Un omaggio a Indymedia, l’umile precursore del mediattivismo

Pubblichiamo la traduzione dell’articolo “A tribute to Indymedia” di Tom Liacas apparso su #socialforsurvival. L’articolo è un draft del libro di Liacas dedicato alla genesi dell’Indymedia network e dell’attivismo digitale. La traduzione è a cura di Pasquale Schiano.


Per coloro che avevano a cuore le condizioni del pianeta, tra le granate assordanti e i gas lacrimogeni delle proteste contro il WTO a Seattle, nel dicembre 1999, nasceva una nuova speranza. Le migliaia di persone accorse per combattere le ingiustizie e la devastazione ambientale degli accordi commerciali, stavano realmente assumendosi i problemi del mondo nella loro complessità. Ancor di più, essi contestavano lo strapotere della finanza globale, così come i propri governi, fin troppo felici di rendergli le cose più facili. Ma questa volta il movimento aveva un asso nella manica, un vantaggio strategico che avrebbe reso questa mobilitazione diversa dalle altre.

Questa doveva essere la prima auspicata collaborazione tra attivisti, geek socialmente consapevoli e top manager dalle grandi idee, e non sarebbe stata l’ultima. Qui a Seattle l’attivismo hi-tech avrebbe ricevuto il suo battesimo di fuoco e avrebbe mostrato il suo ruolo di strumento indispensabile per l’organizzazione e l’amplificazione dei movimenti sociali.

La “battaglia di Seattle”, come l’avrebbero chiamata, coinvolse centinaia di migliaia di persone in azioni di disturbo per le strade della città fino alla chiusura del vertice del commercio, per lo più attraverso pratiche di resistenza non-violenta. Le dimensioni della mobilitazione e il coordinamento tattico degli attivisti colsero la polizia del tutto impreparata. Le forze dell’ordine, con futuristiche tenute antisommossa, diedero il via a impanicati tentativi di sgomberare i manifestanti attraverso l’uso brutale della forza e al largo ricorso ad armi per il controllo della folla. Le battaglie nelle strade hanno prodotto immagini scioccanti che hanno rapidamente fatto il giro dei media mondiali restando ancora oggi, per molti, il motivo per cui la mobilitazione viene ricordata.

Più discretamente, al riparo dalle telecamere, era intanto in corso un’altra rivoluzione. Per le strade, tra i manifestanti, e nel piccolo ufficio del centro che fungeva da quartier generale per Indymedia, l’Indipendent Media Center, un piccolo esercito di geeks rendeva possibile l’upload di notizie, foto e video da parte dei cittadini su di un sito accessibile sia agli attivisti che al pubblico. Nonostante il caos degli scontri, innumerevoli innovazioni digitali venivano condivise e sperimentate sul campo. La stessa rete hub di Indymedia rappresentava uno dei primi grandi portali di contenuti pubblicati dagli utenti, basato sul principio dell’open publishing. Questo significa che qualsiasi attivista con sufficiente esperienze era in grado di inviare informazioni al sito rendendo possibile, in questo modo, il primo caso di citizen journalism, una prassi cui fanno ormai abitualmente ricorso i siti di informazione mainstream. Come piattaforma con una molteplicità di utenti che condividevano informazioni ed interagivano tra loro, Indymedia rappresentò anche uno spazio online per la fondazione di una comunità, uno dei primi esempi funzionali di quello che sarebbe poi stato definito “social media”.

Cosa ancor più importante, dal punto di vista dell’impatto sociale, l’Indipendent Media Center garantì agli attivisti un vantaggio strategico e tattico cruciale, in grado di stravolgere l’esito della lotta. Mentre i media mainstream erano concentrati sulle storie che fanno notizia, descrivendo i manifestanti come vandali, e dando spazio prevalentemente alle narrazioni della polizia, l’hub di Indymedia ha offerto al mondo un importante contrappunto, realizzato grazie alle migliaia di testimonianze dei citizen journalist che si trovavano al centro degli eventi. Con un sito accessibile da parte dei giornalisti che coprivano la mobilitazione da lontano è emersa una narrazione del tutto diversa, quella che ha finito con il condannare la violenza della polizia costringendo alle dimissioni Norman Stamper, capo della polizia di Seattle. L’hub di Indymedia ha rappresentato una vitale fonte di informazioni anche per gli attivisti sul campo, durante i tre giorni di proteste e scontri. In un’epoca in cui non esistevano gli smartphone, i grezzi e rapidi dispacci provenienti dalle strade forniti dal sito garantirono l’informazione logistica sulle aree che rappresentavano il cuore della città, dove gli attivisti avevano bisogno di maggior supporto e dove le azioni di polizia richiedevano di essere filmate e documentate.

Con una piattaforma ormai testata in battaglia, in condizioni estreme, l’Indipendent Media Center ha continuato a rappresentare un appuntamento fisso alle mobilitazioni di massa di tutto il mondo, in particolare ai vertici del commercio mondiale dei primi anni del 2000, a Washington, a Genova e a Quebec City. Basati sul free software e sull’open source, in sintonia con gli ideali libertari dei geek, gli online hub potevano essere facilmente riprodotti e riproposti da chi ne sapesse un po’ di programmazione. Sono stati concepiti da citizen journalists volontari che scrivevano report delle mobilitazioni, traducendoli in altre lingue ove ve ne fosse stato bisogno. Alla fine si potevano contare 117 nodi di Indymedia, dislocati in 35 Paesi, in oltre 15 lingue. Testimonianza del potente mix di pratiche autonome e know-how tecnologico, i fondatori di Indymedia hanno fatto tesoro del motto dell’icona punk Jell O’Biafra, «Don’t hate the media, become the media!».

Ormai, nel mondo in rapida evoluzione di oggi, gli Indipendent Media Center sono un capitolo di storia antica per i digital native. Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito all’emergere di una cultura globale realmente interconnessa, mentre paesi ricchi e poveri del mondo vanno ormai sperimentando elevati tassi di penetrazione delle tecnologie di rete. Per di più, in questo breve lasso di tempo si è verificato un così grande avanzamento nel campo dell’innovazione digitale e delle strategie degli attivisti, che molti movimenti sociali fanno sistematicamente ricorso a strategie di condivisione di contenuti e a un’impostazione social media marketing all’interno dei propri percorsi, senza neanche considerarsi media-attivisti. Eppure, ancorché riprodotta in tendenze e movimenti moderni, la sinergia generata dalle comunità quando ricorrono a social network strategies per sostenere le proprie battaglie ha dato origine ai momenti di cambiamento sociale, politico ed economico che hanno fatto notizia a partire dalla Primavera Araba. Su questi fronti, la mobilitazione della rete ha portate alla luce sensazionali e inaspettati riscatti del mondo reale, come il rovesciamento di regimi autoritari e persino l’emergere di nuovi modelli economici basati sulla condivisione delle risorse.

 

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