Maremma a mano armata. Un ritratto di Umberto Lenzi

Umberto Lenzi: maremmano, re dei b-movie, a fianco di Luciano Bianciardi e Carlo Cassola durante le proteste scatenate dalla strage della miniera di Ribolla.

IL SUO nome vi farà sicuramente venire in mente delle vecchie Alfa Romeo lanciate a tutta velocità sull’asfalto degli anni settanta, con le frenate che si alternano ai colpi di basso delle musiche sincopate. Pellicole come Milano odia, Roma a mano armata o Napoli violenta. Forse ve lo immaginate accanto a una locandina con la faccia trucida di qualche stella del cinema di quegli anni, come Tomas Milian o Maurizio Merli. Oppure, dopo che Quentin Tarantino ha dichiarato di amare i suoi film, adesso che è stato consacrato come autore di culto, magari lo chiamerete anche maestro.

Queste cose le sapete, non serve che ve le racconti io. Forse potrei stupirvi di più se vi dicessi che si dichiara anarchico e che a casa ha raccolto negli anni uno dei più grandi archivi privati sulla guerra civile spagnola. Eppure non è di questo che voglio parlarvi.

Mandiamo il nastro della sua vita indietro. Rewind. Lasciamo svanire la foto con Tarantino e quella accanto al “Monnezza”. Andiamo indietro, molto indietro, arriviamo al ritratto del regista da giovane. Sapreste riconoscerlo vestito in giacca e cravatta come un intellettuale bianciardiano, serio e quasi organico, mentre rivolge lo sguardo verso Pietro Germi, che ancora non ha girato Divorzio all’italiana? Immaginatelo in provincia, nella provincia maremmana. A Massa Marittima, dov’è nato da una famiglia con origini follonichesi. Pensate a lui, al re dei b-movie, al genio del poliziottesco, a Umberto Lenzi[1] mentre guarda al cinema Roma di Follonica, oggi purtroppo abbattuto per far posto a esercizi commerciali, Forza bruta di Jules Dassin, una pellicola di genere “carcerario” con una rivolta di detenuti guidata dal grande Burt Lancaster. «Un capolavoro, uno dei film che mi fece innamorare del cinema», mi confessa.

Era il 31 dicembre 1947 e la data di quella proiezione in un cinema follonichese che sembra un saloon western ha segnato la sua vocazione cinematografica. «Ma la strada al cinema me l’aprì nel 1949, mentre frequentavo a Massa Marittima il liceo classico, Angelo Gianni, il mio professore di letteratura italiana». Angelo Gianni era stato allievo del Centro sperimentale di cinematografia a Roma insieme a Pietro Ingrao, ma aveva optato per l’ insegnamento per ragioni familiari. Un giorno portò tutti gli studenti massetani al cinema Mazzini, dove era in programmazione il film americano Il pensionante (The Lodger) di John Brahm, una storia imperniata sul personaggio del famoso serial killer Jack lo squartatore. Il professor Gianni tenne una vera e propria lezione di regia agli studenti, analizzando Il pensionante scena per scena, spiegando che gli elementi basilari del linguaggio cinematografico erano l’ inquadratura e il montaggio, unità minime di un discorso analoghe alla parola e alla frase del testo letterario. Il cinema era insomma un modo per scrivere per immagini. «Per me fu una rivelazione! Con il professore fondammo il Circolo del Cinema e proiettammo con larga partecipazione di soci tutti i capolavori del cinema avventurosamente reperibili nei magazzini dei distributori di Firenze e nelle cineteche». Tra questi reperti dei primi decenni del cinema, Chaplin, Ejzenstejn, Renoir, De Sica e John Ford.

Dopo un anno, nel 1950, Lenzi e Gianni ricevono una proposta da un bibliotecario di Grosseto, dal nome non ancora noto: Luciano Bianciardi chiede la loro disponibilità per sostenere l’attività del Circolo del cinema di Grosseto. È un attivismo frenetico: nel 1951, mentre fa il pendolare tra Massa Marittima e Pisa per seguire i corsi universitari, Lenzi assume l’incarico di segretario dell’Ente culturale cooperativistico dei minatori di Massa Marittima, che gestisce una biblioteca popolare e il locale cinema Goldoni. Un incarico molto significativo, perché l’ attività di questo intellettuale provinciale ha a che fare con due eventi emblematici, due stragi di minatori. Il primo risale alla sua giovinezza: è il 14 giugno 1944 quando, nei pressi di Niccioleta, una frazione massetana, più di ottanta minatori sono uccisi dai nazifascisti. Umberto rimane segnato da queste morti e si impegna a offrire alla città mineraria il suo attivismo culturale. Porta a Massa Marittima, per conferenze, dibattiti e prime di film, Vasco Pratolini, Carlo Salinari, Luciano Bianciardi, Carlo Cassola, Giuseppe Dessì, Pietro Germi, Carlo Rustichelli, Massimo Mida, Giuliano Montaldo, Guido Aristarco e molti altri.

Intanto nell’ottobre del 1954 si laurea in legge e vince il concorso di ammissione al corso di regia del Centro sperimentale di cinematografia. Ma l’entusiasmo di quei giorni è segnato dalla ferita fresca di un altro doloroso eccidio. Stavolta i minatori maremmani sono uccisi dal lavoro nocivo e insicuro: il 4 maggio 1954 arriva a Massa Marittima la notizia dell’esplosione del pozzo Gomorra di Ribolla, una frazione mineraria poco distante. Umberto Lenzi, insieme a un gruppo di minatori massetani che hanno costituito un gruppo di soccorso, corre a Ribolla. La situazione è drammatica, dalle viscere della terra vengono estratti i corpi di 43 minatori. «Con Bianciardi e Cassola buttammo giù il manifesto della Cgil che denunciava le responsabilità dei dirigenti della Montecatini. In effetti le misure precauzionali per evitare eventuali crolli delle gallerie erano state colpevolmente trascurate…», scrive Lenzi. E aggiunge: «Questo tragico episodio, di cui conservo alcune foto scattate sul posto, durante i funerali delle vittime, ha segnato per sempre la mia vita di uomo e di cineasta».

La strage di Ribolla segna anche la vita di Luciano Bianciardi: dopo quella vicenda scriverà un libro-inchiesta sui minatori maremmani assieme a Cassola, pubblicato da Laterza: I minatori della Maremma. I destini di Lenzi e Bianciardi si intrecciano. «Tra le altre attività che svolsi in quel periodo, aiutai Bianciardi e Cassola a intervistare diversi minatori di Niccioleta e a reperire materiale per il loro libro». I morti di Ribolla segnano un cambio di passo nelle vite di Lenzi e di Bianciardi: entrambi producono un lavoro sui minatori e poi abbandonano la Maremma. Bianciardi, dopo la pubblicazione dell’inchiesta con Cassola, decide di spostarsi a Milano per lavorare alla Feltrinelli. Lenzi l’anno seguente realizza un documentario a colori sulla teleferica più lunga d’ Europa, adibita al trasporto della pirite dalla miniera di Boccheggiano fino al molo di Portiglioni, non lontano dal Puntone di Scarlino, passando sopra Niccioleta e Massa Marittima. Il documentario sui minatori maremmani, intitolato Dalle tenebre al mare, viene presentato a Venezia e distribuito in tutta Italia dall’Astra Cinematografica. Oggi è nell’archivio dell’Istituto Luce, mentre al Puntone anche questo pezzo della storia maremmana di Lenzi è stato distrutto, coperto in parte dalla ruggine e in parte dal cemento di un porto turistico, come il cinema Roma di Forza Bruta.

Intanto Umberto nel 1957 si diploma al Centro sperimentale ed esordisce come aiuto regista in un film hollywoodiano, Raw wind in Heaven (Vento di passioni), girato a Cinecittà e in esterni alle Rocchette di Castiglione della Pescaia, ancora in Maremma. «Un sogno!», mi dice pieno d’entusiasmo oggi Umberto. Il film era una superproduzione della Universal interpretato da Esther Williams, Jeff Chandler, Rossana Podestà e Eduardo De Filippo.

Quello che è successo dopo è cosa nota agli amanti del cinema italiano, che forse ignoravano il ritratto del regista come un giovane intellettuale di provincia votato al lavoro culturale in quelle quattro strade di minatori, aperte «ai venti e ai forestieri». Gli chiedo infine se c’ è qualcosa di quegli anni di formazione di cui non mi ha parlato. Lenzi inizia a inanellare una serie di nomi, come in un rosario. «Sarti, Magnini, Cervato, Chiappella, Rosetta, Segato…». Penso al neorealismo, alla letteratura sulla guerra. «…Julinho, Montuori, Virgili, Gratton, Prini». Sono fuori strada: mi ha spiazzato ancora una volta. È la formazione della Fiorentina dello scudetto del 1955-56.

[Questo articolo è già apparso sulle pagine de La Repubblica, edizione di Firenze, dell’8 agosto 2013]

 

Note

[1] Nella collana “Il Giallo Mondadori” è stato ripubblicato il suo romanzo Delitti a Cinecittà. Su Carmilla una recensione di Alberto Prunetti.

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