Lo Zabriskie Point dei book blog: recensione a I book blog. Editoria e lavoro culturale

Come cambia la blogosfera? Una riflessione che lega editoria, marketing e blog a partire dall’ebook di eFFe I book blog. Editoria e lavoro culturale

Qualche settimana fa eFFe, firma dietro la quale si cela un noto agitatore culturale del web, ha fatto uscire un piccolo pamphlet intitolato I book blog. Editoria e lavoro culturale. Un epub auto-pubblicato in cui l’autore ragiona intorno al modo in cui i blog collettivi – o perlomeno alcuni di essi – abbiano assunto al giorno d’oggi le sembianze di veri e propri intellettuali collettivi, svolgendo un ruolo di primaria importanza nel panorama culturale italiano. E svolgendo questo ruolo in quello che è senza dubbio il luogo più vivo e ricco di correnti carsiche del dibattito culturale, ovverosia la rete.

Oltre a delineare i modi e le pratiche di questa nuova forma d’intellettualità collettiva, eFFe si sofferma ad analizzare il rapporto che l’editoria ha assunto nei confronti dei blog e il modo in cui questi hanno reagito a tale interesse.

L’operazione di scavo che riporta in superficie la rete di rapporti e di Poteri che lega blog ed editori è senza dubbio il nucleo incandescente di questo saggio. L’autore utilizza la categoria antropologica del dono per spiegare il modo in cui la teoria e la pratica di marketing strutturano la relazione tra i brand e l’universo dei blog.

Give aways, inviti a eventi e altre comuni forme di promozione, basate sul coinvolgimento dei blog nel processo di valorizzazione di un prodotto, sono analizzate a partire dal senso di reciprocità che il dono instaura negli attori della relazione.

Il rischio è che i blog, se privi della consapevolezza delle dinamiche che li vedono coinvolti, possano abdicare al loro ruolo di intellettuali collettivi e a quell’indipendenza che è fonte primaria della loro autorevolezza.

Le accese discussioni, certe maldestre prese di posizione e le reazioni scomposte suscitate in rete dall’uscita di questo libro danno l’impressione che eFFe abbia trovato, con perizia da geniere esperto, la chiave di volta di un sistema e l’abbia fatta detonare.

Il rumore dello scoppio ci riempie ancora le orecchie e bisognerà aspettare che la polvere si posi, per capire in che modo potrebbe apparire il panorama dopo l’esplosione. Forse non cambierà nulla, forse sarà l’inizio di un percorso.

Vorrei provare qui a indicare una via possibile, tra le tante che potrebbero aprirsi. Molti dei lettori del libro hanno rimproverato ad eFFe l’uso dell’espressione “lavoro culturale” (che l’autore riprende da Bianciardi) per descrivere l’attività che caratterizza questi nuovi intellettuali attivi in rete.

In una critica, mossa da più parti a eFFe, gli interlocutori affermano che fare il blogger non è un lavoro e che questa situazione non è auspicabile. Un’affermazione del genere dimostra una certa disinvoltura nell’affrontare l’argomentazione del libro (a dire il vero alcune delle persone che l’hanno sostenuta ammettevano candidamente di non averlo nemmeno letto), innanzitutto perché eFFe parla di blog e non di blogger, distinguendo tra opera e autore, e soprattutto perché l’idea di pagare i blogger non è tra quelle che l’autore propone ai suoi lettori.

Ma se quest’idea non è presente nel libro, dove nasce questo equivoco? Come è possibile che all’autore venga rivolta questa critica?

A mio parere questa stigmatizzazione dell’idea che un blog possa diventare per il suo autore una fonte di reddito è un tic che rivela una forma mentale ben consolidata. Basta aprire un qualsiasi manuale di marketing digitale alla voce blog per trovarvi scritto che la forza dei blog risiede nella loro indipendenza di giudizio e che, dunque, pagare un blogger non è una pratica consigliabile in quanto il rapporto economico minerebbe alla base questa indipendenza.

Di fatto, però, come eFFe mette in luce molto bene, la logica del dono che il marketing digitale instaura in questo modo è altrettanto perversa. Questa logica presuppone che il soggetto più debole della relazione (il blog) abbia sufficiente consapevolezza, volontà e rigore per compensare il senso di colpa determinato da un mancato ricambio del dono.

Non è sempre così, ed eFFe lo mostra chiaramente nel passaggio dedicato all’accoglienza che l’ultimo libro di Paolo Giordano ha avuto su due dei principali blog collettivi italiani.

Questa nozione di marketing digitale riposa sull’idea che i blog siano spazi di espressione “amatoriali”, una visione perfettamente coerente con l’idea che il web 2.0 abbia consentito ai consumatori una presa di parola e la conquista di un’influenza prima sconosciute, trasferendo loro un grande potere nella relazione con le aziende.

Ma lo scenario è ancora questo? È possibile oggi considerare i blog solo e soltanto come spazi di espressione “amatoriali”?

A mio avviso lo scenario è più complicato e vale la pena provare a descriverlo. L’avvento dei social network sembra aver assorbito quel desiderio di espressione che aveva fatto della blogosfera uno spazio affollato e vivace. Tanto è vero che non passa dicembre senza che in rete escano almeno uno o due post importanti dedicati al “declino del blog”; un argomento che sembra essersi fatto genere a sé.

Certo sopravvivono ancora molti blog “amatoriali” dedicati ai più svariati argomenti, ma possiamo registrare anche la tendenza a usare i blog come spazi in cui professionisti di vario tipo ragionano sul proprio lavoro e fanno informazione di settore. Spesso questo genere di blog è associato a un sito personale che il professionista usa anche per vendere le proprie competenze e la presenza di contenuto serve per guadagnare autorevolezza in un settore e competere con altri professionisti dello stesso settore sui motori di ricerca.

Un modo, questo, del tutto professionale per usare un blog, che coincide con il lavoro. In questo caso la distinzione giuridica tra lavoro (retribuito) e attività (non retribuita) si fa così sottile da sfumare. Il blog diventa uno strumento professionale anche se l’attività di gestione dello stesso non viene retribuita da nessuno.

Per i blog collettivi descritti da eFFe la situazione è molto simile. Le redazioni di questi “nuovi intellettuali” sono formate da dottorandi, ricercatori, lavoratori dell’editoria o della comunicazione, grafici, informatici e altre categorie. Ciò che producono non ha soltanto un valore di carattere culturale, ma è l’espressione di competenze diversissime che cooperano al raggiungimento di un risultato.

Insomma, la domanda da porci è la seguente: è possibile che il marketing digitale riconosca questo mutamento di paradigma e si doti di nozioni e strutture in grado di riconoscere il valore di queste esperienze? Di farlo non soltanto in termini di accesso a degli strumenti di visibilità ma anche come modo per dare valore a competenze di carattere professionale in grado di creare valore per brand e prodotti?

Un esempio in questo senso ci viene dal settore fashion dove è da tempo attiva un’agenzia come Blogger Agency, che si occupa di intermediazione tra blog e marchi del settore.

È utile soffermarci sul sottile gioco semiotico tra trasparenza e opacità che caratterizza i prodotti editoriali di questa agenzia. I blog dell’agenzia hanno infatti una veste grafica simile, basata su semplici template blogspot, e uno storytelling tutto improntato alla spontaneità e al carattere amatoriale della comunicazione. Ma non serve avere un occhio particolarmente allenato alla sintassi del sito web per cogliere quei dettagli che richiamano alla presenza di un fattore che unifica tutti questi prodotti, ovvero l’agenzia; anzi a volte questa presenza è chiaramente denunciata.

L’intuizione di Blogger Agency è davvero felice: creare prodotti editoriali e usarli per vendere servizi (eventi live con le fashion blogger), contenuti (post e tweet) e spazi pubblicitari (banner).

Al netto delle differenze economiche e di valenza culturale tra il comparto editoriale e quello della moda (ma sempre di aziende stiamo parlando) cosa impedisce a quest’ultimo di pensare i propri investimenti promozionali in un’ottica di questo tipo?

Oltretutto ad attendere brand e aziende del settore culturale non ci sono, al momento, agenzie specializzate nell’intermediazione, ma un vasto panorama di blog estremamente validi per capacità e proposta culturale, in grado di proporre soluzioni di comunicazione e promozione innovative che le aziende spesso non hanno modo di sperimentare e adottare al loro interno. Riconoscere all’attività di questi blog il proprio carattere professionale non significa dare luogo alla distorsione di un patto fiduciario o alla dissoluzione di una norma sociale, ma prendere atto di una serie di cambiamenti che hanno interessato e stanno interessando la rete e il mondo del lavoro, ridisegnandone i rapporti in modalità inconsuete.

Resta solo da avere il coraggio di fare il primo passo, da parte di entrambi.

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