Pratiche di vita sovietica

Nato in URSS – Vasile Ernu

di Milena Pavlović

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Art e illustrazione di copertina: IFIX

Nato in URSS (Hacca, 2010) è il libro d’esordio di Vasile Ernu, scrittore e filosofo romeno nato nella Bessarabia sovietica.

CCCP (acronimo russo SSSR, Союз Советских Социалистических Республик, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche) è la sigla che Ernu racchiude in una Pepsi. Lo scrittore romeno, classe 1971, presenta il suo primo lavoro con questa immagine di copertina, forse variazione di quell’“Enjoy CCCP” di Giovanni Lindo Ferretti realizzato ad imitazione grafica del marchio Coca-Cola.

La scelta di Ernu non è casuale. All’importanza testuale e contestuale dell’acronimo CCCP, lo scrittore accosta, in primis, l’immediatezza della fruizione di un’immagine i cui colori, comuni a molte delle bandiere nazionali dei popoli slavi, alludono ad una sorta di panslavismo, e, in un secondo momento, rimanda al significato mediato richiamante quei mondi, pubblicitario e mediatico, definiti da Ernu l’uno produttore di quei “consumatori” che hanno portato alla fine dell’Urss, l’altro produttore di una latente, perfida e sofisticata (e non palese come quella sovietica) propaganda di vincitori di guerra.

Vasile Ernu compie un lungo viaggio nella vita di un popolo che oggi non esiste più, se non nella memoria di tutti coloro che lo ricordano con una sorta di amara nostalgia.

Per mezzo di una divertente, e talvolta paradossale, aneddotica del quotidiano, lo scrittore guida il lettore nelle stanze più intime della vita quotidiana del sovietico, un essere umano dall’ideologia salda, dallo spirito temprato e dal fegato resistente.

Gli eroi, i džinsy, gli scacchi, Lenin, gli alcolici e gli stravaganti ricettari, la komunalka, la barzelletta, la žvačka, la “tualet” sono solo alcuni dei diversi, piccoli frammenti che compongono la vasta enciclopedia della bizzarra vita dell’homo sovieticus. È un racconto che, snodandosi pagina dopo pagina, propone una tesi fondamentale: esiste una zona della vita, che, a prescindere dal sistema, dalla repressione e dall’ideologia con cui si interfaccia, rimane incorrotta ed inalterata, continua a scorrere sempre uguale a se stessa. Seguendo tale principio, Ernu tratteggia rapidi e vivaci bozzetti di esistenza che definiscono l’habitus del nato in URSS.

Nato in URSS non è un libro di memorie, né, tantomeno, l’autore ha la pretesa di diffondere una verità storica o scientifica. Ad animare questo libro sono la nostalgia, la tenerezza, un’ironia che tesse e narra la dimensione di collettività del quotidiano sovietico, lo spirito comunitario sempre in procinto di perdersi. L’acme della collettività si raggiunge nello spazio domestico. L’uomo sovietico assocerà sempre la propria casa alla komunalka opponendo questa struttura alla semplice e vuota parola casa corrispondente all’effimero concetto di abitazione borghese. Non importerà essere nati con la nazionalizzazione e la distribuzione delle grandi case aristocratiche alla classe operaia, o essere venuti al mondo durante gli anni della corruzione, della morte ideologica, della corsa al comfort, gli anni in cui il sovietico si trasforma da produttore a ferreo consumatore, “il modello della komunalka perdura nelle nostre coscienze e nella nostra anima, lo abbiamo conservato e trasmesso religiosamente ai posteri”.

L’insieme di questi scorci di vita sovietica è il modo attraverso cui l’autore tenta di squarciare il telo di ipocrisia e meschinità in cui si è avvolto un immaginario occidentale che ha ritratto l’URSS come grigio blocco sovietico da annientare. Ernu prova a gettare una piccola luce su un mondo sconosciuto, mal ed incompreso da un Occidente da cui è stato inevitabilmente travolto ed asfaltato. È la storia di un popolo la cui coscienza tenta di rigettare e resistere collettivamente ad un maremoto culturale fatto di musica, stili e tendenze iniettati in maniera latente dal nemico capitalista e borghese. Nel modello comune, però, il loro rimane ancora dall’altra parte della cortina di ferro e il noi, continua ad essere rigorosamente distinto: “per noi, nella nostra essenza e intimità, era più familiare lo scambio delle merci in natura che lo scambio simbolico. Era più in linea con le nostre idee di verità, giustizia, sincerità”.

Lo scrittore romeno mette il lettore di fronte a delle esperienze che potrebbero essere quelle di qualsiasi ragazzo sovietico; egli, perciò, non pone delle distinzioni soggettive, ma si limita semplicemente a narrare le linee e le marche distintive di un popolo che si muovono nel tempo, si modificano in questo e talvolta vi si dissolvono. Ernu deve affrontare questa scomparsa. L’intero racconto pecca di un’eccessiva nostalgia che comporta la tristezza per la fine, il rifiuto del cambiamento, l’auspicio per il ritorno dell’era comunista. “I cremlinologi di produzione americana devono riconoscerlo: siamo noi che abbiamo fermato il comunismo. Badate bene, sto utilizzando il verbo fermarsi, non concludersi”.

Esistono due tipi di nostalgia: una è come un piccolo sussulto proustiano generato da un ricordo passato che ritorna alla memoria, l’altra è una sorta di male di vivere che pervade l’individuo, quell’offuscamento che incatena l’essere sociale al desiderio di retrocedere verso un passato idealizzato. Se le tradizioni sono ciò a cui la società dà vita per non recidere i legami col passato e per costruire un ponte con il presente, la nostalgia può prendere forma nella narrazione empirica delle pratiche sociali tradizionali, e in queste cullarsi.

Ma la nostalgia del passato perduto è stata anche il perno attorno cui sono state incardinate le rivendicazioni storiche e le politiche identitarie di quei nazionalismi che scatenano, ancora oggi, conflitti etnici e territoriali. La nostalgia intesa come slancio verso un passato ormai perduto è fittizia, inconcludente e fine a se stessa, ma diviene storicamente possibile nel momento in cui si aggancia a politiche e a movimenti che alimentano la sua stessa sopravvivenza.

L’affezione che, in Nato in URSS scorre vorticosamente verso il passato sovietico si offre, alla luce di queste riflessioni, a due scomode considerazioni: da un lato rischia di essere interpretata come un debole ed inascoltato lamento, dal lato peggiore, invece, come sintomo di un inadattamento al tempo storico presente.

Certamente Ernu non riesce a trovare posto in quel mondo che gli ha portato via tutto ciò che era, al tempo, la sua URSS; d’altra parte, è difficile credere che egli non abbia ancora una piccola speranza per il ritorno di quell’altro mondo, quello che ha fatto sì che il sogno della grande comunione di popoli, anche se solo per un attimo, si avverasse. D’altronde il comunismo, per lo scrittore romeno, è solo in sosta temporanea.

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