Pocket Money. Piccolo lessico del grande esodo

Pubblichiamo il lemma “pocket money/la paghetta dei rifugiati” di Nijmi Edres, parte di una raccolta di ottanta lemmi sulla crisi migrante pubblicata recentemente da Minimum Fax (a cura di Fabrice Olivier Dubosc e Nijmi Edres). 

 Scandalo pocket-money. 40 euro al giorno agli immigrati”. “Emergenza profughi: che fine fanno i 35 euro al giorno?”. “Povera Italia: un immigrato costa il doppio di un agente.” 

Titoli di giornali. Assiomi confezionati da spacchettare con sdegno nelle argomentazioni socio-politiche del lunedì mattina mentre si attende il proprio turno dal dottore. Intanto anche nel palazzo di fronte, fuori dall’ufficio del progetto SPRAR, c’è la fila. Gli operatori hanno già diviso le banconote e si apprestano a far firmare le ricevute ai beneficiari che devono ritirare il pocket money mensile. Tariq tiene le mani incrociate dietro la schiena e attende il suo turno. Lo sguardo fisso sul pavimento, sente il brusìo dei suoi compagni in lontananza ma non ascolta, è concentrato sui suoi calcoli: si chiede come userà quel denaro, certo telefonerà a sua madre in Afghanistan. Sono passati quasi sei anni da quando le ha baciato la fronte l’ultima volta.

Solitamente riesce a dividere i due/tre euro giornalieri nelle seguenti spese: 

Comunicazione: il telefono rappresenta l’unico modo di raggiungere i suoi parenti lontani e mantenere il filo del discorso, restare concentrato sulla suaidentità, messa a dura prova dalla solitudine e dalle angustie del viaggio. 

Piccole spese: una bottiglietta d’acqua, un pacchetto di sigarette. 

Beni voluttuari: “chissà se, con un paio di scarpe nuove, le persone sull’autobus smetteranno di guardarlo con diffidenza?…e chissà se con una camicia e una cravatta pulite l’impiegato dell’agenzia di lavoro gli darà l’opportunità di fare un tirocinio in fabbrica?…”. 

Tariq spera che prima o poi riuscirà a trovare un lavoro che gli permetta di risparmiare qualcosa per aiutare chi è rimasto nel paese d’origine, riponendo nel suo progetto speranze di salvezza. Il carico di pressione e di aspettative, proprie e dei suoi cari, è alto.

I fondi stanziati dal Ministero dell’Interno per la gestione dell’accoglienza di ogni rifugiato o richiedente asilo: 35/40 euro giornalieri per “beneficiario” corrispondono al finanziamento dato – pro capite nel linguaggio istituzionale – per i costi complessivi di vitto, alloggio, compreso il pagamento del personale. Sono definiti valutando singoli progetti presentati dagli enti che partecipano al bando Sprar con l’obbligo di presentare un piano finanziario, e rispettarlo. Parte di questa somma, da uno a tre euro al giorno, rientra nel cosiddetto pocket-money. Cifre effettive e modalità di somministrazione variano in base alle scelte dell’ente. Mensile (dunque un massimo di 90 euro!) o meno ma spesso un obolo, che, secondo i manuali per gli operatori e la fumosa documentazione a riguardo, dovrebbe avere rilevanza educativa (acquisire di maggiore confidenza con la valuta e testare direttamente il costo della vita in Italia).

Sarà forse per tale rilevanza educativa che in molti casi quelle poche decine al mese di euro vengono ridotte, o tolte, quando l’andamento dell’accoglienza diverge rispetto al previsto: sanzionando con una decurtazione della paghetta l’assenza a un corso o un comportamento troppo rivendicativo.

Uno progetto che pretende di essere pedagogico occultando carenze di fondi e malfunzionamenti strutturali (come emerso da recenti scandali) e che sopratutto rischia di infantilizzare e  svalutare le capacità del beneficiario, pericolosamente ridotto al ruolo di educando, senza considerare l’accumulo di saperi e di esperienza di vita pregressa o acquisita durante la delicata e certamente provante fase del transito.

 

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