Pubblichiamo un estratto dalla prefazione di “Vincere o morire. Lezioni politiche nel Trono di Spade“, una raccolta di saggi – uscita in Italia per Nutrimenti, con traduzione di Amaranta Sbardella – curata da Pablo Iglesias, leader del partito politico spagnolo Podemos.
In questo particolare momento di emergenza sociale, in cui siamo chiamati a confrontarci con una grave crisi del mondo intero – economica, politica e istituzionale –, che senso ha scrivere un libro sul Trono di Spade? Non è forse un lavoro inutile? Non ci sono questioni più importanti di cui dovremmo preoccuparci nel dramma civile e politico che stiamo vivendo?
Per rispondere a questa domanda conviene prima chiedersi quali siano le ragioni del successo sia dei libri sia delle svariate stagioni della serie. A una prima analisi, si potrebbe affermare che la chiave di tale popolarità risiede solo in un’efficace combinazione di intrighi, violenza, avventura e sesso, inscritti in uno scenario dai toni romantici: insomma, una formula infallibile.
Tuttavia le ragioni sono ben più profonde: il panorama di distruzione dell’ordine sociale e politico che la serie mette in scena, e la feroce lotta di una manciata di regni per la conquista del Trono di Spade, minacciato dal collasso dell’intera civiltà, hanno molto in comune con il nostro pessimismo, fin troppo diffuso, e con l’oscuro presentimento che vorrebbe la fine della civiltà occidentale così come la conosciamo. Pessimismo che dilaga ormai in ogni aspetto della nostra vita – spirituale, personale, politico, lavorativo – specialmente nei Paesi più vessati dalla cosiddetta “crisi” finanziaria che ha avuto inizio verso il 2008.
Il contesto che la serie ci presenta è, prima di tutto, quello di una guerra tra diversi poteri, e il carattere morale di ogni personaggio emerge dal modo in cui contende agli altri tale potere. Noi tutti ci sentiamo parte di un assetto sociale ed economico in cui sono stati infranti quei patti che erano alla base della stabilità e della pace. I partiti che finora avevano tutelato la legalità hanno perso, forse in modo irreversibile, uno dei cardini su cui si reggevano; la sfiducia verso la casta dei governanti cresce sempre di più, e i governati hanno sempre meno motivi per starsene zitti e muti. Al riparo nei loro uffici e nelle sedi istituzionali, i capi cominciano ad avere paura, ma credono ancora che, finché controlleranno la legalità e manterranno il monopolio del Bollettino ufficiale dello Stato, potranno conservare quel potere che non hanno alcuna intenzione di cedere. Per certi versi si comportano quasi come Joffrey Baratheon, secondo il quale è sufficiente rimanersene seduti sul Trono di Spade per essere accettati quali legittimi rappresentanti del potere.
Eppure ai nostri giorni è proprio questa legittimità a vacillare: non si possono più mettere a tacere le richieste dei cittadini, che reclamano un rinnovamento della vita pubblica. Non si possono più ignorare i massicci consensi trasversali – per esempio, le riforme legislative sulla casa che propone la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (Pah), ovvero il movimento per le vittime dei mutui; la pretesa per una lotta efficace contro la corruzione; la ferma difesa del diritto alla sanità e all’educazione –, perché altrimenti crollerebbe il principio di legittimità su cui si fonda il governo democratico, che ha il dovere di andare incontro alle necessità dei cittadini. Cittadini i quali, non lo dimentichiamo, chiedono sempre più di riprendersi un potere che spetta loro per diritto.
Ed ecco, allora, una delle principali lezioni del Trono di Spade: in politica non c’è mai spazio per la legittimità in astratto, per quella legittimità che non è disposta a diventare potere politico alternativo e quindi a mettersi in discussione. La nascita, i diritti dinastici, la stirpe, il sangue o l’eredità non possono mai presentarsi come un’opzione legittima se prima non diventano un’opzione reale.
È questo il caso, ad esempio, della Khaleesi: è perfettamente consapevole che, in un mondo terribile come quello in cui vive, diventa di cruciale importanza possedere l’esercito più grande, le armi migliori – i draghi – e comandare con polso fermo. Ha provato sulla sua pelle che i deboli non potranno mai scegliere tra il potere e il non potere, e che invece questo lo impugna chi li incatena o dalle catene vuole liberarli. Sa che può guadagnarsi il rispetto dei popoli, che può mostrarsi come una leader in cui tutti crederanno. Ma sa pure che senza draghi non potrà diventare una vera leader né affrancare nessuno, poiché ci saranno sempre altri più forti a imporre le catene e la schiavitù; e, come la legittimità le ha dato il potere, sa che i draghi e gli eserciti le daranno una nuova legittimità. Non è solo moralmente credibile e meritevole quanto uno Stark: la Khaleesi ha dalla sua un progetto politico realizzabile, plausibile, reale, nel quale si può riporre una speranza concreta.
Verso la fine della terza stagione il potere della Khaleesi esplode letteralmente. Ha i draghi, che già da soli la rendono un’ottima candidata al trono; è riuscita a radunare un formidabile esercito, numeroso e formato da soldati scelti; regge nelle sue mani un potere temibile, al quale aggiunge la legittimità che si è conquistata man mano, mangiando un cuore crudo, parlando la lingua del suo popolo, sopravvivendo al fuoco, permettendo alle uova dei tre draghi di schiudersi o liberando gli schiavi di intere città. Daenerys Targaryen dissemina così il suo cammino di azioni che la fanno emergere come opzione legittima al potere. Quando la sua traduttrice Missandei riferisce solennemente agli schiavi che devono la loro libertà a Daenerys nata dalla Tempesta, la non bruciata, regina dei Sette Regni di Occidente e madre dei draghi, questa le fa segno di tacere e pronuncia le seguenti parole: «Non mi dovete la vostra libertà. Io non posso darvela. Non mi appartiene, quindi non posso darvela. È vostra, e vostra soltanto. Se la rivolete, dovrete riprendervela da soli. Ognuno di voi» [“Mhysa”, S03E10].
Se non avesse saputo parlare al cuore degli oppressi, Daenerys non avrebbe ottenuto la legittimità; ma quella stessa legittimità non serve a nulla senza un catalizzatore che la trasformi in potere. È soltanto grazie a questa, quindi, che man mano riesce a conquistare, a dimostrare di essere all’altezza di un grande potere, ed è grazie a questo potere che riesce a confermare e accrescere la sua legittimità.
Potere e legittimità risultano strettamente connessi, pur non essendo della stessa natura. Senza le sue gesta “esemplari”, la Khaleesi non otterrebbe la legittimità e il riconoscimento con cui, a sua volta, acquisisce maggiore autorità. Il suo progetto politico di rottura dell’ordine prestabilito dipende proprio dal carattere eccezionale delle sue imprese. In un progetto di rottura ed emancipazione, senza legittimità morale non c’è potere. Lei stessa ha visto con i suoi occhi il deteriorarsi di quella legittimità priva di potere: poco prima che si schiudessero le uova del drago, i Dothraki stavano per ritirarle il loro appoggio, e non perché fosse meno degna o meno legittima, bensì perché incapace di proporre un cammino reale e fattibile.
Daenerys supera la propria vulnerabilità di donna in un mondo spietato con le donne, e non ignora che dovrà poi imporsi sull’intero Occidente, sui Sette Regni, grazie ai suoi eserciti e ai suoi draghi, perché altrimenti la pace che ha guadagnato per sé e per gli schiavi diventerà troppo fragile: i deboli hanno bisogno del potere del trono, della pubblica potenza, ancor più dei forti, dal momento che questi possono contare sui propri mezzi, con cui opprimono i deboli e si difendono da altri pari. La Khaleesi non ignora perciò che per qualsiasi progetto politico (non solamente morale) senza potere non c’è legittimità.
Il mondo del Trono di Spade, proprio come il nostro, è una complessa scacchiera con numerose tensioni e lotte per la supremazia. È impossibile sconfiggere la violenza e il potere: l’unica soluzione è appropriarsene e, una volta neutralizzate le altre forze in campo, metterli al servizio di un determinato principio di legittimità. Per dirlo in termini diversi, non esiste una legittima legittimità senza potere, anche se un grande potere senza legittimità può durare interi secoli: ecco il vero dramma della politica. I despoti, i tiranni, gli oppressori non hanno bisogno di giustificazioni, perché possono imporre il terrore, governare attraverso la paura e affermare principi di legittimità – religiosi, tribali, identitari – costruiti su misura per loro e volti a potenziarne la forza. Tuttavia i giusti e gli onesti non possono divenire legittimi a tutti gli effetti se prima non hanno accesso al potere.
Eddard – Ned – Stark è senz’altro una persona moralmente ineccepibile, è un eroe morale. Ciò nonostante, ci chiediamo, l’equilibrio, il mondo che deriva dalle sue azioni, è moralmente migliore o peggiore di quello che proviene dalle mosse di un Lord Varys, di un Tyrion o di una Khaleesi, personaggi di natura più politica che morale? È moralmente migliore una società in cui gli innocenti sono costretti a fuggire e a nascondersi mentre la tua testa rotola a terra, o una dove rimane un margine di azione per il potere e per annientare il dispotismo e la tirannia?
L’onore degli Stark avrebbe di certo senso in una società più giusta, che però va conquistata. Solo se fingiamo di non vedere quanto sia tremendo vivere dove le leggi non guidano il potere e la legittimità, possiamo preferire un cammino che, invece di combattere il totalitarismo, ne fa il gioco. In un contesto crudele come quello della serie, l’unico risultato delle nostre “buone azioni” può essere un’umanità peggiore, più ingiusta e più spietata. Ma l’eroe morale, come Eddard Stark, non si preoccupa che il mondo sia buono: l’importante è che sia lui il buono (modo curioso per dimostrarlo!).
Come nel Trono di Spade, noi stessi ci troviamo ad affrontare una situazione di incredibile complessità politica, e sentiamo l’imperativo di fare qualcosa per cambiare questo sfacelo, e farlo subito. Perché ogni secondo che passa senza cercare di rendere più democratici i luoghi in cui si prendono le decisioni, i potenti si arricchiscono sempre più e le persone comuni soffrono sempre più gratuitamente. Democratizzare consiste semplicemente nel restituire alla gente la capacità di decidere della propria vita, una capacità che ci è stata sottratta e che deve essere riguadagnata. Diceva Ser Jorah Mormont che «il popolo prega per la pioggia, per la salute e perché l’estate non finisca. A loro non interessa il gioco del trono degli alti Lord» [“Il giuramento”, S01E04].