complesso, che richiede una riflessione costante sui fini che ci si propone e sui metodi da adottare, sul ritaglio degli oggetti da sottoporre ad analisi, sulla relazione fra dimensioni locali e globali dei fenomeni osservati, sull’orientamento e la co-municazione dei risultati ottenuti. Si tratta di un filone di studi che si è ormai attestato nel panorama degli studi semiotici a livello internazionale, dove spesso rientra nella definizione più generale degli Urban Studies.
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E veniamo dunque al confronto fra Roma e San Paolo: se all’inizio della ricerca esso poteva quasi sembrare una “missione impossibile”, invece, proprio per l’apparente radicale diversità delle due metropoli, è risultato un impegno di grande stimolo e ricchezza, poiché, evidentemente, anche l’individuazione di piani di comparabilità è il risultato del lavoro di ricerca.
Da comune a capitale. Storia semiotica di potere e città
La nascita del “comune di Roma” viene solitamente datata al luglio del 1143 quando, sfinita dall’oppressione del potere del pa-pato sui suoi affari, la classe della nobiltà romana guidò un “colpo di stato” che, per i tre secoli successivi, la portò al governo “indipendente” della città.
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È a partire dalla presa in carico di questa efficace operazione di “nominazione” (Greimas 1976), che possiamo dare avvio all’indagine semiotica – e al contempo storica – sul linguaggio e quindi sul senso delle pratiche di rappresentazione simbolica messe in atto dal “comune” medioevale di Roma (Lotman 1985).
Roma nel cinema e il cinema a Roma. Luoghi, valori, identità
Da sempre è molto forte il rapporto tra la città e il cinema, quest’ultimo nasce come fenomeno della e nella metropoli, motivo per cui tra le due realtà vi è un’implicazione reciproca che si dipana ben oltre la semplice ambientazione della storia. Questa dinamica appare evidente per esempio, nella relazione che si crea tra l’immaginario del cinema e il turismo. Va considerato poi il fatto che la città cinematografica in qualche modo viene spesso ridisegnata proprio dal film.
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Così è per Roma che è un’icona immaginaria condivisa in tutto il mondo. Ed è proprio questa immagine che fa da vettore comunicativo della città, garantendone al contempo la comunicabilità attraverso il cinema. Quest’ultimo viceversa ne assicura e ne potenzia l’immagine stessa. Su questo rimando si crea lo sguardo che rappresenta la città e al contempo si modella e si crea a sua volta lo sguardo dello spettatore cinematografico. Così la città si presta a uno sguardo narrativo nel quale spesso il turista si ritrova, vivendo le emozioni nei tragitti proposti dal cinema in relazione agli spazi proposti dalla città.
Le Stazioni Termini e Tiburtina. Immaginari su strada ferrata
Il Nodo di Roma è uno dei punti fondamentali del sistema ferroviario italiano. Nell’area metropolitana si articolano oltre 220 km di linee ferroviarie e decine di stazioni di differenti dimensioni, delle quali due maggiori, Termini e Tiburtina. Nel sistema della mobilità della Capitale, il traffico su ferro rappresenta un’importante risorsa. La crescita contemporanea della città si intesse con i binari. Oltre alla realizzazione di un sistema di trasporto ad elevata integrazione intermodale e plurimodale si persegue un aumento della quantità e della qualità dei servizi legati all’offerta ferroviaria.
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I treni si possono perdere e prendere, i binari possono essere percorsi ma anche attraversati in violazione delle norme. I vagoni possono essere regolarmente frequentati attraverso il pagamento di un biglietto, ma anche utilizzati clandestinamente, possono essere vuoti e abbandonati o pieni, fermi e in movimento, con una suddivisione in classi più o meno definita.
Il degrado dell’eternità. Note sulla crisi della memoria culturale nella Roma contempo
Quello di degradazione è un processo generalizzato nella città di Roma, ma non opera in tutti i territori con la stessa intensità. Nel caso del quartiere Esquilino esso opera attraverso selezioni precise: l’area più degradata del quartiere è quella più prossima alla stazione Termini, dove si concentrano i negozi cinesi (nel 2012, 430 su 500 esistenti, circa l’85% del totale), mentre nella metà più «italiana» del quartiere, almeno secondo il criterio elementare della proprietà o della gestione dei negozi, è nettamente più pulita, anche se lo è certamente meno di altre zone del centro storico della città. Al contrario nei quartieri più ricchi, sono spesso proprio i monumenti romani a costituire gli unici spazi degradati: è ad esempio il caso delle mura Aureliane nel ricco quartiere Pinciano, pressoché abbandonate.
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Il recente Piano Regolatore generale della città del 2003 (Marcelloni 2003) si proponeva di modificare la relazione fra la città e la sua periferia valorizzando tutti i monumenti presenti nel territorio urbano e passando dal concetto – elaborato dopo l’Unità e rinforzato durante il regime fascista – di centro storico a quello di città storica. Si trattava di una delle più interessanti proposte del Piano, totalmente – come crediamo di aver dimo-strato – restata sulla carta.
La trama e la curva. Riflessioni su città e plasticità
Analizzare il tessuto cittadino significa cogliere la trama di correlazioni fra isotopie sensibili e semantiche che lo attraversa e compone. Più nello specifico significa cogliere le correlazioni dominanti, quelle che attraverso i più vari processi semiotici riescono a emergere e, naturalizzandosi, ad imporre il loro linguaggio sull’insieme fino a definirne l’immagine.
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In tal senso la città nella sua complessità multiforme ci si offre, soprattutto quando ci si arriva da stranieri, come un corpo rispetto a cui il ricercatore è posto in una condizione di interazione rischiosa, per dirla con Eric Landowski (2005). Un corpo plastico con cui ci pare di entrare in un dialogo e in una danza, in un mo-vimento di aggiustamento continuo della presa e della prensione del suo senso. Un corpo che può sorprenderci in modo imprevisto, può provare a manipolarci o addirittura può tentare di programmare il nostro rapporto con esso.
Estetiche della protesta e semiotica dello spazio. Pratiche dell’attivismo nella città eterna
Diversamente da altre città scelte per sollecitare l’opinione pubblica ad assumere una posizione nei confronti di una moltitudine di temi sociali, Roma presenta alcune peculiarità estremamente interessanti sotto il profilo di un’analisi sociosemiotica della protesta che qui si concentra esclusivamente nella zona del centro storico, dei monumenti-logo (Pezzini 2007), dei percorsi turistici più consolidati.
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Questo spazio semioticamente denso, segnato da polemiche continue che vertono sullo stato della sua conservazione e valorizzazione, sulla difficoltà di sostenere l’impatto di flussi turistici sempre più imponenti e di offrire servizi adeguati agli standard di una metropoli contemporanea, si configura così come un territorio estremamente ambito dagli attivisti che spesso intercettano l’attenzione di turisti e abitanti ostruendo la realizzazione di pratiche d’uso quotidiane, contribuendo a fare emergere le contraddizioni che marcano i luoghi di un centro storico “da cartolina”.
Infrazioni pubblicitarie e diritto auto-trasgressivo: l’affissione a Roma
Per comprendere meglio le relazioni che si instaurano tra pratiche del diritto e pratiche dell’affissione a Roma, si può partire dal “primato della città” nell’esperienza giuridica e politica italiana. È importante ricordarlo, perché si tratta di una mitologia, in senso barthesiano, che muove dal terreno storiografico del Risorgimento e confluisce nella ri-costruzione degli statuti ed ordinamenti locali come continuazioni ideali, e luoghi di convergenza della “costituzione degli antenati”.
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L’eccesso di testi regolativi (sceneggiature giuridiche) incidenti su un medesimo tema, la non chiara dispensazione dei ruoli nel processo narrativo, l’accavallarsi e la tendenziale non-linearità nell’interazione tra i programmi principali e i programmi d’uso allestiti dal diritto, sfociano quasi naturalmente nell’effetto della trasgressione.
Guerrilla gardening a Roma. Una prospettiva semiotica per il caso Tor Bella Monaca
L’immagine della città restituita dalle mappe e dai piani urbanistici non è la stessa di quella di chi la percepisce, la usa, la percorre. Quotidianamente ci confrontiamo con molte immagini collettive della stessa città, radicate nei diversi stili di vita e perfino in diverse culture.
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Roma, 2012. Le azioni di guerrilla gardening sul territorio, pur nate nello stesso spirito del movimento globale, vengono declinate (e analizzate) come pratiche locali. È necessario indagare il significato del testo urbano, la percezione e sull’uso che ne viene fatto, l’enunciazione individuale degli spazi, la città vissuta dal basso. Il guerrilla gardening emerge, già per definizione dei suoi soggetti, come forma di protesta politica.
“Liberi per la città”, ma con riserve: usi e letture dello spazio urbano nelle proteste studentesche
Se si vuole guardare alla relazione che si instaura tra i gruppi in mobilitazione e lo spazio urbano in cui agiscono, bisogna con-siderare il momento in cui avviene un’appropriazione di luoghi già di per sé significanti, i quali però non sono abitualmente con-siderati nel percorso di senso ‘tipico’ della protesta.
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Con le sue connessioni viarie e i monumenti antichi o più recenti, la capitale presenta quindi una concentrazione di tracce architettoniche e urbanistiche facilmente integrabili nell’azione di prote-sta. Ci riferiamo ad esempio alla stratificazione dei macrosegni identitari come il Colosseo nel tessuto urbanistico di epoca fascista, o per contrasto alla vasta articolazione della periferia moderna che circoscrive le aree più centrali, e costituisce spesso una sorta di città “di secondo grado”.
Il tifo come pratica di riscrittura della città
L’essere cittadino di Roma comporta la condivisione di un sistema culturale, ma essere tifoso di Lazio e Roma prevede due sistemi di valori differenti, ovvero “poste in gioco” (Fabbri, Montanari 2004) diametralmente opposte ed espresse a gran voce che descrivono un vero e proprio conflitto ideologico. Il tifo è un’assiologia che prevede una logica d’azione scandita da spazi e tempi ben precisi e da ruoli attanziali e attoriali distinti le cui competenze modali si basano prettamente su un “dover fare” che assurge a rito.
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I tifosi costituiscono una società “seconda” in cui vigono status e ruoli, composta da corpi che vogliono sentire a qualsiasi costo amplificando ogni tipo di passione e propugnando una morale comune basata sull’amore per la maglia. La maglia sussume tutti gli ideali in campo, cambia ogni anno, ma in realtà non muta mai, sopravvive al calciomercato e ai cambi di presidenza. Tifare è si-nonimo di esperire e serve ad articolare il senso di appartenenza al territorio principalmente tramite il sensibile.
Il tridente della moda tra fast fashion e haute couture
Il posizionamento dei negozi suggerisce all’abitante modello come vivere la metropoli, ovvero gli impone di compiere percorsi e sequenze di azioni, standardizzate rispetto a un certo stile di vita, istituzionali per una determinata tipologia di consumo. In altre parole, le pratiche di shopping contribuiscono a far acquisire ai loro soggetti una competenza sull’uso empirico e concreto degli spazi.
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Gli spazi di moda operano sul corpo una presa sinestesica, corrispondente alla semiosi in atto che scaturisce dall’esperienza sensibile. Il dialogo tra corpo e spazio genera un sistema prossemico, a sua volta alla base di svariate testualizzazioni del vissuto quotidiano che assurge a figurativizzazione di uno stile di vita, di un certo modo di vivere Roma, o qualsiasi altra metropoli.
I soggetti della pratica significante di shopping si modalizzano nel voler essere e nel voler fare esprimendo e manifestando le loro abitudini culturali, definendone usi e significati.
Branding & The City
Nel 2005 la realizzazione di palazzo Fendi a Largo Goldoni, ha avuto la finalità di integrare il logo con la città di Roma, e di renderlo “immanente” alla stessa in modo tale da costruire un bagaglio valoriale unico che stesse alla base dell’identità di Fendi. Tale bagaglio ha permesso al marchio di venire esportato in altri contesti, pur mantenendo la sua riconoscibilità e la significazione che intende veicolare.
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Nel 2015 invece, l’operazione di cambio sede, pur mantenendo la boutique sempre al Largo Goldoni, ma con un opportuno restyling coerente con le strategie di rifacimento della nuova residenza, e non ultimo l’inserimento del nome Roma nel logo, hanno modificato il discorso di Fendi pur mantenendo inalterato lo spirito erede.
Un nuovo museo per le arti del XXI secolo: il MAXXI
L’attuale rinascita del museo conferma dunque la sua vocazione di dispositivo semiotico fondamentale, espressivo del modo in cui le società percepiscono se stesse e cercano di auto-rappresentarsi, raccogliendosi intorno a un proprio carattere e offrendo un’immagine di sé, istituendo spazi pubblici di riflessione e di riconoscimento intorno a collezioni di oggetti e di opere, capaci di suscitare relazioni fra mondi e sfere di interesse in apparenza distanti.
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Il nuovo museo si presenta come uno strumento di recupero di uno spazio cittadino, spazio pubblico, cioè disponibile e restituito all’uso pubblico: le caserme dello Stato che esso ha sostituito erano parte del demanio, ma al pubblico ne era vietato l’ingresso, con tanto di mura di recinzione, di filo spinato e di apparati di sicurezza e guardiani, come è d’uopo in questi casi.
Ricostruire l’identità, tradurre il conflitto: creatività urbana a Roma
La creatività urbana, dunque, se da una parte si pone come il limite, quando traccia la linea tra esterno e interno, come nell’esempio del MACRO, dall’altra funziona come soglia, quando si pone come punto di accesso in uno spazio altro e viceversa, nell’esempio del MAAM. In molti dei casi citati, dunque, l’arte urbana assolve la funzione di confine, agevolando il passaggio tra due spazi differenti e favorendo il dialogo.
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La Street Art lavora sul confine, dissolvendo la continuità precostituita degli elementi divisori della città – come il muro di un edificio o il pilone di un ponte – e concependo nuove soglie. Ciò non equivale a dire che l’arte urbana nelle sue diverse forme, dal Graffiti Writing alla pittura murale, opera una sorta di discontinuità degli spazi, ma che al contrario li rielabora: essa rompe le strategie uniformanti, ma presenta elementi di contraddizione, che si rendono più evidenti nel caso di Roma. In tutte le sue forme, l’arte della pittura murale, l’aerosol art, lo stencil art ecc. segnano il punto di lacerazione del tessuto urbano e dell’assetto sociale e artistico.