Per un’arte che dialoghi con il pubblico e il territorio.
“Cultura come servizio essenziale garantito” e “arte pubblica”1: due temi di grande portata, tra loro correlati, che sono riemersi a più riprese nel dibattito sull’attuale stato di crisi della cultura, innescato dalla pandemia di Coronavirus. Parole che sono il sintomo di una necessità tuttora non evidente a molti: quella di ripensare le politiche culturali con lungimiranza, coraggio e capacità di visione. In prima battuta è infatti scattata una corsa a inventare soluzioni (es)temporanee per non rendere incolmabile la distanza tra la cultura e il suo pubblico, e sono state proposte alcune soluzioni tampone per fronteggiare l’emergenza, prima di tutto economica, dei lavoratori della cultura.
Come in altri settori, la pandemia ha reso drammaticamente evidenti le criticità pregresse del nostro Paese, che investono diversi temi, tra cui la mancanza di tutela e lo scarso sostegno agli artisti e alla ricerca, lo sforzo inadeguato di allargamento del pubblico della cultura, un’arretratezza di fondo nel capire il potenziale innovativo del digitale. Le prime reazioni non possono quindi lasciare il posto all’attesa che tutto torni come prima. Molti intellettuali hanno tentato di immaginare le trasformazioni che senz’altro ci aspettano, ma che è per ora quasi impossibile mettere a fuoco, così si cerca di intuire quali esperienze già sperimentate possono essere valorizzate e ripensate per i tempi nuovi. Il tema dell’arte pubblica è stato evocato da più voci, sebbene la sua definizione non sia univoca, anzi dia spesso adito a fraintendimenti e sia molto dibattuta anche rispetto a modalità, obiettivi ed esiti. Può assumere molte forme, ma è sempre un’arte che tutti possono fruire in modo libero e gratuito. Arte pubblica però non vuole dire semplicemente arte gratis o a prezzi popolari, come qualcuno a lasciato intendere: i musei e centri d’arte che propongono mostre gratuite non fanno arte pubblica, né sono arte pubblica gli spettacoli in piazza. Iniziative meritorie che in questo periodo difficile vale la pena proporre e sostenere, ma che non devono fungere da ponte per guadare l’emergenza, quando è ora di salpare per altri lidi. È il momento di rovesciare il paradigma dominante degli ultimi anni: quello di una cultura che produce un ritorno economico, che si misura col pallottoliere, che aumenta i pernottamenti in città o i coperti dei ristoranti. In un apparente paradosso, questa idea va a braccetto con quella di una cultura che vive in un mondo a parte, un mondo di bellezze e delizie scollegato dalla vita quotidiana. Si è sostenuto nel recente passato che la cultura non c’entra niente con la politica, che appartengono ad ambiti del tutto diversi: un pensiero dagli effetti lentamente deleteri ma che oggi, con improvvisa evidenza, si rivela come l’anticamera della morte della cultura nel suo senso autentico. Ecco, l’arte pubblica di cui ora intellettuali e critici illuminati stanno tornando a discutere in tutto il mondo nasce proprio nel legame inscindibile di politica e cultura.
L’arte pubblica non è semplicemente arte nello spazio pubblico: è pensata sul territorio, nasce per il territorio e le persone che lo abitano. È un’arte che si intreccia fortemente con i luoghi, con il tessuto sociale, con la vita delle comunità. Non è il monumento, ma neppure si limita ai murales commissionati: è un’arte che invita i cittadini alla condivisione e alla partecipazione, ad assumere un ruolo attivo per conferirle un senso. Non importa se lascia un segno permanente nel paesaggio o se è effimera, essa lascia qualcosa di prezioso in chi la vive.
Se è dunque vero che andiamo incontro a rivolgimenti economici e sociali, a cambiamenti di abitudini radicate e delle modalità di vita in comune, questo è proprio il momento di un’arte pubblica vera, in cui i gli artisti siano chiamati ad aiutarci a immaginare il futuro per raccoglierne le sfide. Uno scambio autentico e fertile tra i cittadini e gli artisti, una unione di forze: diamo lavoro agli artisti in modo da non abbandonarli in un momento drammatico, favoriamo il riconoscimento del loro ruolo sociale e riceviamo da loro in cambio idee, visioni, emozioni, lo stimolo a pensare, dialogare, discutere in uno spazio comune. Un’arte quindi non regalata al pubblico, non che accontenti il pubblico, non che mandi messaggi al pubblico. Ma un’arte che si preoccupi del pubblico, che lo scuota dal torpore e lo consideri un interlocutore attivo e imprescindibile: facendone la sua fonte d’ispirazione, coinvolgendolo nel processo creativo, includendolo nelle sue azioni, rendendolo insomma, in vari modi, un elemento essenziale all’esistenza stessa dell’opera. A volte non funziona, scatena polemiche che talvolta sfociano perfino in atti di vandalismo, ma l’idea della sperimentazione, dell’errore, del fallimento sono essenziali nella cultura contemporanea e prerogativa delle società democratiche. I rischi di un mancato incontro tra cittadini e arte pubblica sono amplificati da un sistema educativo e dell’informazione che nel nostro Paese offre ben pochi strumenti per avvicinarsi alle arti contemporanee, e tuttavia, se in questo campo un cambio di direzione impresso dall’alto appare una chimera, perché non accettare la sfida di piccole utopie locali in cui l’arte faccia attecchire dei semi di cambiamento che possano poi riprodursi.
L’arte pubblica non è prerogativa dell’ente pubblico, ce ne sono esempi straordinari promossi dal privato quando questo è illuminato e conscio della sua responsabilità sociale. Ma per aprire una nuova stagione di politiche culturali fondate su questi principi, in cui non solo la cultura è un diritto dei cittadini, ma le istituzioni invitano i cittadini a un contributo attivo al cambiamento, sta in primis alle pubbliche amministrazioni volere, disegnare e sostenere un’azione coerente e diffusa che intraprenda la strada di una rinascita della cultura e attraverso la cultura, recuperando un ruolo propositivo e di visione strategica che in troppi casi, nel recente periodo, gli assessorati hanno abbandonato. Nelle città in cui non ci sia un’istituzione pubblica per le arti contemporanee, come nel caso di Reggio Emilia dove ho avanzato la proposta, si potrebbero creare unità leggere e dinamiche per progettare e incentivare gli interventi degli artisti nel nuovo spazio pubblico, attivando, nel dialogo tra le arti, collaborazioni tra istituzioni ed enti culturali, associazioni, imprese, università, ascoltando il territorio e attingendo alle migliori pratiche messe in atto fino a oggi perlopiù in modo sporadico e disorganico. In questo frangente storico, in cui tanto gli spazi chiusi che quelli aperti vanno ripensati, potrebbe trasformarsi in un’occasione dalle potenzialità straordinarie.