Prometeo ancora incatenato

Su Salute/malattia. Le parole della medicina di Franca Ongaro Basaglia

Voi che conoscete il mio lamento,
Voi che sovente, con collera amorevole,
Deste un nome alla mia colpa,
Sperando con pazienza,
La vostra pena è finita, miei cari!
E vuoto è il letto di spine,
Né più rivedrete il mesto
Infermo sempre in lacrime.

(Friedrich Hölderlin, Diotima, tr. it. di Luigi Reitani)

salute malattia franca ongaro basaglia
Foto dell’archivio Fondazione Franca e Franco Basaglia

A volte imprevedibili contingenze finiscono per caratterizzare in modo pervasivo il clima in cui un testo viene ripubblicato. Sta succedendo proprio in questi giorni in cui, in contamporanea alla ripubblicazione di Salute/malattia. Le parole della medicina di Franca Ongaro Basaglia (a cura di Maria Grazia Giannichedda, Edizioni Alpha Beta Verlag, pp. 256, 16 euro) nuovi inquietanti episodi si impongono sul tortuoso corso della lunga battaglia combattuta in questo paese per i diritti di donne e uomini.

Infatti, mentre il libro di Franca Ongaro Basaglia ritorna nelle librerie in questa nuova edizione – arricchita dal testo del discorso inedito che la senatrice tenne in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Sassari nel 2001 e dalla preziosa introduzione di Mariagrazia Giannichedda che restituisce alla tessitura dei concetti il loro meritato posto nella biografia dell’autrice- in commissione Affari Sociali della Camera, un gioco di sguardi sconci tra Lega e Pdl, permette il prolungamento dei tempi del Trattamento sanitario obbligatorio e istituisce «il trattamento necessario extraospedaliero prolungato, senza consenso del paziente, finalizzato alla cura di pazienti che necessitano di trattamenti sanitari per tempi protratti in strutture diverse» [1]. Certo, se questo fatto segnala da un lato la convergenza culturale di forze politiche che dell’incultura e della barbaritas hanno fatto armi di acculturazione di massa, dall’altro è l’ennesimo campanello d’allarme sull’arretramento del discorso giuridico, filosofico e politico sui diritti e sullo sforzo della loro affermazione in Italia. E allora come fare a rileggere Salute/malattiasine ira ac studio? Come ponderare quanta massa critica e quanta profondità di sguardo, si snodano lungo l’archeologia del sapere medico presente tra le righe del libro – sempre a fior di linguaggio – su quella superficie d’incontro tra le “Parole” e le “Cose” che Foucault riteneva essere il terreno nel quale si sperimentano pratiche e forme di organizzazione della vita nell’individuo e nella società [2]?

Andiamo con ordine e partiamo dalla composita struttura di questo testo, raccolta attorno alle voci della sezione di medicina che Franca Ongaro (alcune delle quali insieme a Franco Basaglia e Giorgio Bignami) aveva curato nel 1978 per l’Enciclopedia Einaudi. Nel 1982 queste voci (Clinica, Cura/Normalizzazione, Esclusione/Integrazione, Farmaco/Droga, Follia/Delirio, Medicina/Medicalizzazione, Normale/Patologico, Sintomo/Diagnosi) diventano un volume indipendente dal titolo, appunto, Salute/malattia. Ciò che potrebbe trarre in inganno è appunto la finalità enciclopedica, una pregiudiziale intenzionalità definitoria presente nella trattazione di parole come Clinica o Cura. Ma si tratta di un errore di prospettiva, di una valutazione preconcetta della quale il lettore si può liberare se guarda al non scritto, alla voce che il testo stesso vuole accogliere senza fornirle le parole esatte: la voce del margine, del corpo della donna e dei desideri del matto, dei bisogni dell’anziano e dell’immaginazione del bambino.

Basta guardare alla scansione delle voci, al modo in cui è attraversata trasversalmente dalla coppia protagonista della ricostruzione archeologica sull’origine del sapere medico: la coppia del titolo, quel salute/malattia rispetto al quale è possibile «capire la direzione delle scelte attuate dalla medicina nello spostamento dell’interesse dalla globalità individuo-società-ambiente all’individualità corpo-malattia, spostamento che consente di non occuparsi di ciò che nell’ambiente e nella società produce la malattia» [3]. Riprendere questa linea di fuga della modernità permette di risalire alle origini della rappresentazione di salute e malattia, di vita e di morte, come fenomeni naturali radicalmente distinti, come aspetti antinomici della stessa norma (conosci la tua natura) rispetto alla quale i poteri e i saperi irreggimentano, trasformano, tutelano gli individui e la società. Salute e malattia cessano di essere aspetti della stessa relazione che gli individui intessono con l’ambiente e il contesto socio-culturale nel quale esprimono la propria soggettività, per diventare categorie scientifiche attraverso le quali leggere e costruire la fissità del dato naturale, l’essenza biomedica di un individuo che è corporeità depotenziata dei bisogni, che è carne, materia prima della macchina economica. È in questo radicale mutamento paradigmatico subito ed esperito dalle soggettività marginali della modernità (i poveri, gli anziani, gli inabili al lavoro, le donne, i bambini e infine i malati di mente) che hanno origine le parole della medicina moderna. È in questo solco scavato dalla rivoluzione scientifica (XVII secolo) e istituzionalizzato dall’affermazione dello Stato liberale (XIX secolo), che l’arte del guarire ippocratica si rivolge all’organizzazione produttiva della società e dei gruppi che la costituiscono intersecandola per risorgere come scienza, come sapere e professione depositaria di segreti in grado di decodificare il corpo umano sovrapponendogli il simbolismo di uno schema matematico-quantitativo volto a spiegare, e con ciò ridurre, la miseria, la malattia, il disagio psichico alla unilateralità irrelata del dato biologico, alla diversità di un altro, oggetto di investimento di saperi e tecniche.

Sul filo della connessione tra rottura dell’antropocentrismo etico e circolarità del progresso tecnico/progresso scientifico [4] il sapere medico individua, distingue, classifica ma soprattutto opera quella rottura tra ambiente, individuo e società che ne moltiplica l’efficacia. Non fa eccezione la psichiatria che facendosi maschera della Ragione Umana, la ragione borghese trionfante dopo il 1789, impone alla follia il proprio linguaggio, impedendole «di parlare e di esprimere ciò che è, anche se – nei secoli – essa continuerà a darle e ridarle la parola» [5]. Non mancano certo gli episodi liberatori, le pieghe in cui inserire una contro-narrazione che cancelli questo “potere di dare e ridare la parola”, che vi sostituisca un nuovo potere costituente, che metta la psichiatria e con essa la medicina al servizio del potenziamento e dell’autodeterminazione del complesso somatopsichico umano. Sono le vie di fuga rappresentate dalla medicina pedagogica dei montagnardi, all’indomani della Rivoluzione, della più antica medicina illuminista che punta a leggere la malattia come espressione di un disagio sociale. Si tratta di fiumi carsici del sapere critico, costretti a farsi strada tra le manifestazioni massicce del sapere medico, condannati a controllare la propria radicalità, a nascondere la consapevolezza che miseria, malattia e follia irrompono lì dove sfruttamento, dominio, oppressione del debole orientano e danno senso all’organizzazione sociale. E di cui l’esperienza di Gorizia e della battaglia che porta all’approvazione e applicazione della legge 180 è solo ultima, precaria riapparizione.

Allora è proprio in questo gioco di ricerca e disvelamento di quel non pensato il quale sistematizza i modi di rappresentare degli uomini e reprime quelli radicalmente alternativi [6] che Franca Ongaro Basaglia rovescia il rischio di riduzionismo positivista insito nella forma divulgativa della voce enciclopedica, smascherando le incrostazioni naturalistiche che le parole della medicina impongono all’espressione residuale di soggettività, di complessità di bisogni e desideri, rappresentati dalla malattia, facendo emergere il vissuto traumatico della scoperta di corpi sofferenti nei manicomi degli anni ’50 e ’60. Il riferimento obbligato nella prassi di questo metodo che pensa il non-positivo, l’aconcettuale attraverso il concetto, è quella dialettica negativa che Adorno mette in piedi negli anni ’60, per mezzo della quale la clinica, l’ospedale, il farmaco diventano nell’argomentare della Ongaro Basaglia luoghi, dimensioni, strumenti nei quali e per mezzo dei quali gli uomini e le donne sono costretti a «pensare in positivo» e a vivere l’«estrema negatività» venuta al mondo secondo il filosofo ad Auschwitz e Hiroshima [7]. Ecco quindi che le parole della medicina vengono indagate a partire dal tradimento che il sapere medico ha compiuto nei confronti delle loro etimologie, per rovesciarle in strumenti di strutturazione teorica di questo naturalismo della soggettività che è la scienza moderna. Così la parola “clinica” vede mutare il suo significato da “narrazione della malattia spiegata al letto del paziente” a sguardo oggettivante che espelle la malattia e la morte dagli organismi umani, per lavorare, intervenire, trattare corpi, “manichini pedagogici” sui quali nasce e si sviluppa l’ospedale. E così anche la “cura”, perde l’emisfero lessicale della “preoccupazione”, della “sollecitudine interessata” per diventare “intervento organizzativo”, efficienza tecnica dello sguardo clinico, fulcro teorico dell’ospedale contemporaneo come fabbrica di cura, consenso e malattia. L’affermazione del sapere medico conduce infine alla risemantizzazione che è anche rovesciamento dialettico di categorie ancor più originarie, di nervature ancora più profonde, dei tradizionali loci antropologici. È in questa prospettiva che il paradigma dell’esclusione dell’altro, con la morte o l’allontanamento rituale, si rovescia nella sua integrazione attraverso la tutela invalidante (ospizio, ospedale, manicomio) e assistenziale (stato sociale) dello Stato liberaldemocratico. Ma perché la tutela che integra e neutralizza l’alterità si affermi del tutto è necessario che il passaggio alla modernità si compia con la negazione di questa stessa alterità, con diverse tecniche di assimilazione che vanno dalla sua riduzione a corpo (le donne, questo inestinguibile altro dall’uomo incatenato allo “scopo riproduttivo”), alla negazione del corpo (i respingimenti dei barconi del Mediterraneo come annullamento dei corpi dei migranti) e nell’introiezione della colpa (si pensi all’intervento delle etiche religiose nelle questioni bioetiche). Ed pur è sempre in questa prospettiva di rovesciamento dialettico, nell’egemonia del positivo medico e manicomiale che la follia cessa di essere il fenomeno opaco, non-presente indicato dall’etimo della parola (il follis è un sacchetto vuoto, pieno d’aria) per assumere la veste sinistra del delirio, della deviazione dal solco tracciato dalla norma.

Leggere Salute/malattia dopo la riforma psichiatrica e sanitaria del 1978, dopo il progettoObiettivo salute mentale del 1989, dopo la straordinaria mobilitazione del movimento antipsichiatrico nell’ultimo scorcio del XX secolo, significa allora guardare al riconoscimento della universalità dei diritti della persona senza dimenticare che ilconflitto, la dialettica degli opposti, non deve necessariamente risolversi nel disinnescamento del potere di negazione che uno dei termini ha sugli altri, ma può sovvertirsi in una possibilità di crescita, di ricomposizione dell’equilibrio individuo/società/ambiente. Perché in questo caso «accettare il conflitto significa allora tenere aperta la contraddizione, viverla e spostarla ad un livello sempre più alto per mutare, attraverso la risposta, la qualità stessa delle domande e la nostra stessa capacità di rispondere» [8].

Note

 


[1] www.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/454693/

[2] Cfr. M. Foucault, Nascita della clinica. Il ruolo della medicina nella costituzione delle scienze umane, tr. it. di A. Fontana, Einaudi, Torino 1969, p. 5.

[3] Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia. Le parole della medicina, Edizioni Alpha Beta Verlag, Bolzano, 2012

[4] Su questa connessione Franca Ongaro Basaglia anticipa alcuni spunti di riflessione della bioetica contemporanea molto presenti anche nel pensiero di Hans Jonas; cfr. H.Jonas,Tecnica medicina ed etica. Prassi del principio di responsabilità, tr. it. di P. Becchi, Einaudi, Torino 1997, pp. 7-36.

[5] Salute/malattia, op. cit., p.124.

[6] M. Foucault, op. cit., p. 14.

[7] Sulla “coscienza della negatività” cfr. T.W.Adorno, Metafisica. Concetti e problemi, ed. it. a cura di S.Petrucciani, Einaudi, Torino 2006, pp. 145-155.

[8] Franca Ongaro Basaglia, Salute/malattia. Le parole della medicina, Edizioni Alpha Beta Verlag, Bolzano, 2012

Print Friendly, PDF & Email
Close