In collaborazione con BOOK PRIDE, la fiera nazionale dell’editoria indipendente, e su gentile concessione della casa editrice elèuthera*, pubblichiamo un estratto dalla nuova prefazione alla riedizione di “Nonluoghi”, di Marc Augé.
In occasione del BOOK PRIDE, che si svolgerà ai Frigoriferi milanesi di Milano dal 27 al 29 marzo, sabato 28 dalle 11.00 alle 13.30 si terrà l’incontro dal titolo “Antropologia della differenza e umane geografie” con Marc Augé, Marco Aime e Franco Farinelli.
L’immaginario urbano, il qui e l’altrove
Dall’uscita di Nonluoghi in Francia (1992), l’urbanizzazione del mondo è proseguita e si è amplificata nei paesi sviluppati, in quelli sottosviluppati e in quelli che ora si chiamano «emergenti». Le megalopoli si estendono e così anche, lungo le coste, lungo i fiumi e lungo le vie di comunicazione, i «filamenti urbani», per riprendere l’espressione del demografo Hervé Le Bras, cioè quegli spazi che, almeno in Europa, dove lo spazio è risicato, saldano fra loro le grandi agglomerazioni e offrono riparo a gran parte dei loro abitanti e del tessuto industriale e commerciale.
Assistiamo così a un triplo «decentramento».
Le grandi città si definiscono in primo luogo per la loro capacità nell’importare o esportare gli esseri umani, i prodotti, le immagini e i messaggi. Spazialmente, la loro importanza si misura in base alla qualità e all’ampiezza della rete autostradale o delle vie ferroviarie che le collegano agli aeroporti. La loro relazione con l’esterno s’inscrive nel paesaggio nel momento stesso in cui i centri detti «storici» sono sempre più un oggetto d’attrazione per i turisti del mondo intero.
Nelle stesse abitazioni, ville o appartamenti, la televisione e il computer occupano lo spazio dell’antico focolare. Gli ellenisti ci hanno insegnato che sulla casa greca classica vigilavano due divinità: Estia, dea del focolare, nel centro ombroso e femminino della casa, ed Ermete, dio della soglia, rivolto verso l’esterno, protettore degli scambi e degli uomini che ne avevano il monopolio. Oggi la televisione e il computer hanno preso il posto del focolare al centro della casa. Ermete si è sostituito a Estia.
L’individuo, dal canto suo, è in un certo senso decentrato da sé stesso. Si dota di strumenti che lo pongono in contatto costante con il modo esterno più remoto. I telefoni cellulari sono anche apparecchi fotografici, televisori, computer. L’individuo può così vivere singolarmente in un ambiente intellettuale, musicale o visuale completamente indipendente rispetto al suo ambiente fisico immediato.
Questo triplo decentramento corrisponde a un’estensione senza precedenti di quelli che definisco i «nonluoghi empirici», ovvero gli spazi di circolazione, di consumo, di comunicazione. Ma a questo punto bisogna ricordare che non esistono dei «nonluoghi» nel senso assoluto del termine. Ho definito «luogo antropologico» ogni spazio in cui è possibile leggere delle iscrizioni del legame sociale (ad esempio quando vengono imposte a tutti regole rigide di residenza) e della storia collettiva (per esempio nei luoghi di culto). Tali iscrizioni sono chiaramente più rare negli spazi marchiati dal sigillo dell’effimero e del passaggio. E tuttavia nella realtà non esistono, nel senso assoluto del termine, né luoghi né nonluoghi. La coppia luogo / nonluogo è uno strumento di misura del grado di socialità e di simbolizzazione di un dato spazio.
Certamente dei luoghi (luoghi d’incontro e di scambio) si possono costituire in maniera tale da risultare, per altri, piuttosto dei nonluoghi. Constatazione questa che non contraddice quella dell’estensione senza precedenti degli spazi di circolazione, consumo e comunicazione, corrispondente al fenomeno attualmente designato con il termine di «globalizzazione». Questa estensione genera delle conseguenze antropologiche importanti perché l’identità individuale e collettiva si costruisce sempre in relazione e in negoziazione con l’alterità. D’ora in poi è dunque il campo planetario nel suo complesso ad aprirsi simultaneamente all’investigazione dell’antropologo dei mondi contemporanei.
Assistiamo perciò a una nuova contestualizzazione di tutte le attività umane. La globalizzazione è anche l’urbanizzazione del mondo, è anche una trasformazione della città che si apre a nuovi orizzonti.
Mondializzazione
L’ideale di un mondo senza frontiere, per esempio, è sempre apparso agli individui più sinceramente umanisti come l’ideale di un mondo dove sarebbero finalmente abolite tutte le forme di esclusione. Il mondo attuale ci viene spesso presentato come un mondo nel quale le antiche frontiere sono state cancellate. Ciò significa che ci avviciniamo all’ideale umanista dell’universalismo? È chiaro che le cose non sono così semplici; per chiarirle un poco, mi sembra importante riflettere in tre direzioni.
- Oggi esiste effettivamente un’ideologia della globalità senza frontiere che si manifesta nei settori più disparati dell’attività umana mondiale.
- La globalità attuale è una globalità in rete, che produce effetti di omogeneizzazione ma anche di esclusione.
- Il concetto di frontiera rimane ricco e complesso. Non significa necessariamente divisione e separazione. Forse l’ideale di un mondo egualitario non passa dall’abolizione di tutte le frontiere, ma dal loro riconoscimento.
Quanto al termine «mondializzazione», esso rinvia a due ordini di realtà: da un lato a quella che chiamiamo globalizzazione, che corrisponde all’estensione su tutta la superficie del globo del cosiddetto mercato liberale e delle reti tecnologiche di comunicazione e informazione; dall’altro lato a quella che potremmo chiamare coscienza planetaria, che a sua volta presenta due aspetti. Siamo infatti di giorno in giorno più coscienti di abitare uno stesso pianeta, corpo fisico fragile e minacciato, infinitamente piccolo in un universo infinitamente grande; tale coscienza planetaria è una coscienza ecologica e inquieta: condividiamo tutti uno spazio ridotto che trattiamo male. D’altra parte, siamo anche consapevoli dell’ampliarsi quotidiano della forbice fra i più ricchi dei ricchi e i più poveri dei poveri; tale coscienza planetaria è una coscienza sociale e infelice. Su scala mondiale, oltretutto, aumenta lo scarto, sia in termini assoluti che relativi, fra coloro che non hanno neppure accesso all’alfabetizzazione, a un estremo, e coloro che invece hanno accesso alle grandi ipotesi sulla nascita dell’universo o sulla comparsa della vita, all’altro estremo. Parlando in senso globale, è necessario aggiungere che il patrimonio filosofico dell’umanità sembra privo di eredi? E che, foraggiato dalla violenza, dall’ingiustizia e da condizioni di diseguaglianza, quel ripiegamento spesso proteso verso forme religiose più o meno fruste e intolleranti va assumendo il ruolo di pensiero presso una parte considerevole dell’umanità?
Come invertire la tendenza? Sicuramente non con un tocco di bacchetta magica, né con pie preghiere. L’ultima utopia oggi è l’educazione, se vogliamo evitare che il sapere e la scienza si concentrino esclusivamente nei medesimi poli in cui si coagulano il potere e la ricchezza, all’incrocio delle varie reti del sistema globale. Non è infatti infondato il timore che all’orizzonte della nostra storia si disegni non la democrazia generalizzata immaginata da Fukuyama, ma un’aristocrazia «globale» che vedrà il dominio dei poli planetari del potere, del sapere e della fortuna su una massa di consumatori passivi e su una massa ancora più grande di esclusi dal consumo.
La dimensione politica della globalizzazione è stata messa in evidenza da Paul Virilio in diverse opere, e soprattutto in La bomba informatica (1998). Si analizza qui la strategia del Pentagono americano e la sua concezione dell’opposizione fra globale e locale. Il globale è il sistema considerato dal punto di vista del sistema stesso: è dunque l’interno; e, sempre da questo punto di vista, il locale è l’esterno. Nel mondo globale, il globale si contrappone al locale come l’interno all’esterno. L’esistenza stessa del locale è quindi instabile per definizione: o il locale è un mero duplicato del globale (a volte si parla di «glocale»), cancellando di fatto il concetto di frontiera, oppure perturba il sistema ed è, in tal caso, sancibile, in termini politici, attraverso l’esercizio del diritto di ingerenza. Quando Fukuyama evoca la «fine della storia» per sottolineare che l’associazione democrazia rappresentativa/economia liberale non è intellettualmente superabile, introduce allo stesso tempo un’opposizione fra sistema e storia che riproduce l’opposizione fra globale e locale. Nel mondo globale la storia, nel senso di una contestazione del sistema, può arrivare solamente dall’esterno, dal locale. L’ideologia del mondo globale presuppone la cancellazione delle frontiere e delle contestazioni. Questa cancellazione delle frontiere viene messa in scena, sotto forma di spettacolo, dalle tecnologie dell’immagine e dalla gestione dello spazio. Gli spazi di circolazione, di consumo e di comunicazione si moltiplicano sul pianeta, rendendo visibile in maniera molto concreta l’esistenza della rete. La storia (la lontananza nel tempo) è bloccata nelle rappresentazioni dei diversi ordini che ne fanno uno spettacolo per il presente e più precisamente per i turisti che visitano il mondo. La lontananza culturale e geografica (la lontananza nello spazio) subisce la medesima sorte. Così, l’esotismo, che è sempre stato un’illusione, diventa doppiamente illusorio nel momento in cui viene messo in scena. E le stesse catene alberghiere, le stesse reti televisive imprigionano il globo per offrirci la sensazione che il mondo è uniforme, uguale dappertutto, e che a cambiare sono solamente gli spettacoli, proprio come a Broadway o a Disneyland.
[* Nonluoghi, Marc Augè, elèuthera editrice]