“Ossa di sole” di Mike McCormack è un romanzo sorprendente.
Marcus sente suonare delle campane: è «la campana dell’Angelus a mezzogiorno, suona nella luce grigia». Si trova a casa sua, seduto al tavolo, e il suono della campana scatena in lui un flusso di ricordi e pensieri sulla propria vita assecondato e riflesso dal flusso di parole che lo racconta: è Ossa di sole, dello scrittore irlandese Mike McCormack, tradotto da Luca Fusari e pubblicato dal Saggiatore.
«la campana sento proprio da qui
la sento suonare nella luce grigia di questo
mattino, pomeriggio, o sera
chissà»
Marcus è un ingegnere, vive nella contea di Mayo, una regione poco abitata dell’Irlanda, con sua moglie Mairead e sua figlia Agnes, mentre l’altro suo figlio, Darragh, sta cercando fortuna in Australia. Marcus lavora per l’amministrazione locale, e fra i suoi pensieri e ricordi ci sono anche i conflitti con i politici del posto, che vorrebbero piegare le sue valutazioni tecniche e le sue autorizzazioni alle loro esigenze elettorali. Intanto, Agnes si fa un nome nel mondo dell’arte grazie a un’installazione piuttosto radicale che farà pensare a Marcus
«Gesù Cristo
fa’ che responsabile di questo
sia una visione del futuro
e non un supplizio del passato»
Ovvero qualcosa che potremmo attribuire non solo all’episodio in questione, ma a tutta la vicenda esistenziale sviscerata da questo libro.
Intanto il rapporto fra il fratello di Agnes, Darragh, e il padre si fa complicato e distante; e sua moglie Mairead si ammala, insieme a tanta altra gente del posto, per un virus che ha infestato le acque della cittadina dove vivono; e così via, in un susseguirsi di avvenimenti della vita quotidiana di una famiglia non diversi da quelli che tutti noi, in un modo o nell’altro, sperimentiamo con le nostre famiglie, amici e concittadini.
Nel ripercorrere con la memoria questi eventi della sua vita e di quella delle persone a lui vicine, i pensieri di Marcus seguono il flusso dei
«riti, ritmi e rituali
che quotidianamente sostengono il mondo, ossa di sole, quel rarefatto amalgama di tempo e luce il cui sviluppo è visibile ogni minuto del giorno sin dal momento del mattino in cui mi alzo e con una tazza di tè in mano vado alla finestra della cucina a guardar passare sulla strada le prime auto»
Mike McCormack riesce a immergerci nei pensieri di Marcus attraverso uno stile che unisce un livello lirico costantemente molto alto – i paragrafi inspirano ed espirano sciogliendosi spesso in versi poetici, prima d’inspirare ed espirare di nuovo e ricomporsi in prosa pronta a sciogliersi appena necessario – a un’inaspettata semplicità (la storia si svolge in un giorno, è ambientata in Irlanda e non ci sono punti fermi: no, Joyce non c’entra, o c’entra poco) e una sorprendente capacità di coinvolgimento: Ossa di sole è uno di quei libri in cui ci ritroviamo oltremodo appassionati da una serie di vicende che, se le raccontassimo in una semplice sinossi, apparirebbero fin troppo ordinarie e non così degne della nostra attenzione di lettori, esigenti o meno. Al contrario, il suono delle campane dell’Angelus lo sentiamo anche noi, e sarà difficile che quelle vibrazioni dell’aria, insieme alle parole di McCormack, non ci costringano a immaginare quali sarebbero i pensieri che avremmo se al posto di Marcus ci fossimo stati noi, ognuno nel suo personale «amalgama di tempo e luce», ognuno di fronte alla propria vita, com’è stata, com’è, come avrebbe potuto essere, o dovuto, o chissà cosa.
«come la campana dell’Angelus
di cui ancora sento l’eco, una singola nota che suona nel giorno luminoso come se il mondo intero vi fosse appeso»
[Viene in mente un altro grande romanzo che inizia proprio con il suono di una campana lontana: Satantangodi László Krasznahorkai: «Una mattina di fine ottobre, non molto prima che sul terreno screpolato e salmastro a ovest dello stabilimento cominciassero a cadere le prime gocce delle interminabili e inesorabili piogge autunnali (il fetido mare di fango che si sarebbe creato avrebbe poi reso impraticabili i sentieri campestri e quindi irraggiungibile la città fino all’arrivo delle prime gelate), Futaki venne svegliato dai rintocchi di una campana»].
Le pagine di Ossa di sole scorrono senza che un punto fermo ne interrompa mai il flusso, neanche dopo l’ultima – notevole – parola del libro. Non è tanto questa scelta stilistica radicale a impressionare (pensiamo per esempio a Zona di Mathias Énard, tradotto da Yasmina Mélaouah): impressiona piuttosto la constatazione secondo cui nessun altro approccio stilistico avrebbe potuto essere più adatto alla poetica e all’obiettivo del libro, e alle profondità emotive ed esistenziali che scandaglia con una chiarezza e un’efficacia che solo la migliore letteratura sa raggiungere. E a tutto questo si aggiunge la perizia con cui Luca Fusari (che qui racconta il suo rapporto con Ossa di sole) ha saputo assecondare la lingua di McCormack e il significato profondo della sua operazione letteraria. Operazione che, in un passaggio del romanzo, l’autore pare riassumere con una sorta di breve dichiarazione d’intenti: «queste associazioni sciolte, echi mentali in cui risuona la nostra ansia di stare svegli e vigili sul mondo o perlomeno attenti a quante più delle sue circostanze sappiamo cogliere».
Prendere sul serio la «nostra ansia di stare svegli e vigili sul mondo» è proprio quello che Ossa di sole ritrae in una delle sue possibili intime declinazioni. Lo fa attraverso una forma letteraria che riesce a farci sentire vicino il narratore come fosse il signore malinconico della porta accanto e, allo stesso tempo, un profeta che annuncia sventura attraverso il racconto della propria vita ordinaria, perché del resto non sono poche le angolazioni da cui qualsiasi vita ordinaria può apparire come nient’altro che un alternarsi di momenti di bellezza vana e di sventure più o meno camuffate da banali “cose della vita”. E questo include quello che avverrà nel finale di Ossa di sole, così prevedibile eppure sconvolgente: come tutto il libro, del resto.
«i nostri profesti fuori di sé
che venivano a noi stralunati e sporchi di merda, dando l’allarme, veggenti e peccatori insieme e parlando una lingua giunta dai confini della ragione il cui messaggio tradotto in parole povere fosse
siamo fottuti»
Marcus racconta di una fase complicata della sua vita con Mairead, quando l’aveva tradita solo pochi prima della nascita della loro figlia, Agnes. Il racconto del momento in cui quella crisi si è sciolta e in cui è iniziata una loro seconda vita insieme commuove sia per la vicenda in sé sia per il modo in cui McCormack la racconta, facendone di nuovo un momento in cui si potrebbe parlare tanto della vita di Marcus quanto del romanzo in sé, e forse della letteratura tutta:
«aggiustare ciò che ci aveva portati al punto in cui stavamo, uno di fronte all’altro in cucina separati da un abisso, pienamente consci che con le parole che stavamo per dire avremmo definito il modo in cui sceglievamo di passare il resto dei nostri giorni insieme»
Arrivati alla fine del flusso di pensieri di Marcus – che fa corrispondere il tempo della sua vita con «l’esatto umore della mia veglia a questo tavolo da quando la campana ha suonato l’Angelus» – viene da pensare che non ci potrebbe essere altro modo di raccontare un’esistenza se non quello plasmato da McCormack, perché è tutto lì, tutto nell’equilibro fra prosa e poesia, è nell’esattezza della poesia e nei tentativi di approssimazione della prosa che sta tutto, e che stiamo tutti. Esistono altri modi di tradurre tutto questo in letteratura o altre rappresentazioni, certo, ma le grandi opere d’arte hanno questo potere di farti pensare che no, non potrebbe essere altro che così, non potrebbe esistere altro modo per dire con onestà tutto questo. E allora, alla fine di libri del genere, potrebbe succedere di provare quello che prova Marcus un giorno mentre è seduto in un caffè nel suo angolo sperduto dell’Irlanda, da solo con i suoi pensieri e i suoi ricordi, circondato da estranei che si fanno gli affari loro e che, nonostante questo, lo fanno sentire amato e protetto:
«in questo esatto momento del tempo e quest’onda di gratitudine e terrore mi si abbatté dentro con tale violenza che temevo di mortificarmi scoppiando in lacrime in un’estasi di gioia e terrore per il mondo e ciò che conteneva, una sensazione così spontanea e così disarmante che il massimo che riuscii a fare per restare padrone di me fu darmi il contegno necessario a sgusciare tra i tavoli e pagare il conto alla cassa»
Voltata l’ultima pagina di Ossa di sole, che sta ricevendo numerosi premi e lodi, rimane solo da prendere una decisione: sperare di sentirla prima o poi anche noi, quella campana, seduti al tavolo, oppure temerne il suono, spaventati dall’eventualità di fare quello che fa il protagonista del romanzo, Marcus: ripercorrere la propria vita non tanto per un bilancio, quanto per un momento di verità personale in cui potremmo accorgerci che, a differenza di quel che pensa lui e che McCormack scrive, una «visione del futuro» non è mai qualcosa di separabile da un «supplizio del passato», tantomeno nella letteratura più spietata e bella.