400ISO – Poetica degli spazi industriali e riscritture artistiche: le #OfficineReggiane

Il reportage di Marco Mondino e le fotografie di Alessandra Calò ci accompagnano nell’esplorazione delle Officine Reggiane, uno spazio abitato dalle opere degli street artist e dalla memoria del Novecento emiliano.

Capita di percorrere luoghi densi di street art, vere e proprie collezioni visive che si presentano in sequenza negli spazi urbani o extraurbani. Lo sguardo d’insieme lascia il posto a una visione tesa a cogliere i dettagli, i sistemi di relazione e le articolazioni che si creano tra le superfici e ciò che gli sta intorno. Le aree abbandonate poste ai confini dell’urbano diventano spesso potenti generatori di nuove significazioni, spazi in cui prendono vita nuove pratiche e nuovi usi e in cui, spesso, il linguaggio artistico si insinua contribuendo a dare vita a progetti a lungo termine.

 

_1MG_0397

Arrivato a Reggio Emilia un messaggio mi avverte che appena sceso dal treno devo seguire il sottopassaggio e fermarmi davanti al graffito di un elefantino con un rotolo di carta igienica. Dopo qualche minuto di attesa arriva quella che sarà la mia guida all’interno delle Officine Reggiane, uno street artist del Collettivo Fx.

L’insegna gialla con la scritta “Reggiane” campeggia ancora in alto in uno degli edifici e le lettere corrose dal tempo costruiscono l’immagine di una cartolina degli anni che furono. Qui sono stati prodotti aerei civili e militari, locomotive, gru e nel 1950 ha preso vita una delle più grandi occupazioni della storia operaia italiana contro un piano di 2100 licenziamenti. Ripercorrere la storia di questo luogo significa riattraversare la storia italiana dai primi del 900 fino al 2008, anno della chiusura e del rilevamento dell’azienda da parte di una multinazionale americana che ha trasferito sede e produzione.

_1MG_0417

Camminiamo e discutiamo della storia delle Officine e del piano di recupero di una parte della struttura, superiamo un prato verde e arriviamo a uno dei primi capannoni. D’ora in avanti attraverseremo questi spazi svuotati dalla loro funzione originale e reinvestiti di nuovi usi e valori. Se da un lato c’è la storia di un passato industriale e produttivo dall’altro ci confrontiamo con un presente labile, fatto di materassi e coperte, scatolette e resti di cibo sparsi in diverse zone. Ci sono angoli e nicchie in cui alcuni senzatetto si riparano lontani da sguardi indiscreti. Li vedi rientrare a diverse ore del giorno con sacchetti e cibo e trovare un posto nella sede degli ex-uffici trasformati oggi in uno spazio di vita temporaneo.

C’è poi un racconto che si costruisce sui muri, attraverso i segni visivi che si susseguono con regolarità e sequenzialità sia negli interni che negli esterni. Se da un lato ci sono le macerie, le schegge e i frammenti, dall’altro i muri segnano nuove traiettorie e invitano a guardarsi intorno.

_1MG_0392

La street art costruisce la possibilità di nuovi percorsi e nuove visioni e all’effetto d’insieme si sostituisce gradualmente l’idea del dettaglio. Dal contenitore ci si sofferma così sul contenuto e ci si ritrova a osservare le opere che si susseguono.

Tag sofisticate e pezzi figurativi giocano con le superfici, con le loro imperfezioni e sfruttano aperture e finestre frantumate. Mi soffermo davanti al viso dipinto di Nina Simone e il Collettivo Fx mi racconta che questo è stato uno dei primi pezzi realizzati alle Reggiane. I visi di personaggi celebri continuano a circondarmi, c’è quello di Borges, di Muhammad Alì o ancora di Jean Dubuffet. Si tratta di una vera e propria costante figurativa che emerge lungo il tragitto. Provo a riconoscerli, ogni tanto chiedo al mio accompagnatore e ogni nome è una storia, un nuovo racconto che si apre.

_1MG_0387

Continuo con le soste e con le domande, prendo appunti, scrivo i nomi degli artisti e in poco tempo inizio a riconoscere gli stili e tiro a indovinare. Con una Montana hardcore tento anche di segnare uno dei muri ma con scarsi risultati, il gesto deve essere veloce ma non riesco a tirare fuori una lettera dai contorni, chiari piuttosto un abbozzo sfumato. Passando da un capannone all’altro, che nel giro di pochi anni sono stati deprivati di ferro e rame, non smetto di osservare, il ritmo delle opere si fa sempre più insistente e al contempo c’è la voglia di non perdersi nulla, di riuscire a vedere fino all’ultimo centimetro di muro. Se alcuni interventi sembrano nascondersi ed è possibile scovarli allenando lo sguardo con pazienza, altri sono invece grandi, grandissimi, ricoprono intere superfici e gli effetti si costruiscono a partire dai diversi punti di osservazione.

Le Reggiane, in questi tre anni, sono diventate una vera e propria palestra per writer e street artist, sono lo spazio in cui allenarsi prima di scendere in strada È un quaderno degli schizzi dove mettersi alla prova e dove confrontarsi, è come un’accademia dove scambiarsi consigli e idee. Se la strada è il luogo dell’azione e della performance questo diventa il retrobottega, accessibile agli addetti ai lavori. Negli spazi urbani la street art è spesso effimera, c’è una sorta di selezione naturale e molti lavori spesso spariscono, qui invece la traccia permane. Non ci sono sovrapposizioni, piuttosto alcuni lavori nascono a partire da forme di collaborazione e alcune opere si costruiscono attraverso aggiunte realizzate a più mani.

_1MG_0414

La presenza di centinaia di pezzi rende le Reggiane un vero e proprio “museo” d’arte urbana, uno spazio d’azione in cui si manifestano le molteplici forme del writing e della street art.

A rendere omaggio a questi spazi e all’immensa galleria di lavori ci ha pensato anche Ligabue che ha ambientato qui uno dei suoi ultimi video, mostrando l’articolazione delle diverse zone della fabbrica (fonderia, officina, catena di montaggio, reparto verniciatura, uffici) e valorizzando le differenti forme di street art presente negli spazi interni.

La street art è un’arte nomade, non sempre ha dei luoghi d’espressione fissi, il racconto si costruisce spesso a partire dalla costruzione di una discontinuità nello spazio cittadino. Allo stesso tempo certi contenitori possono dare vita a una forma stanziale attraverso pratiche ripetute. Le officine Reggiane appaiono come un grande terrain vague, uno spazio di negoziazione in cui le tracce del passato industriale entrano in relazione con pratiche artistiche che provengono dal basso. Non siamo in presenza di un semplice reperto industriale, di una forma statica posta ai confini dell’urbano, ma di uno spazio dinamico in cui il passato presupposto entra in relazione con le prefigurazioni future e in cui la street art e il writing costruiscono nuovi percorsi di senso. Attraversare le Reggiane significa porsi anche in uno stato d’immaginazione, vedere oltre il passato e il presente possibili nuove storie e configurazioni, costruire nuove poetiche degli spazi che riescano a far intravedere ulteriori sviluppi.

Tra le “firme” che hanno lavorato all’interno delle Officine ci sono: Gas, Hang, PsikoPatik, Collettivo Fx, Blu, Reve, Lyra, Caker, Evyil, Lante, Rhiot, Clean, Bibbitó, Random, Reqvia, Shake, Koka, Astro Naut, Sbieco, Proff, James Kalinda, Centina, Nemo’s , Sting, l’Amico, Cizio.

Le fotografie di Alessandra Calò sono state scattate di notte all’interno dei capannoni delle ex Officine Meccaniche Reggiane, con un tempo di posa molto lungo e la sola illuminazione di una torcia elettrica.

Print Friendly, PDF & Email
Close