Razzismo e antirazzismo nei libri di testo

La critica al razzismo americano come strumento di auto-assolvimento.

Perché la morte di George Floyd, un uomo afroamericano, ha suscitato in Italia questo senso di sdegno, dolore, rivendicazione febbrile dei diritti civili per le persone nere oltreoceano ma lo stesso livello di sdegno e dimostrazioni di solidarietà, non sono stati messi in pratica, con questa velocità e potenza, per protestare contro le – molte – persone nere uccise in questo paese dal razzismo?

Così scrive Angelica Pesarini il 06 giugno. Questa è una domanda fondamentale, tanto più che non è la prima volta che l’Italia si sdegna per il razzismo negli Stati Uniti mentre ignora il proprio; al contrario, si tratta di una delle dinamiche cruciali in cui si articola la specifica forma del razzismo italiano.

Il razzismo contemporaneo si è formato nel processo di appropriazione di potere e risorse che è stato il colonialismo europeo. La legittimazione di colonialismo e schiavismo si è basata sulla creazione dell’idea di razze umane distinte e differenti, e sulla costruzione di idee e immagini che naturalizzavano l’oppressione delle “razze inferiori”. Spesso, nel discorso pubblico, il colonialismo italiano è ricordato come incidentale, di breve durata, e di poca importanza; allo stesso modo, il nostro razzismo di stato è ricordato come impostoci dal nazismo e fatto di malavoglia. Al contrario, le ambizioni coloniali e il razzismo che le accompagnava sono state componenti fondamentali e continuamente presenti nella formazione della nostra identità nazionale. Quando le forme più esplicite di questo razzismo sono state abbandonate, questo è avvenuto senza una riflessione critica sul nostro passato, ma spostando la visione critica oltreoceano. Per capire le odierne immagini dell’”Altro” è dunque necessario ripercorrere i processi storici in cui si sono formate e modificate.

Per osservare la costruzione delle nostre immagini della “razza” nella storia italiana può essere interessante esaminare estratti dai libri di testo delle scuole elementari, fonte privilegiata per capire le idee trasmesse come “sapere ufficiale” in un determinato momento su tutta la popolazione italiana. L’uso dei sussidiari a scuola era obbligatorio, e questi erano comunemente visti come un “compendio di verità indiscutibili.” I libri di testo da una parte rispecchiano le opinioni dominanti del periodo, e quelle che l’amministrazione scolastica e gli editori desiderano proporre, dall’altra vanno a riaffermare queste opinioni, essendo considerate fonti autorevoli, soprattutto agli occhi di un bambino. Guardare ai libri di testo ci permette di riflettere su: cosa ci è stato insegnato? Cosa dobbiamo sforzarci di disimparare?

In epoca fascista, i libri di testo italiani propongono una visione esplicitamente razzista e abbracciano le idee del cosiddetto “razzismo scientifico”, ma questa non è stata un’invenzione del fascismo; le stesse concezioni si trovano egualmente nei libri di testo di epoca liberale: dal momento della creazione dell’Italia come stato-nazione, “fare gli italiani” ha significato educare la nazione al razzismo. Una delle maniere più esplicite in cui questo si è articolato è attraverso le tavole della razza: rappresentazioni grafiche delle diverse “razze” accompagnate da una descrizione delle loro presunte facoltà fisiche e morali, con un chiaro ordine gerarchico: la «razza bianca o caucasica» è descritta come «la più bella, la più forte, la più intelligente». Qui ho riprodotto un esempio da un libro di testo del periodo liberale e uno del periodo fascista; rimando a Gianluca Gabrielli per uno studio esaustivo dell’argomento.

Con la caduta del Fascismo, cosa è successo al razzismo promulgato nei libri di testo? Inizialmente, poco o niente. In un primo momento, gli Alleati incaricano Gino Ferretti, pedagogista marxista, di redigere il nuovo curriculum. Il curriculum proposto da Ferretti include, tra riforme estremamente progressiste quali sostituire i sussidiari con materiali prodotti dagli studenti, introdurre forme di auto-gestione e limitare il ruolo dell’educazione religione, anche una forte critica all’imperialismo e all’etnocentrismo. Purtroppo, le idee di Ferretti vengono duramente contestate, soprattutto dalla Chiesa; gli Alleati dunque abbandonano le proposte di Ferretti e creano un nuovo comitato per il curriculum, includendo un rappresentante del Vaticano. Il nuovo comitato sceglie di costruire il nuovo curriculum intorno all’idea del Cattolicesimo come pietra fondante dell’identità italiana, e in molti aspetti semplicemente si torna al curriculum dell’età liberale e prima età fascista.

Dunque, se anche i toni razzisti più accesi vengono ora smorzati, le tavole della razza continuano ad essere usate per almeno quindici anni, come si può vedere nell’immagine che segue, tratta da un sussidiario del 1950. Le idee proposte nelle tavole della razza vengono rinforzate da altre pagine di geografia; soprattutto nei primi anni della Repubblica, troviamo commenti fortemente afro-fobici come «la razza negra è la più arretrata […] selvaggi […] brutti e scarsamente intelligenti», «i negri conoscono poche regoli di vita […] lavorare appena quel tanto che è indispensabile per non morire di fame […] lo stregone è il padrone di tutti». La presentazione dell’Africa come il continente più distante dalla civilizzata Italia viene trasmessa anche attraverso affermazioni geograficamente problematiche come «se vai verso l’Oriente c’è l’Asia e poi l’Africa». Il colonialismo continua ad essere giustificato in quanto missione civilizzatrice con gran nostalgia – «Che cosa mai non fecero gl’Italiani in queste Colonie! Mai una nazione s’é meritata la riconoscenza dei popoli soggetti come l’Italia» – ma occupa poche pagine dei libri di testo: la missione civilizzatrice è ora nelle mani dei missionari, che diventano il nuovo veicolo per parlare del “fardello dell’uomo bianco”: «molti missionari italiani avevano lasciato la famiglia e la Patria per portare la fede e la civiltà cristiana fra quelle popolazioni in gran parte ancora selvagge».

Razzismo libri testo

La particolarità del periodo repubblicano è che questo razzismo esplicito è accompagnato, negli stessi libri di testo, da aperti proclami di fratellanza tra popoli. Accanto alla tavola della razza’ dunque, troviamo la filastrocca: «Siamo vari di color, vari d’aspetto, in modo d’apparire brutti e belli; ma deve unirci insieme un solo affetto, perché il Signore ci creò fratelli.» (Si noti come la dicotomia brutto/bello continui a mantenere l’idea della differenza gerarchica tra le “razze”). I sussidiari invitano ad «amare l’umanità»; «in tutta la terra vi sono milioni e milioni di fanciulli: sono tutti vostri fratelli»; «siamo tutte creature dello stesso Dio». L’universalismo cristiano dunque propone l’idea degli italiani come naturalmente egalitari ed anti-razzisti grazie al proprio cattolicesimo. Questa apparente contraddizione può essere risolta considerando il comune obiettivo delle ‘tavole della razza’ e dei proclami di fratellanza: costruire l’italianità come bianca, civilizzata e superiore. La divisione gerarchica in razze e l’afro-fobia contribuisce chiaramente a posizionare l’Italia dalla parte dei colonizzatori bianchi, in un momento in cui la bianchezza degli italiani non era scontata a livello internazionale. Allo stesso tempo, bianco significa civilizzato, e civilizzato significa cristiano, educato e, sì, anche anti-razzista (a parole).

Negli anni Sessanta, soprattutto negli ambienti più progressisti, all’universalismo cattolico si sostituisce un anti-razzismo più militante, ma ancora senza andare ad affrontare la nostra storia coloniale e di razzismo di stato. Sebbene la categoria della “razza” continui ad essere usata nel capitolo di geografia, le tavole della razza scompaiono, insieme ai commenti più afro-fobici. È interessante andare a vedere la sezione di geografia nei sussidiari scritti da Alberto Manzi, celebre maestro degli anni Sessanta. I libri di testo di Manzi non solo smettono di replicare gli stereotipi che abbiamo elencato sopra, ma tentano di decostruirli: «Africa: per noi Europei un continente senza storia, selvaggio […] Invece, l’Africa è stata la culla della civiltà. Dall’Africa venne la prima scintilla del vivere civilizzato nel mondo». Non solo; questi testi propongono ideali anti-razzisti molto più netti della vaga fratellanza tra “razze” proposta dai testi precedenti, e il razzismo è nominato e condannato. In particolare, molte pagine vengono dedicate alla situazione degli afroamericani: schiavitù e segregazione vengono condannate, e attivisti come Martin Luther King celebrati. Troviamo materiali simili anche nei quaderni degli studenti di questo periodo, il che dimostra che la condanna della segregazione negli Stati Uniti e la celebrazione di MLK sono argomenti popolari. In un momento storico che vede lo sviluppo e la vittoria di movimenti di liberazione anti-coloniali e pan-africanisti, i progressisti italiani quali Manzi si allineano a un anti-colonialismo teorico e sono ben pronti a condannare il razzismo – purché si parli di quello degli altri.

Infatti, la presentazione del colonialismo europeo e soprattutto italiano rimane sostanzialmente acritica. Manzi scrive che «gli Europei diedero molto alle loro colonie», celebra i missionari e gli esploratori europei che hanno voluto «portare la civilizzazione alle persone nere»; sul colonialismo italiano, afferma che «hanno lavorato per il reale beneficio delle persone locali e, comunque, poterono mantenere le colonie solo per un breve periodo»; «gli Eritrei e gli Abissini non hanno dimenticato che abbiamo sempre agito con generosità». Nella stessa maniera, i suoi sussidiari trattano i campi di concentrazione nazisti, ma non le leggi razziali del Fascismo. Il razzismo di stato italiano e i nostri crimini coloniali rimangono ignorati. Insomma, il razzismo è qualcosa che succede altrove: il “vero” razzismo è quello degli Stati Uniti, e si replica l’idea di un “antirazzismo naturale” degli “Italiani brava gente”.

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