Lo scorso 12 marzo è scomparso all’età di 79 anni il sociologo francese Robert Castel. Direttore di ricerca dell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, Castel è un autore che lascia un’ampia eredità intellettuale.
1. Allievo di Raymond Aron e collaboratore di Pierre Bourdieu, dalla seconda metà degli anni sessanta Castel intraprende un proprio percorso di ricerca e di impegno civile che lo porta diverse volte in Italia. Interessato a studiare la psichiatria da un punto di vista sociologico, inizia a tradurre il lavoro di Erving Goffman sulle istituzioni totali, ma è l’incontro con le trasformazioni pratiche che avvengono nella psichiatria italiana a segnare una svolta nel suo percorso di intellettuale. Nell’estate del 1968, mentre trascorre le vacanze in Italia, decide di affittare un auto per andare a Gorizia e vedere il cambiamento che Franco Basaglia e la sua equipe stanno realizzando all’interno del manicomio. A Gorizia i due scoprono di avere molti punti di vista in comune e si crea immediatamente una collaborazione che durerà fino alla morte di Basaglia nel 1980.[1] Un rapporto che lo stesso Castel ricordava diverse volte, arrivando a sostenere con affetto che Franco Basaglia era stato, probabilmente, l’uomo più importante della sua vita.[2] Da quel momento il suo lavoro di ricerca si concentra sull’ analisi sociologica del trattamento sociale della malattia mentale, tanto che alcune sue opere possono essere considerate delle pietre miliari in questo campo : Le Psycanalisme (ed. it. Einaudi, 1975), L’ordre psychiatrique (ed. it. Einaudi 1980), Société psychiatique advancées ( con F. Castel e A. Lovell, 1979). Nonostante il suo lavoro di quegli anni venga associato spesso a quello di Michel Foucault, con il quale effettivamente aveva collaborato con un contributo al libro Io Pierre Riviere (Einaudi, 2000) e nel lavoro politico del Groupe d’Information sur les prisons, occorre una precisazione. L’influenza maggiore di Foucault sull’opera di Castel è soprattutto nello sviluppo di un approccio di tipo “genealogico”, ovvero in un uso della storia orientato a comprendere il presente. Tuttavia, pur avendo contatti frequenti con Foucault, Castel sviluppa la sua ricerca in modo autonomo e con una certa distanza di posizioni rispetto all’autore della Storia della Follia (Rizzoli, 1963).[3] All’epoca Castel ritiene infatti il lavoro di Foucault “una tesi filosofica di ispirazione romantico-surrealista,”[4] sicuramente interessante ma strumentalizzata da alcune posizioni antipsichiatriche che concepivano la follia “come una sorta di quintessenza della libertà e della soggettività […] soffocata e vilipesa dalla repressione del potere e dai suoi primi rappresentanti, gli psichiatri.”[5] Il suo lavoro è invece vicino alle posizioni di Franco Basaglia, a partire dalla comune constatazione che il trattamento della follia nei manicomi rappresenti uno scandalo, specialmente quando avviene in società che si definiscono democratiche.[6]
Nel corso degli anni settanta, Castel mette in piedi con Basaglia un gruppo internazionale di intervento e riflessione sulla psichiatria, il Réseaux Alternative à la Psychiatrie e diventa un osservatore attento del processo di cambiamento che Basaglia ha avviato a Trieste.[7]
Dopo l’approvazione della riforma italiana, a partire dal lavoro del Réseaux, tra il 1978 e il 1979, partecipa con Basaglia ad alcuni cicli di conferenze in Brasile, che saranno di supporto alla nascita del Movimento de Luta antimanicomial brasiliano.[8] Dopo la morte di Franco Basaglia, Castel ha continuato a guardare con attenzione all’esperienza di cambiamento della psichiatria italiana, che riteneva potesse rappresentare un’alternativa concreta a ciò che era avvenuto in Francia, dove le realizzazioni dell’establishment psichiatrico non erano state in grado di realizzare un superamento concreto dei manicomi.[9] Di questo rapporto con l’Italia, continuato fino agli anni più recenti, è significativa la sua partecipazione nel 2011 a un evento commemorativo dei 50 anni dell’esperienza di Gorizia. In questo convegno Castel sosteneva di non voler essere considerato un vecchio combattente nostalgico che parla del passato, ma di voler dare il suo contributo per ripensare cosa significa oggi avere una postura e una pratica critica, come quella avuta da Basaglia negli anni settanta, alla luce delle nuove sfide della società contemporanea.[10]
2. All’analisi critica e attenta dei cambiamenti della società Robert Castel si è dedicato con passione a partire dai primi anni ottanta, quando aveva deciso di spostare l’asse dei sui interesse di ricerca dalla psichiatria. “Non ero un professionista e non potevo portare avanti un lavoro pratico. Credevo di aver detto all’incirca quello che potevo dire […] Quindi ho deciso di interessarmi ad un altro settore, il “sociale”: un tipo di oggetto multiforme, un po’confuso, un po’ vago, che mi è sembrato interessante chiarire.”[11] Un lavoro che durerà quasi 15 anni, trovando la sua coronazione nel libro Les métamorphoses de la question sociale (1995 trad. it. Sellino, 2007). Si tratta, probabilmente, della sua opera più importante, nella quale il sociologo inizia a evidenziare alcuni di quei nodi problematici che ritorneranno anche in alcune sue opere successive come L’insécurité social ( 2003 ed. it. Eianudi 2004) e La montée des incertitudes (2009). In anni in cui iniziano ad affermarsi alcune tesi che parlano di “fine del lavoro,” con Les mètamorphose Castel sottolinea la complessità del problema del lavoro salariato, ponendo questioni concrete che ancora non hanno trovato una risposta da parte delle istituzioni politiche. Il lavoro del sociologo mostra infatti come la “questione sociale” (povertà, vecchiaia, malattia ecc.) sia stata storicamente affrontata attraverso dei sistemi di protezione sociale, costruiti sullo statuto dell’impiego. Ovvero, l’intero impianto dei diritti sociali, soprattutto negli anni del secondo dopoguerra, è stato garantito con la costruzione di misure di protezione collettive legate alla condizione di lavoratore, come la contrattazione collettiva e le pensioni. A partire dagli settanta, come mostra Castel, questo sistema è messo in crisi da un regime di capitalismo aggressivo e dalla mondializzazione dell’economia, che hanno come effetti principali la decollettivizzazione del lavoro, la precarizzazione, l’atomizzazione sociale e la crescita dell’insicurezza e dell’incertezza rispetto al futuro. Il problema centrale che pone la ricerca di Castel è perciò quello della costruzione di nuove misure collettive di protezione volte ad arginare questi processi e alla costruzione di una “società di simili,” dove a tutti sono garantite le condizioni minime della propria indipendenza economica e sociale.
Con la sua morte viene a mancare lo sguardo di un intellettuale e ricercatore rigoroso, che ha sempre indirizzato il suo lavoro a diagnosticare i problemi del presente con il fine di favorire un’azione pratica. Da questa sua postura, oltre a una necessaria azione volta a valorizzazione la sua opera, in gran parte non ancora tradotta in italiano, ci rimane un insegnamento che occorre cogliere. Nel corso di una lunga intervista realizzata dalla televisione brasiliana TV cultura nel 2009[12] uno spettatore domanda se le sue analisi lo portino a essere ottimista o pessimista rispetto al futuro dell’umanità. Castel, che nel corso dell’intervista dice più volte che il compito di un buon ricercatore è quello di proporre interpretazioni utili per comprendere i problemi e orientare gli interventi, risponde: “Ho appena scritto un libro che si chiama La crescita delle incertezze, e penso effettivamente che il futuro è incerto. Allora io penso che la questione non è essere ottimista o pessimista. La questione è che di fatto non controlliamo il futuro ma, allo stesso tempo, occorre pensare che quest’avvenire dipenderà, almeno in parte, da quello che faremo (o da quello che non faremo) oggi per tentare di cambiare corso. Allora qualche ottimista dirà “sarà meglio domani,” qualche pessimista “sarà peggio,” io dico il peggio non è certo. Ci sono delle forze che vanno nella direzione del peggio […] ma non è certo. Perché io credo che il mondo nel quale viviamo è un mondo conflittuale, ci sono interessi antagonisti, e chi vincerà?
Come dicevo prima non sono un profeta, dunque non sono né pessimista né ottimista, ma penso che occorra provare a essere volontaristi, e cercare di controllare questa situazione.”
Note
[1] Entretien avec R. Castel dans Tracés. Revue de sciences humaines et sociales, nº 6 octobre 2004.
[2] R. Castel, Michel Foucault e le critiche della psichiatria:una lettura soggettiva, in Rivista sperimentale di Freniatria, VOL. CXXIX, N. 3, SUPPLEMENTO, 2005.
[3] Al contrario il lavoro di Castel influenzerà alcune riflessioni di Foucault durante il corso al Collège de France del 1973-74. Nelle note alla lezione del 7 novembre 1973 Foucault scriverà che Lo psicanalismo era “un libro radicale perché, per la prima volta, la psicanalisi viene specificata solo all’interno del potere psichiatrico.” Vedi M. Foucault, Il potere psichiatrico, Feltrinelli, 2004: p. 346.
[4] R. Castel, Michel Foucault e le critiche della psichiatria cit. : p.12.
[5] ID: p. 14.
[6] Entretien avec Robert Castel, cit.
[7] Castel sarà anche uno degli autori dei saggi contenuti nel libro Crimini di Pace (Einaudi, 1975), opera collettiva curata da Franco e Franca Basaglia che si interroga sul ruolo di chi lavora all’interno delle istituzioni.
[8] F. Basaglia, Conferenze brasiliane, Raffaello Cortina, Milano, 2000.
[9] R. Castel, L’esperienza italiana come antidoto al tecnicismo e al burocraticismo francese in “Sapere” n. 851, novembre-dicembre 1982.
[10] L’intervento di Castel al convegno di Gorizia è disponibile online all’ indirizzo http://www.youtube.com/watch?v=oA0vyuNQU6Y
[11] Entretien avec Robert Castel, cit.
[12] L’intero programma è visibile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=Krl2Q8HFS78